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Mansioni del lavoratore nelle (nuove) organizzazioni aziendali: la contrattazione collettiva deve cambiare passo

Parlare di mansioni del lavoratore significa confrontarsi con la norma che ha avuto, nel corso degli ultimi decenni, la maggiore portata innovativa inespressa del diritto del lavoro. La ragione di questa affermazione si comprende se si considera che la riforma del 2015 ha istaurato un legame fra le norme che regolano la gestione del rapporto di lavoro ed il tema sempre più importante dell’organizzazione imprenditoriale, con il conseguente superamento del concetto di equivalenza delle mansioni e della possibilità di procedere, a determinate condizioni e limiti, al demansionamento unilaterale. In entrambi i casi, però, la tutela del lavoratore deve essere contemperata con quella dell’azienda attraverso la mediazione ed il ruolo delle organizzazioni sindacali. Contrattazione, che, al momento e salvo alcune limitate ipotesi, ha scelto di non esplorare fino in fondo le opportunità che il legislatore ha messo a disposizione. In una visione prospettica è necessario un cambio di passo per sfruttare le opportunità offerte dalla formulazione della norma: è sufficiente guardare a cosa è avvenuto nelle organizzazioni aziendali a seguito della pandemia ed a cosa è facile preconizzare avverrà con l’introduzione delle intelligenze artificiali generative.

