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Accordo sindacale per “superare” il divieto di licenziamento: vantaggi e costi per le aziende

Ovviando al divieto di licenziamento, aziende e lavoratori possono accordarsi sull’adesione a un piano incentivato per l’uscita anticipata sulla base di un accordo collettivo stipulato dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale, con esclusione (salvo modifiche in sede di conversione del decreto Agosto) delle RSU e delle RSA. I lavoratori interessati all’esodo fruiscono dell’indennità di disoccupazione per la quale i datori di lavoro dovranno pagare il contributo di ingresso alla NASpI che, per un dipendente con un’anzianità pari o superiore a 36 mesi, arriva, nel 2020, a 1.509,87 euro, pur se il rapporto a tempo indeterminato si è svolto a tempo parziale.

L’art. 14 del decreto Agosto (D.L. n. 104/2020) ha riscritto la disposizione che sospende i licenziamenti per giustificato motivo oggettivo, causa la pandemia ancora in corso, fino al prossimo 31 dicembre, offrendo la possibilità, a determinate condizioni, “ardue” da raggiungere, di risolvere “ante tempus” i rapporti.

Di qui la fruizione integrale degli ammortizzatori sociali COVID-19 o, in alternativa, la fruizione dell’esonero contributivo ex art. 3 (ancora non operativo mancando “l’imput positivo” di Bruxelles ai sensi dell’art. 108, paragrafo 3 del Trattato). Di qui inoltre la possibilità del recesso per le società che cessano le attività, con liquidazione (anche tale norma si presta a critiche), di qui i licenziamenti possibili a seguito di cambio di appalto ove sussiste un obbligo legale, contrattuale o di bando di gara che impone all’impresa subentrante l’acquisizione del personale in forza nella struttura, di qui, infine la possibilità di un accordo collettivo attraverso il quale, in presenza di situazioni accertate di crisi o di riorganizzazione, si concorda su un piano di esuberi rispetto al quale i dipendenti possono aderire su base volontaria.

Prima di entrare nel merito di quanto prevede la norma e sulle correlazioni che ne possono discendere, ritengo opportuno fare una doverosa premessa.

E’ palese come nelle proroghe che hanno accompagnato, durante la crisi pandemica, il blocco dei licenziamento per giustificato motivo oggettivo, le istanze sindacali abbiano trovato un forte ascolto ed un terreno favorevole nell’Esecutivo: non c’è, assolutamente, nulla di strano in tutto ciò, in quanto il COVID-19 ha comportato (e comporta, tuttora) la necessità di difendere i posti di lavoro. Del resto, che un forte coinvolgimento delle organizzazioni dei lavoratori sia stata un po' la “costante” che ha accompagnato la c.d. “decretazione di urgenza”, lo si arguisce anche dal fatto che, pur nella precarietà delle comunicazioni, necessariamente telematiche, i sindacati sono stati coinvolti con esami congiunti ma anche con accordi (come nella cassa in deroga nella aziende con oltre cinque dipendenti) nella gestione di questi ammortizzatori sociali “speciali”. Di conseguenza, ben si comprende come in un momento in cui, accanto alla conferma del “blocco” dei recessi per giustificato motivo oggettivo, vengono pensate alcune ipotesi in cui la sospensione può essere aggirata, sia previsto un accordo aziendale sottoscritto dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.

Ma, di cosa si tratta?

Il comma 3 dell’art. 14 del D.L. n. 104/2020, stabilisce che la sospensione dei licenziamenti per giustificato motivo oggettivo non si applica in presenza di “accordo collettivo aziendale, stipulato dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale, di incentivo alla risoluzione del rapporto di lavoro, limitatamente ai lavoratori che aderiscono al predetto accordo: a detti lavoratori è comunque riconosciuto il trattamento di cui all’art. 1 del D.L.vo n. 22/2015”.

Prima di entrare nel merito del contenuto ritengo opportuno premettere alcune considerazioni di carattere generale.

