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Intrecci (forse da chiarire) tra sistema 231 e codice degli appalti

In merito alle cause di esclusione automatica dalle procedure d’appalto, il passaggio dal vecchio al nuovo Codice del 2023 sembra evidenziare un qualche problema di raccordo tra il processo alla persona fisica e il processo all’ente ex lege 231, e richiedere precisazioni circa la rilevanza del patteggiamento. Con una scelta ispirata, evidentemente, a consentire il recepimento meditato della nuova disciplina, il D.Lgs. n. 36/2023 prevede dal 1° luglio 2023 l’abrogazione del Codice degli appalti del 2016, ma anche la sua ultrattività “nei procedimenti in corso”. C’è quindi tempo per un ripensamento, e un eventuale chiarimento, delle scelte operate in coerenza con i principi di efficienza, efficacia, economicità e, non ultima, “trasparenza” che muovono e giustificano la riforma. Sono in gioco il corretto svolgimento dell’attività imprenditoriale, l’interesse della PA a controlli efficaci e tempestivi che non alimentino ricorsi sulle procedure di aggiudicazione e di esclusione e impongano dilazioni dei tempi di esecuzione delle opere che né il buon andamento della PA né gli impegni assunti con il PNRR consentono di tollerare.

Il passaggio dal Codice dei contrati pubblici del 2016 a quello del 2023 evidenzia non tanto una conferma della tradizionale “crisi del settimo anno” in una materia di grande rilevanza giuridica ed economica, quanto un diverso approccio alle esigenze dell’imprenditoria e dell’ente pubblico che ne chiede l’intervento e l’opera. L’obiettivo di una semplificazione delle procedure di appalto e di concessione, oggetto di critica per il rischio di agevolazione all’inserimento della criminalità organizzata nel giro degli appalti, ma anche di plauso per aver respinto l’idea che la legalità sia salvaguardabile soltanto (o soprattutto) con la complessità degli adempimenti e con una burocrazia imperversante, appare - alla resa dei conti - più una linea di tendenza che un risultato raggiunto. Una norma cardine della riforma attuata con il D.Lgs. 31 marzo 2023 n. 36, che si pone come risposta all’obiettivo di assicurare “legalità, trasparenza e concorrenza” nel settore dei contratti pubblici in attuazione del principio costituzionale del “buon andamento” della pubblica amministrazione, è rappresentata dall’art. 94 disciplinante “cause di esclusione automatica” di un operatore economico dalla partecipazione a una procedura di appalto. Sostituendosi alla discrezionalità della stazione appellante, il legislatore richiede nel partecipante alla gara requisiti morali la cui non esistenza impedisce lo stesso esame dei requisiti tecnici, economici e finanziari che caratterizzano (e contraddistinguono) l’offerta. Già l’art. 80 del D.Lgs. 18 aprile 2016, n. 50 (oggetto di profondo restyling con il D.Lgs. 19 aprile 2017, n. 56) poneva requisiti di meritevolezza morale la cui mancanza costituiva “motivo di esclusione” automatica, ma anche il Codice degli appalti del 2023 insiste particolarmente sui “requisiti di ordine generale” (così la rubrica del capo II), prevedendo (articoli 94-98) una pluralità di cause di esclusione il cui risultato pratico è quello di selezionare drasticamente a monte i soggetti legittimati a partecipare alle procedure di gara (in tesi) semplificate. In buona sostanza, la tesi di fondo è che il Codice dei contratti pubblici (non dimentichiamolo, in attuazione della legge delega 21 giugno 2022, n. 78, e quindi espressione di una maggioranza parlamentare diversa) si è permesso di togliere i profili burocratici delle procedure di aggiudicazione proprio perché ha selezionato a monte la qualità (morale) dei partecipanti. Il requisito dell’assenza di condanna penale riguarda l’operatore economico persona fisica, rimanendo fermo nel nostro ordinamento giuridico che la responsabilità