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Verso il superamento del reddito di cittadinanza. Cosa serve considerare realmente?

Incrementare l’inclusione sociale e superare l’esperienza del reddito di cittadinanza. E’ uno degli obiettivi del decreto Lavoro. Il dibattito pubblico si è articolato fra pro e contro. Ma se si accetta l’idea che tutte le misure d’inclusione sociale, che si chiamino assegno d’inclusione o reddito di cittadinanza, sono espressione dell’etica sociale del nostro ordinamento e della Costituzione che ad esso presiede, occorre interrogarsi sull’impatto che determinate politiche di sostegno al reddito hanno avuto, hanno ed avranno sulla tenuta dell’attuale assetto democratico della società civile. Venendo al merito delle norme introdotte dal D.L. n. 48/2023 appare evidente che la differenza di approccio rispetto al reddito di cittadinanza si colloca sul tema della platea dei destinatari delle misure e, quindi, sulla differenza fra occupabili e non. Cosa è importante?

Il decreto Lavoro (D.L. 4 maggio 2023, n. 48) è il primo intervento riformatore d’impatto in materia da parte del Governo Meloni, che ha suscitato grandi aspettative, a dire il vero non del tutto soddisfatte, essendo il primo dopo una lunga stagione in cui a farla da padrone sono stati prima il decreto Dignità e poi la legislazione emergenziale. Si tratta di un testo normativo in cui, certamente, la “parte numerica” è rappresentata dalle misure del capo I che sono finalizzate ad incrementare l’inclusione sociale e superare l’esperienza del reddito di cittadinanza. Il dibattito pubblico, come spesso accade con riferimento a questi temi, si è articolato fra pro e contro, oppure sull’analisi dettagliata delle differenze fra gli strumenti. Chi scrive vuole sviluppare la propria riflessione uscendo dalla dinamica favorevole o contrario alla “misura” o da quella strettamente tecnica, provando ad affrontare il tema delle misure d’inclusione nella sua collocazione in ambito etico, sociale od economico per poi valutarne gli effetti. Sotto questo profilo, se si accetta l’idea che tutte le misure d’inclusione sociale, che si chiamino assegno d’inclusione o reddito di cittadinanza, sono espressione dell’etica sociale del nostro ordinamento e della Costituzione che ad esso presiede, allora il tema non può essere valutato solo sulla base del valore e del costo della loro introduzione. Da ciò discende che la dialettica circa la differenza del “costo” sostenuto fra reddito di cittadinanza e misure di inclusione previste dal decreto Lavoro si riduce ad una mera analisi “bilancistica” non di valore giuridico sociale delle misure. Escluso che la valutazione debba essere fatta in ambito economico, occorre svolgere altre considerazioni riguardanti eminentemente l’etica sociale. In particolare, occorre interrogarsi sull’impatto che determinate politiche di sostegno al reddito hanno avuto, hanno ed avranno sulla tenuta dell’attuale assetto democratico della società civile. In questa prospettiva occorre evidenziare che l'Italia, come molto spesso è accaduto ed accade, è stata molto più avanti di altri Paesi, come dimostra la cronaca transalpina anche molto recente, mostrando grande sensibilità nel disinnescare via via la potenziale “rabbia” sociale derivante dal disaggio economico. Sotto questo profilo, a prescindere dalla denominazione e dall’efficacia soggettiva, il nostro Paese ha sempre prestato una grande attenzione agli ammortizzatori sociali che avessero quale finalità quella della sopravvivenza “economica” degli individui e dei nuclei familiari. In altre parole, attraverso i diversi istituti giuridici compreso il reddito di cittadinanza, l’ordinamento ha introdotto nel sistema delle forme di “compensazione” che hanno fatto in modo di non attivare la polveriera sociale che in altri Paesi, invece, è esplosa in tutta la sua violenza. Sotto questo profilo è bene ricordare, proprio per non cadere nella logica degli schieramenti, quale sia stato il ruolo di “paracadute sociale” svolto del reddito di cittadinanza nel periodo pandemico a fronte di un mercato del lavoro in “sosta forzata”. Evitando l’insorgere dello stato di povertà attraverso le politiche messe in campo, l’effetto indotto è stato in ultima analisi quello di “sedare/anestetizzare” il rischio di scontri sociali. Sotto questo profilo, escludendo tutto il tema sull’utilizzo distorto che ruota intorno alle condotte fraudolente come qualunque provvedimento latu sensu assistenziale, occorre riconoscere il ruolo di “gestione sociale” che gli istituti di sostegno al reddito possono determinare. Per meglio comprendere occorre porre in evidenza che, pur essendo indiscutibile la circostanza per cui le misure da ultimo varate e reddito di cittadinanza sono due strumenti giuridici differenti, vi è una coincidenza di fondo data dalla protezione rispetto alla soglia di povertà. Queste brevi considerazioni sono volte ad evitare che i temi giuslavoristici siano trattati in modo atomistico ed avulso dal contesto storico e sociale nel quale si inseriscono, contesto che a volte è più importante del principio squisitamente giuridico. Venendo al merito delle norme introdotte dal D.L. n. 48/2023 appare evidente che la differenza di approccio rispetto al reddito di cittadinanza si colloca, fra gli altri, sul tema della platea dei destinatari delle misure e, quindi, sulla differenza fra occupabili e non. Sotto questo profilo una delle critiche avanzate alle bozze del decreto è stata quella per cui il Legislatore avrebbe un approccio troppo rigoroso in termini di durata e di stanziamenti nei confronti degli occupabili che non versano nell’ambito di applicazione dell’assegno d’inclusione. In particolare, si è rilevato che tale rigore lasci trasparire il retropensiero del Legislatore del 2023, per il quale gli occupabili non hanno un lavoro per ragioni che attengono ad una qualche loro incapacità o mancanza di volontà. Questo tipo di approccio, però, non è del tutto condivisibile perché in qualche modo legato a sua volta all’idea per la quale gli strumenti di politica attiva, comunque, non funzioneranno e, conseguentemente, il lavoratore dovrà sostentarsi con una somma molto bassa e per un tempo limitato. In realtà, il vero tema che segna la misura fra successo ed insuccesso delle misure - come peraltro è sempre stato - è quello della capacità del sistema di reimmettere questi soggetti svantaggiati nel mercato del lavoro. A dirla in altre parole, il limite delle passate misure, così come sarà quello delle attuali, non è il principio che sta alla base o la costruzione della norma o quale sia il perimetro di applicazione o ancora lo stanziamento di risorse, piuttosto la possibilità che i soggetti chiamati a gestire i processi siano realmente efficienti e contrastino ipotesi fraudolente. Sino a quando il dibattito rimarrà concentrato su sostegno si sostegno no, oppure quante risorse e per quanto tempo, non si centrerà mai l’obiettivo che è, certamente, sostegno adeguato, ma anche un sistema in cui il sostegno sarà di breve durata. Ciò non in forza di una norma più o meno ben scritta, ma dell’efficienza del sistema. In questo contesto l’auspicio - sebbene con tutte le riserve derivanti dall’esperienza precedente del reddito di cittadinanza - non può che essere quello per cui le nuove misure ingenerino un circolo virtuoso, nel quale non si dovrà discutere del tempo massimo nel quale viene erogato il sussidio e del suo valore economico, ma del suo ruolo residuale in ragione dell’efficienza dei servizi per l’impiego in Italia. Copyright © - Riproduzione riservata

Fonte: https://www.ipsoa.it/documents/quotidiano/2023/05/27/superamento-reddito-cittadinanza-serve-considerare-realmente

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