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Contratti a termine: utilizzo più flessibile per le imprese. Con quali effetti?

Consentire un utilizzo più flessibile dei contratti a termine da parte delle imprese mantenendo comunque fermo il rispetto della direttiva UE sulla prevenzione degli abusi. E quanto previsto dal decreto Lavoro che individua nuove causali per legittimare il contratto a termine oltre i 12 mesi in sostituzione di quelle attualmente in vigore. In particolare, i contratti potranno avere una durata superiore a 12 mesi, ma non a 2 anni, solo nei casi previsti dalla contrattazione collettiva, per esigenze tecniche, organizzative o produttive e in caso di sostituzione di altri lavoratori. Quali possono essere gli effetti delle nuove disposizioni sul mondo del lavoro?

Il Governo ha modificato, ammorbidendoli, alcuni vincoli sull’utilizzo dei contratti a tempo determinato. Peraltro, ricordo che proprio la direttiva UE rivolta a liberalizzare l’uso del contratto a termine del lavoro ingessato dai vincoli delle varie legislazioni fu recepita dall’Italia nel 2001. Sul tema nel decreto Lavoro (D.L. n. 48/2023) è previsto un provvedimento che allenta le restrizioni del decreto Dignità. Nuove causali oltre i 12 mesi In particolare, sono individuate nuove causali per legittimare il contratto a termine oltre i 12 mesi in sostituzione di quelle attualmente in vigore. L’intervento va a modificare quello arrivato nel 2018 con il decreto Dignità, D.L. n. 87/2018, per cui era stata imposta una stretta all’utilizzo del lavoro a termine. Con il nuovo decreto legge i contratti potranno avere una durata superiore a 12 mesi, ma non a 2 anni, solo nei casi previsti dalla contrattazione collettiva, per esigenze tecniche, organizzative o produttive e in caso di sostituzione di altri lavoratori. In particolare, sono state modificate le causali da indicare nei contratti di durata compresa tra i 12 e i 24 mesi, individuate all’art 19, comma 1, lettere a), b), b-bis), del D.Lgs. n. 81 del 2015, il Testo Unico sui contratti di lavoro. Un provvedimento pensato per contrastare la precarietà, scoraggiando il ricorso di contratti a termine e spingendo le aziende ad avviare più contratti a tempo indeterminato, che però spesso ha avuto l’effetto contrario, cioè quello di scoraggiare le assunzioni. Il Governo, dunque, è intervenuto per consentire un utilizzo più flessibile della tipologia contrattuale, mantenendo comunque fermo il rispetto della direttiva europea sulla prevenzione degli abusi. Pertanto, i contratti a termine nella diversificazione temporale sono regolamentati nei casi previsti dai contratti collettivi di cui all’art. 51, nei contratti collettivi applicati in azienda, e comunque entro il 30 aprile 2024, per esigenze di natura tecnica, organizzativa o produttiva individuate dalle parti; in sostituzione di altri lavoratori. Come si legge nel testo del decreto, le nuove causali non si applicano ai contratti stipulati dalle pubbliche amministrazioni, ai contratti di lavoro a tempo determinato stipulati dalle università private, istituti pubblici di ricerca, società pubbliche che promuovono la ricerca e l’innovazione, ai contratti stipulati da enti privati di ricerca e lavoratori chiamati a svolgere attività di insegnamento, di ricerca scientifica o tecnologica, di trasferimento di know-how, di supporto all’innovazione, di assistenza tecnica alla stessa o di coordinamento e direzione. A questi, infatti, continuano ad applicarsi le disposizioni vigenti prima della data di entrata in vigore del secreto Dignità. L’obiettivo principale del Governo pare essere la causale, di cui si ritarda l’entrata in vigore rispetto all’inizio del contratto, limitandone quindi il campo di azione: è necessaria non più dopo un anno, come da decreto Dignità, ma dopo due, con la possibilità di modificare il limite in sede di contrattazione collettiva. Gli impatti sul mondo del lavoro Vero è che la causale è percepita come un costo rilevante da parte delle imprese e lo spostamento del limite di entrata in vigore della causale potrebbe comportare un aumento della durata dei contratti a tempo determinato. Sarebbe utile monitorare la quota di contratti con una durata di oltre un anno considerando la durata effettiva del contratto (proroghe incluse) e contemporaneamente monitorare i contratti appena sotto un anno, a indicare la rilevanza della causale, e quelli di durata inferiore a un mese, presumibilmente utilizzati per soddisfare la domanda residua di lavoro causata dall’assenza di contratti più prolungati. Si avrebbe la risposta certa se le imprese hanno di fatto rinunciato all’utilizzo di contratti a tempo