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Lavoratori notturni senza tutele, ma in pensione prima. Un vero paradosso?

Nonostante sia la forma più diffusa e trasversale di attività usurante, manca ancora una legislazione chiara sul lavoro notturno. Il legislatore si limita, infatti, a fornire la definizione di lavoratore notturno, ma omette di dettare una disciplina di dettaglio che lo tuteli, pur prevedendone l’uscita anticipata dal lavoro. Il che appare un paradosso. E’ come dire che la legislazione si impegna a mandare prima in pensione i lavoratori che trascorrono una buona parte della loro vita lavorativa in attività notturna, ma non fa nulla per impedire che questa forma di attività lavorativa sia in concreto limitata e regolata. Non sarebbe ora di garantire condizioni di lavoro che permettano di prolungare la vita lavorativa attiva senza rischi per la salute?

Nel dibattito che accompagna oramai da decenni la regolazione del contratto di lavoro sembra essere sempre rimasta ai margini la questione della tutela del benessere fisico e psicologico delle persone che lavorano.

Il moltiplicarsi delle richieste di uscita anticipata dal lavoro (da ultimo, attraverso l’introduzione di “quota 100”), le ricorrenti lamentele per mobbing, il permanente bassissimo tasso di partecipazione femminile al mondo dell’occupazione sembrano dimostrare una incapacità del legislatore di tutelare la salute del lavoratore, accettando quasi senza riserve l’idea che il lavoro comporti la consumazione delle energie fisiche e psichiche della persona. Un mondo, insomma, nel quale si fa fatica ad entrare, ma dal quale è meglio scappare finché si è giovani.

Certo, in quest’ultimo senso, non sono mancate le iniziative legislative, quando si è riconosciuta la necessità che si possa concedere un pensionamento anticipato a chi, a ragione del tipo di lavoro che presta concretamente, possa venirsi a trovare in una situazione di particolare svantaggio.

In questo senso la riforma del 2019 mantiene in vigore, ed anzi consolida all’art. 17 del decreto legge n. 4/2019, le forme di anticipazione introdotte negli ultimi anni, ammettendo quindi l’uscita agevolata dei lavoratori che possono far valere 12 mesi di contribuzione effettiva antecedente al 19° anno di età (cd. “precoci”), e che, entro il 31 dicembre 2026, vengano a perfezionare il requisito, “cumulando” almeno 41 anni di contribuzione.

Lo stesso vantaggio è riconosciuto, oramai da circa un decennio, a quanti abbiano lavorato in attività “usuranti”, in considerazione delle più ridotte aspettative di vita che sono riservate a costoro.

L’elenco è anche qui assai articolato; un primo gruppo richiama una lunga serie di mansioni di fatica (lavori in galleria, in cava o miniera, nei cassoni ad aria compressa o ad alte temperature); vi sono poi gli addetti alle “catene di montaggio” (con ritmi determinati da misurazione di tempi e con ripetizione costante degli stessi gesti); ed ancora i conducenti di veicoli pesanti, adibiti a servizi pubblici di trasporto ed, infine, gli addetti (in maniera prevalente e sistematica) al lavoro notturno o al lavoro a turni.

Si richiedono sempre almeno 35 anni di anzianità contributiva con esclusione di quelli totalmente coperti da contribuzione figurativa, facendosi applicazione di uno speciale sistema di quote, differenziato anche quanto a requisiti anagrafici in relazione alla gravosità delle attività in concreto svolte: per es. per i lavoratori notturni impegnati per almeno 78 giorni per anno, si richiede il raggiungimento di “quota” 97,6 con età minima di 61 anni e 7 mesi, mentre soglie più elevate di pensionamento (e vicinissime a quelle ora previste in via generale per tutti) sono stabilite per i lavoratori notturni impegnati per un tempo annuo più breve (tanto che a quanti lavorano fra 64 e 71 giornate l’anno si richiede il raggiungimento di quota 99,6 e un’età minima 63 anni e 7 mesi).

Ed è proprio la categoria dei lavoratori notturni che merita un discorso a parte, poiché si tratta della forma forse più diffusa e trasversale di attività usurante, ma in relazione alla quale manca una legislazione chiara, sebbene il legislatore italiano sia obbligato dalle fonti europee a dettare una norma speciale per coloro «il cui lavoro comporta rischi particolari o rilevanti tensioni fisiche o mentali» (Direttiva n. 88/2003, art. 8).

Infatti, la disciplina generale in tema di orario di lavoro, contenuta nel D.Lgs. n. 66 del 2003, mentre contiene la definizione di lavoratore notturno, cui fanno riferimento le norme pensionistiche prima ricordate, omette poi di dettare una disciplina di dettaglio, capace di limitare in concreto il ricorso al lavoro notturno, poiché, pur a fronte della medesima esigenza di tutelare la salute dei lavoratori, sembrerebbe mancare ancora un decreto che, facendo applicazione della medesima ratio, individui in maniera più precisa tutti i casi in cui ai lavoratori non può mai essere richiesto il superamento della soglia di 8 ore giornaliere, prevista dalla legge stessa e dalla direttiva europea.

Il che è come dire che la legislazione si impegna a mandare prima in pensione i lavoratori che trascorrono una buona parte della loro vita lavorativa in attività notturna, ma non fa nulla per impedire che questa forma, senz’altro pericolosa, di attività lavorativa sia in concreto limitata e regolata.

È noto infatti, all’esito di plurime ricerche mediche, che il lavoro notturno determina un’alterazione dei ritmi umani, abituati da tempo immemorabile all’alternanza fra giorno e notte, con una compromissione grave dell’attività endocrina, suscettibile di determinare l’insorgenza di malattie tumorali.

Seppure, dunque, i lavoratori notturni così come definiti dalla legislazione vigente potranno, in forza dell’analogia legis, avvantaggiarsi di tutte le protezioni previste, resta che un’ampia fascia di lavoratori rimangono esclusi dalle limitazioni previste dal D.Lgs. n. 66 del 2003. Forse, invece che preoccuparsi solo dell’età di accesso al pensionamento, sarebbe il caso che tutto l’ordinamento cominciasse a garantire condizioni di lavoro che permettano di prolungare la vita lavorativa attiva di chiunque, senza rischi per la propria salute.

Fonte: http://www.ipsoa.it/documents/lavoro-e-previdenza/amministrazione-del-personale/quotidiano/2019/09/14/lavoratori-notturni-senza-tutele-pensione-prima-vero-paradosso

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