La norma non ha una portata strutturale in quanto è correlata alla situazione emergenziale legata alla possibilità di derogare allo “stop” ai recessi per giustificato motivo oggettivo imposto dal Legislatore fino al prossimo 31 dicembre: di qui anche il riconoscimento della NASpI che in una situazione di risoluzione consensuale del rapporto di lavoro appare una eccezione (un caso analogo lo abbiamo nella risoluzione consensuale ex art. 7 della legge n. 604/1966 al termine dell’iter procedimentale avanti alla commissione di conciliazione istituita presso l’Ispettorato territoriale del Lavoro o nella conciliazione facoltativa su un licenziamento ex art. 6, comma 1, del D.L.vo n. 23/2015), come ricorda l’interpello del Ministero del Lavoro n. 13/2015).

La norma affida la possibilità di accordo alle organizzazioni sindacali (ne occorrono almeno due, atteso che la disposizione si esprime al plurale) comparativamente più rappresentative a livello nazionale, con esclusione (salvo modifiche in sede di conversione) delle RSU e delle RSA: l’eventuale accordo va sottoscritto dalle organizzazioni di categoria a livello territoriale. L’eventuale inclusione delle RSU o delle RSA (magari, con la ripetizione di quanto detto dall’art. 51 del D.L.vo n. 81/2015) avrebbe il pregio di rendere più fluida la possibilità di accordo che, in ogni caso, non sarebbe di “prossimità” ex art. 8 del D.L. n. 138/2011.

Si presenta, quindi, nel breve periodo, la questione della identificazione delle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale: sarebbe necessario che, sul punto, abbandonando il silenzio abituale, il Ministero del Lavoro fornisse qualche indicazione attraverso una nota amministrativa sottoscritta. Nel silenzio, ritengo che le stesse possano essere identificate in quelle che hanno sottoscritto, nel settore di riferimento, il CCNL che risulta essere applicato dalla maggior parte dei datori di lavoro, non potendo, evidentemente, i datori di lavoro essere in possesso di dati significativi che solo le Pubbliche Amministrazioni sono in grado di conoscere (rappresentatività, numero dei contratti integrativi sottoscritti, partecipazione a vertenze collettive, in sede amministrativa, riguardanti lo stato di crisi delle aziende, numero degli accordi sottoscritti “in sede protetta”, ecc.).

Lavoratori in esubero

La norma sembra avere come punto di riferimento ispiratore l’art. 24-bis del D.L.vo n. 148/2015 ove viene affrontata la questione dei lavoratori eccedentari al termine di un periodo di integrazione salariale straordinaria e che ha avuto, finora, scarsi risultati, soprattutto, per il mancato decollo delle politiche attive del lavoro: infatti, in quel caso, si parla di accordi collettivi ove le parti concordano nella constatazione che non è possibile far rientrare nel posto di lavoro tutti i dipendenti e, senza fare nomi, individuano i profili eccedentari. I lavoratori che, fatte le loro considerazioni, intendono aderire al percorso di ricollocazione, danno il proprio assenso scritto entro un mese (ricorda l’art. 24-bis) e se la ricollocazione avviene in maniera positiva (tralascio tutti i passaggi successivi) vengono a fruire, tra le altre cose, dell’esenzione dall’IRPEF sugli importi di incentivo all’esodo fino ad un massimo di 9 mensilità. Nel nostro caso, (è bene sottolinearlo, da subito) non c’è nessun sgravio IRPEF e la norma non impone un termine, sia pure ordinatorio, per il consenso.

Accordi di tal genere, non li abbiamo, soltanto, nell’art. 24-bis del D.L.vo n. 148/2015, ma anche nei c.d. “licenziamenti non oppositivi” richiamati dall’art. 4, comma 4, del D.M. n. 94033/2016 e legati ai contratti di solidarietà difensivi, nelle risoluzioni ex art. 41, comma 5, del D.L.vo n. 148/2015 per i contratti di espansione che non hanno natura strutturale e che, se non rifinanziati, termineranno con il prossimo 31 dicembre, ma anche nella isopensione (art. 4, commi da 1 a 7-ter della legge n. 92/2012) e, sovente, nelle procedure collettive che si concludono con un accordo, l’individuazione dei lavoratori eccedentari avviene sulla base della adesione dei diretti interessati (ovviamente, con incentivi ed altre soluzioni “premiali”).