Scrivere dell’articolo 2103 c.c. in materia di mansioni del lavoratore significa, con buona approssimazione, confrontarsi con la norma che, nel recente passato, ha la maggiore portata innovativa inespressa del diritto del lavoro. La ragione di questa affermazione si comprende se si ha a mente che la riforma del 2015 ha istaurato un legame fra le norme che regolano la gestione del rapporto di lavoro ed il tema sempre più importante della organizzazione imprenditoriale. In questo contesto il sindacato, che nelle intenzioni del legislatore avrebbe dovuto avere un ruolo decisivo, ha scelto nella maggior parte delle ipotesi di non esercitarlo, dimostrando, così, una scarsa attitudine al cambiamento, ma anche una sorta di ritrosia nell’entrare nelle dinamiche che attengono l’organizzazione del lavoro. La modifica della norma codicistica muove da un cambio di visione, che peraltro ha caratterizzato molti dei provvedimenti di quella stagione riformatrice, per cui il margine di discrezionalità dell’interprete e del magistrato deve essere limitato (vedi tutele crescenti) e per cui la tutela del lavoratore deve essere contemperata con quella dell’azienda attraverso la mediazione ed il ruolo delle organizzazioni sindacali. Il “cambio di passo” del 2015 ha comportato uno spostamento del baricentro degli interessi tutelati dalla tutela della professionalità acquisita ad una regolamentazione della materia più improntata ad una logica di tipo economico, favorendo un maggior grado di flessibilità nella gestione della prestazione alle mutevoli esigenze di business. I principali aspetti innovativi sono legati per un verso al superamento del concetto di equivalenza delle mansioni - capo saldo della storica elaborazione giurisprudenziale in materia -, per altro verso alla possibilità di procedere, a determinate condizioni e limiti, al demansionamento unilaterale. Quanto al primo profilo il legislatore ha superato il concetto di equivalenza a favore di un’impostazione legata al dato formale contrattual-collettivo, ciò al fine di oltrepassare le incertezze applicative di fonte giurisprudenziale legate al concetto di equivalenza. In questo contesto ci si è chiesto in dottrina se nell’attuale assetto normativo vi sia spazio per una tutela della professionalità a prescindere dal dato formale dell’inquadramento. Un primo orientamento ritiene che non vi sia più alcuno spazio per la valutazione soggettiva della professionalità, avendo la norma inteso radicare la legittimità dello jus variandi alla sola verifica formale del medesimo inquadramento contrattuale. Secondo una diversa prospettazione l’equivalenza delle mansioni, alla luce della riforma, avrebbe una portata diversa rispetto a passato. Secondo questa impostazione sarebbe legittimo un mutamento di mansioni anche nel caso in cui l’inquadramento in un nuovo livello comporti l’adibizione del lavoratore a mansioni promiscue o del tutto diverse, sempre che i nuovi compiti assegnatigli non finiscano per vanificare la professionalità con la perdita di conoscenze e delle esperienze tutte acquisite nel tempo. Una diversa posizione ridimensiona la portata innovativa della riforma laddove si sostiene che se le nuove mansioni di adibizione rispettano il livello d’inquadramento pregresso ma non rispettano la professionalità del lavoratore (il c.d. saper fare acquisito) sorge un problema di costituzionalità” nella misura in cui la professionalità del dipendente è costituzionalmente tutelata (artt. 2, 3, 35, 41 Cost). Rispetto a queste diverse impostazioni, la giurisprudenza di merito si è attestata nell’alveo di una un’interpretazione strettamente aderente al testo della norma collocandosi, quindi, nel solco della prima opzione interpretativa. Quanto al secondo aspetto il legislatore del 2015 rispetto alla disciplina precedente ha ammesso, a determinate condizioni, l’assegnazione unilaterale a mansioni inferiori. In particolare, risulta possibile “in caso di modifica degli assetti organizzativi aziendali che incide sulla posizione del lavoratore” assegnare questo “a mansioni appartenenti al livello di inquadramento inferiore purché rientranti nella medesima categoria legale”. Rispetto alla formulazione della norma si sono posti alcuni interrogativi che riguardano il “perimetro” della modifica degli assetti organizzativi. In primo luogo, non può non essere rilevata la differenza di ampiezza fra la norma in vigore ed il contenuto della delega di cui alla legge n. 183/2014. Sotto questo profilo il Legislatore delegante richiamava il concetto di “processi di riorganizzazione, ristrutturazione o conversione aziendale”. Tale indicazione nella delega sembra tracciare un collegamento fra lo jus variandi e l’eccedenza di personale di cui alla legge n. 223/1991. Questo legame, però, deve ritenersi escluso nella formulazione della norma delegata di cui all’art. 3 del D.Lgs. n. 81/2015, determinando che le modifiche degli assetti organizzativi possono essere del tutto slegate da vicende che implicano l’esubero. E’ evidente che, in questa logica, la portata innovativa della norma è ancora più evidente. Sebbene il concetto di modifica degli assetti organizzativi sia estremamente generico l’interpretazione più coerente è quella per cui si debba trattare di un processo di riorganizzazione che non si limiti allo spostamento della risorsa, ma che comporti come effetto quello di incidere direttamente sulla posizione del singolo lavoratore. In dottrina molte sono state le voci che si sono espresse sul differente assetto di tutele che emerge dal testo del nuovo art. 2103 c.c., ma ciò che appare evidente è la circostanza per cui l’ordinamento ha preso atto della necessità di valorizzare l’elemento dell’organizzazione rispetto alla tutela fine a sé stessa di posizioni individuali acquisite. In altre parole, la possibilità di operare un demansionamento “limitato” offre un’opportunità all’azienda di modificare l’utilizzo di un dipendente che diversamente avrebbe avuto difficoltà a rimanere aderente al progetto dell’imprenditore con ogni possibile conseguenza sul piano individuale. In questo contesto dovrebbe o sarebbe stato auspicabile che giocasse un ruolo centrale la contrattazione collettiva laddove al comma 4 dell’art. 2103 c.c. prevede che “Ulteriori ipotesi di assegnazione di mansioni appartenenti al livello di inquadramento inferiore, purché rientranti nella medesima categoria legale, possono essere previste dai contratti collettivi”. E quindi i contratti collettivi - soprattutto aziendali - sono, o per meglio dire, sarebbero lo strumento per disegnare i limiti dello ius variandi anche nel senso del demansionamento. Sebbene sia stato dato ampio margine alla contrattazione, le parti collettive, al momento e salvo alcune limitate ipotesi, hanno scelto di non “esplorare” fino in fondo le “opportunità” che il legislatore ha messo loro a disposizione. Da questo approccio non proattivo discende sul piano applicativo quello di annullare, o meglio ridimensionare, le “opportunità” che possono discendere dalla concertazione su questa materia. In una visione prospettica occorre che la concertazione faccia proprio quello spazio concesso dal legislatore per andare a regolare un aspetto che da qui ai prossimi anni sarà decisivo. Sotto questo profilo sarà sufficiente guardare a cosa è avvenuto nelle organizzazioni aziendali a seguito della pandemia ed a cosa è facile preconizzare avverrà con l’introduzione delle intelligenze artificiali generative. Copyright © - Riproduzione riservata

Fonte: https://www.ipsoa.it/documents/quotidiano/2023/08/10/mansioni-lavoratore-nuove-organizzazioni-aziendali-contrattazione-collettiva-cambiare-passo

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