determinato di durata superiore a un anno. Probabilmente dipende anche dalla grandezza delle imprese : le imprese più grandi e più produttive tendono a ricorrere meno al tempo determinato, e offrono in media contratti a tempo determinato di durata più lunga e con una più alta probabilità di trasformazione e saranno queste aziende più interessata dal nuovo intervento legislativo ma dipende anche dai settori : i determinati di lunga durata sono più concentrati nella manifattura, mentre le durate medie sono inferiori nel terziario (soprattutto nei comparti a basso valore aggiunto), dove pertanto ci si può attendere una reazione meno accentuata a eventuali cambiamenti. Certo è che nel clima economico favorevole che ha fatto seguito al duro periodo pandemico, molti dei giudizi espressi in merito alla ripresa occupazionale registrata hanno portato l’accento sulla preponderante quota (sul totale del lavoro dipendente) di lavoro temporaneo che l’ha caratterizzata ma è evidente che il calo sistematico dei contratti a tempo indeterminato negli ultimi anni hanno risentito dei molti cambiamenti che hanno modificato un diverso assetto dell’occupazione: la crescente internazionalizzazione dei mercati con il ridisegno della catena globale del valore e l’ingresso di nuovi player, unitamente alla grande crisi economica del 2008 e poi la crisi pandemica e sociale hanno determinato un riassetto del sistema produttivo, con un ridimensionamento del settore manifatturiero ed una forte espansione di quello terziario. A ciò si sono aggiunti gli interventi normativi che in maniera non sempre coerente hanno ridefinito di volta in volta le convenienze nelle scelte contrattuali per il reclutamento della manodopera. Pensare ad una generalizzata stabilizzazione del lavoro in settori a forte stagionalità come quello agricolo, agro alimentari e turistico risulta sicuramente difficile, così come regolare le prestazioni lavorative nella scuola non è un problema di mercato. È vero che il tempo determinato pesa parecchio da solo per le assunzioni e anche la somministrazione ha un suo bacino, ma una volta che si escludano le quattro fattispecie il peso delle assunzioni “pure” con contratti a termine scende come risultato della forte domanda di somministrazione e della ricostituzione del bacino di tempo determinato “prosciugato” dalle stabilizzazioni incentivate. Il peso delle assunzioni a Ctd “genuine” subisce nel tempo delle oscillazioni molto modeste, che è all’interno di questo insieme che avviene il maggior numero di trasformazioni contrattuali a tempo indeterminato, con un ruolo quasi di prova lunga e riducendo l’aurea di precarietà della forma contrattuale iniziale. Voucher Novità anche per i contratti a voucher: si alza da 10.000 a 15.000 euro la soglia entro cui sono ammesse le cosiddette prestazioni di lavoro occasionale, ma solo per chi opera nei settori dei congressi, delle fiere, degli eventi, degli stabilimenti termali e parchi di divertimento. La misura è prevista per le imprese che “hanno alle dipendenze fino a 25 lavoratori subordinati a tempo indeterminato”, innalzando quindi il limite precedente che era di 8 unità. La facoltà di utilizzare i voucher o buoni lavoro era già stata ampliata con la manovra 2023 che aveva elevato a 10.000 euro il precedente limite annuo di 5.000 euro. Sparisce il limite dei 29 anni di età per i contratti di apprendistato dei soli settori turistico e termale (e per un massimo di 3 anni). Certo è che va comunque seguita la questione che pone l’interrogativo se il livello dei contratti a termine complessivo sia eccessivo e ingiustificato e quanto siano valide le sottostanti ragioni: sostituzione di personale in malattia, maternità o altro, picchi produttivi, stagionalità strutturale, surrettizi periodi prova. Vanno monitorate le singole “funzioni” dei contratti a termine e l’effettiva esistenza di “posti di lavoro a termine” che non possono certamente dar luogo a “assunzioni a tempo indeterminato”. Abusi e controlli Ci sono poi anche gli abusi: quote non rispettate, reiterazione di contratti contro le norme e così via. Qui si apre la partita dei controlli: che non sono difficili se si punta sui limiti quantitativi. E molto si può fare, oltre che con le ispezioni, con la vigilanza documentale che implica lo sviluppo e il miglioramento delle competenze pubbliche nel trattamento dei numerosi dati che l’amministrazione possiede (e usa scarsamente, aiutata anche dalla scusa della privacy). Copyright © - Riproduzione riservata

Fonte: https://www.ipsoa.it/documents/quotidiano/2023/05/23/contratti-termine-utilizzo-flessibile-imprese-effetti

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