Accordo sindacale

Entro, ora, nel commento della disposizione che ha una portata ampia, rivolgendosi, indistintamente, a tutti i datori di lavoro, ben sapendo, però, che, con più facilità, saranno quelli più strutturati a valersene. Il termine “licenziamenti” non viene mai citato ma si parla di “incentivo all’esodo”: di conseguenza, l’accordo aziendale dovrà, a mio avviso, stabilire sia il “quantum” (magari correlato al profilo professionale ed all’anzianità aziendale) che i tempi di adesione entro il quale i singoli lavoratori potranno manifestare la loro “placet”.

Qui si pone una prima questione che non è stata “sfiorata” dal Legislatore: l’accordo aziendale va depositato, telematicamente, al Ministero del Lavoro entro trenta giorni dalla sottoscrizione secondo la previsione contenuta nell’art. 14 del D.L.vo n. 151/2015?

Quest’ultimo stabilisce che “i benefici contributivi o fiscali e le altre agevolazioni connesse con la stipula di contratti aziendali o territoriali sono riconosciuti” previo deposito presso il Dicastero che li mette a disposizione, con le medesime modalità, delle altre Amministrazioni ed Enti Pubblici interessati. Orbene, benefici contributivi e fiscali non ci sono, mentre ci sono le “altre agevolazioni” che scaturiscono dal fatto che, solo in virtù della stipula di accordi collettivi aziendali che presentano tali caratteristiche (mi riferisco anche alla legittimazione alla stipula riconosciuta soltanto alle sigle sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale), è possibile, per i lavoratori interessati, fruire dell’indennità di disoccupazione in caso di risoluzione consensuale, altrimenti non dovuta. A mio avviso, il deposito dovrebbe essere previsto, anche per controllare, anche a campione, se le risoluzioni consensuali “portatrici di NASPI” sono frutto di accordi collettivi legittimi. Ovviamente, appare auspicabile un intervento chiarificatore del Ministero del Lavoro, possibilmente con nota firmata e non con FAQ o slide che, anonime, non hanno alcuna efficacia di interpretazione amministrativa.

La fruizione da parte dei lavoratori della indennità di disoccupazione comporta, poi, un altro onere per il datore di lavoro: dovrà pagare il contributo di ingresso alla NASpI che per un dipendente con un’anzianità pari o superiore a 36 mesi arriva, nel 2020, a 1.509,87 euro, pur se il rapporto a tempo indeterminato si è svolto a tempo parziale.

La disposizione parla soltanto di adesione dei lavoratori all’accordo collettivo, senza specificare che la stessa debba avvenire in forma scritta ed entro un determinato periodo: si tratta, comunque, di elementi essenziali che, senz’altro, possono essere inseriti dalle parti nel verbale di accordo.

Accordi individuali

La norma non fa, neanche, riferimento alla necessità di riportare, con i singoli dipendenti, i contenuti in un accordi individuali da firmare in “sede protetta” ex artt. 410 o 411 cpc: ritengo che questa sia una strada che i datori di lavoro vorranno percorrere anche per chiudere una serie di questioni che afferiscono all’intercorso rapporto e che, prima della sottoscrizione, ogni singolo lavoratore dovrà verificare in ogni sua parte, anche con l’ausilio sindacale. La via dell’accordo individuale in “sede protetta” si fa preferire anche per un altro aspetto che appare secondario: la sottoscrizione avanti a tali organi consente al lavoratore di “by-passare” la procedura telematica di conferma delle dimissioni o della risoluzione consensuale richiesta dall’art. 26 del D.L.vo n. 151/2015 e dal successivo D.M. applicativo del Ministro del Lavoro che, dal 15 novembre 2020, dovrà avvenire non più con il PIN INPS, ma con lo SPID unico elemento di identificazione, come ricorda la nota n. 2721 del 1° settembre u.s. del Ministero del Lavoro.

Come ho avuto modo di sottolineare non si parla di licenziamenti: ciò significa che, nelle imprese con un organico superiore alle 15 unità, non è possibile aprire una procedura collettiva di riduzione di personale, perché la norma non lo consente: tuttavia, con le risoluzioni consensuale (che non sono recessi) si potrà andare ben oltre le cinque unità in 120 giorni.

Fonte: https://www.ipsoa.it/documents/lavoro-e-previdenza/amministrazione-del-personale/quotidiano/2020/09/11/accordo-sindacale-superare-divieto-licenziamento-vantaggi-costi-aziende

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