penale non può essere della persona giuridica (societas delinquere non potest), ma - come è noto - con il D.Lgs. n. 231/2001 è stata introdotta la responsabilità amministrativa “da reato” dell’ente con riguardo a un numero sempre crescente di illeciti penali commessi nel suo interesse/vantaggio da persone fisiche, apicali o non apicali, della sua struttura. L’art. 80 del Codice del 2016 prevedeva l’esclusione dalla partecipazione alla procedura di appalto dell’operatore economico (persona giuridica) che, sottoposto al processo penale ex D.Lgs. n. 231/2001, ne sia uscito con la condanna “alla sanzione interdittiva di cui all’art. 9 comma 2 lettera c)” e cioè al “divieto di contrattare con la pubblica amministrazione”. L’art. 80 del Codice del 2016 traeva semplicemente la conseguenza implicita nella sanzione interdittiva applicata all’ente, l’ente ne era consapevole e, proprio per questo, poteva impegnarsi - mediante condotte fattive essenzialmente endoprocessuali - ad evitare l’applicazione della sanzione interdittiva (e, quindi, a circoscrivere la sanzione a quella pecuniaria). Consapevole della ricaduta della sanzione interdittiva sull’attività imprenditoriale, il legislatore consentiva condotte endoprocessuali (quali la “riparazione delle conseguenze del reato” di cui all’art. 17) e successive alla condanna (art. 78) idonee a escludere detta tipologia di sanzione dell’ente o a favorirne la conversione in pena pecuniaria. Il Codice dei contratti pubblici del 2023, da un lato, conferma che l’applicazione del divieto di contrattare con la PA all’ente è causa automatica di esclusione [art. 94, comma 3, lettera a) e comma 5, lettera a)], dall’altro considera “illecito professionale grave”, che determina l’esclusione dell’operatore economico offerente, la commissione dei “reati previsti dal decreto legislativo 8 giugno 2001 n. 231” [art. 98, comma 3, lettera H), n. 5], indipendentemente - a quanto pare - dal fatto che alla condanna penale (della persona fisica) sia seguita la pena accessoria dell’incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione. In definitiva, il passaggio dall’art. 80 all’art. 94 sembra evidenziare un qualche problema di raccordo tra il processo alla persona fisica e il processo all’ente quanto alle ricadute sulla capacità a contrarre, nonché richiedere una qualche precisazione necessaria circa la rilevanza del c.d. patteggiamento (art. 444 e ss. c.p.p.) - consentito anche all’ente (art. 63, D.Lgs. n. 231/2001) - istituto che l’art. 94 non menziona più come ostativo alla partecipazione, diversamente da quanto previsto dall’art. 80, comma 1, del Codice 2016, ma che appare conservare una qualche rilevanza ex art. 98, comma 6, lettera g), del nuovo testo. Con una scelta ispirata, evidentemente, a consentire il recepimento meditato della nuova disciplina (e ad evitare tutte le problematiche operative sollevate dalla riforma Cartabia, di poco precedente), il D.Lgs. n. 36/2023 prevede dal 1° luglio 2023 l’abrogazione del codice degli appalti del 2016, ma anche la sua ultrattività “nei procedimenti in corso” (art. 226). C’è quindi tempo per un ripensamento, e un eventuale chiarimento, delle scelte operate in coerenza con i principi di efficienza, efficacia, economicità e, non ultima, “trasparenza” che muovono e giustificano la riforma. È in gioco il corretto svolgimento dell’attività imprenditoriale, l’interesse della pubblica amministrazione a controlli efficaci e tempestivi che non alimentino ricorsi sulle procedure di aggiudicazione e di esclusione e impongano dilazioni dei tempi di esecuzione delle opere che né il buon andamento della P.A. né gli impegni assunti con il PNRR consentono di tollerare. Copyright © - Riproduzione riservata

Fonte: https://www.ipsoa.it/documents/quotidiano/2023/05/13/intrecci-forse-chiarire-sistema-231-codice-appalti

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