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Sicurezza sul lavoro: cosa bisogna fare (il prima possibile) per evitare i gravi incidenti

Dopo l’ennesimo grave incidente sul lavoro, occorso a Brandizzo, viene spontanea la domanda: cosa fare per evitare queste tragedie? Due potrebbero essere le vie percorribili. In primo luogo, creare la procura nazionale in materia di sicurezza sul lavoro al fine di svolgere, finalmente in tutto il territorio nazionale, azioni sistematiche e organiche di prevenzione in ordine ai problemi che maggiormente insidiano la vita e la salute dei lavoratori. In secondo luogo, riformare in modo organico alcune norme del Codice penale e del Testo Unico sulla Sicurezza del Lavoro, per porre fine a interpretazioni riduttive largamente diffuse. Ma non basta: è necessaria una riforma organica (anche e purtroppo) per chiudere i varchi aperti da una giurisprudenza della Cassazione diventata meno severa rispetto al passato. Serve fare altro?

Infortuni e disastri continuano a ferire il nostro Paese. Dopo i cinque morti di Brandizzo, tutti ci chiediamo: che fare? Due sono le mie risposte. La prima riguarda la giustizia in materia di sicurezza. Non basta irrobustire gli organici e la professionalità dei servizi di vigilanza. Troppo spesso i processi penali sui morti e sui disastri si fanno con una tale lentezza che prima di arrivare al verdetto finale della Cassazione si concludono con la prescrizione del reato. La conseguenza è devastante. Si diffonde un allarmante senso d’impunità, l’idea che le regole ci sono, ma che si possono violare senza incorrere in effettive responsabilità. E si diffonde tra le vittime e i loro parenti un altrettanto inquietante senso di giustizia negata. Ben si comprende che sia diventato un tema all’ordine del giorno l’allungamento dei termini di prescrizione (o perlomeno l’esclusione della prevalenza delle circostanze attenuanti rispetto all’aggravante della violazione delle norme antinfortunistiche, o la previsione di un autonomo reato di omicidio o lesione colposa da lavoro). Ma rendiamoci conto che la strada maestra è quella di ridurre i tempi dei processi, prima di tutto a tutela delle vittime dei reati. Sarebbe il momento di porre fine alle lamentele inconcludenti, e di passare dalle parole ai fatti. Sono tante, sono troppe, le procure della repubblica chiamate ad operare anche nel settore della sicurezza sul lavoro. Con questo risultato. Che vi sono procure della repubblica (poche) specializzate, e procure della repubblica (la maggior parte) non specializzate, e per di più con un organico a tal punto ridotto da impedire ai pochi magistrati presenti di farsi la competenza e l’esperienza necessarie. Eppure, il caso ThyssenKrupp dovrebbe aver fatto scuola. Ci sono voluti 10 anni per arrivare alla fine del processo. Ma il processo si è salvato dalla prescrizione. Perché? Perché si sono impiegati 2 mesi e mezzo per fare le indagini. Qualcuno dice: perché a condurle erano magistrati più bravi degli altri. Ma non è così. La ragione è che le indagini furono fatte da magistrati specializzati, e per giunta anche mediante atti non usuali nell'ambito dei procedimenti aventi per oggetto infortuni o malattie professionali: come la perquisizione all'interno dei computer e supporti informatici o dei server accessibili dalle sedi aziendali. Atti che il nostro codice di procedura penale non riserva a reati come quelli di mafia, ma che legittima anche per omicidi o disastri colposi (o con dolo eventuale). Atti che sono indispensabili per ricercare le effettive responsabilità, non solo ai livelli più bassi dell’organigramma aziendale, bensì pure dentro le stanze dei consigli di amministrazione, là dove si decidono le politiche e le strategie della sicurezza. E atti che schiudono le porte verso scenari probatori magari impensabili. Come ancora una volta dimostra il caso ThyssenKrupp. Solo grazie all’immediata perquisizione dei computer fu possibile scoprire il fatto sottolineato dalle Sezioni Unite della Cassazione nella sentenza del 14 ottobre 2014, e, cioè, che “la dirigenza ed i tecnici dell'azienda deliberarono consapevolmente di installare l'impianto antincendio solo dopo il trasferimento della linea a Terni”. Ecco perché dobbiamo creare la procura nazionale in materia di sicurezza sul lavoro. Altrimenti resta largamente insoddisfatta un’ulteriore esigenza, quella di svolgere finalmente in tutto il territorio nazionale azioni sistematiche e organiche di prevenzione in ordine ai problemi che maggiormente insidiano la vita e la salute dei lavoratori, anche, ma non solo, traendo spunto dalle tragedie ormai consumate. Accade l’infortunio su una gru, su un ponte, su una funivia, su una linea ferroviaria, a diciottenni in scuole lavoro. Più che mai necessario è sviluppare indagini incisive e rapide sullo specifico evento. Ma non basta. Occorre anche porsi degli interrogativi: in quale stato versano le altre gru, gli altri ponti, le altre funivie, le altre linee ferroviarie, le altre scuole lavoro nel Paese? Vengono rispettate le regole che ne disciplinano la sicurezza, a partire da quelle che presiedono alle loro verifiche? E i soggetti incaricati delle verifiche provvedono adeguatamente? Si tratta di interrogativi che allo stato attuale rimangono senza risposta. Ogni procura della repubblica ha un’area limitata di competenza territoriale, e non può certo mettersi ad allargare le indagini nelle altre zone del Paese. Ben diverso sarebbe l’approccio di una procura nazionale, legittimata a promuovere finalmente in tutto il territorio nazionale i necessari accertamenti. Anche perché non tutti sanno, persino in sede istituzionale, che il nostro codice di procedura penale chiama i pubblici ministeri a svolgere attività d’indagine non solo a seguito di denuncia, ma anche di propria iniziativa. Ed anche perché non tutti -persino pubblici ministeri e ispettori- hanno assimilato quella responsabilità c.d. amministrativa prevista dal D.Lgs. n. 231/2001 anche per i delitti di omicidio colposo e di lesioni personali colpose gravi o gravissime commessi con violazione delle norme sulla tutela della sicurezza nei luoghi di lavoro. Senza di che continueremo ad assistere a un ulteriore fenomeno: l'attuale, fuorviante frammentazione delle indagini su situazioni analoghe quando non identiche che si verificano in diversi luoghi del Paese. Faccio un solo esempio: infortuni sul lavoro o malattie professionali o disastri che si verificano in aziende facenti capo alla medesima società o al medesimo gruppo, e, dunque, a casi che non coinvolgono soltanto una circoscritta zona territoriale. Ogniqualvolta esplode un'emergenza del genere, si avverte la necessità di una gestione unitaria del caso. E invece accade che ogni singola procura della repubblica o addirittura non valuti proprio il fenomeno, o valuti autonomamente un solo aspetto del fenomeno, non abbia il quadro d'insieme, e non sia, pertanto, in grado di approfondire il fenomeno nella sua globalità. Ogni procura della repubblica esamina un pezzetto della storia complessiva, e non ha la possibilità di ricomporre le diverse tessere in un mosaico coerente. Il risultato è che di rado riusciamo a cogliere le effettive cause e le reali dimensioni del fenomeno, non sempre riusciamo a comprenderne le ripercussioni profonde sulla salute, troppo spesso le effettive responsabilità rimangono avvolte nel mistero. Come stupirsi allora se, ad esempio, le indagini sui tumori professionali occorsi a lavoratori di stabilimenti della stessa società esercenti la medesima attività e situati in diverse parti del territorio italiano si chiudano in una zona con la condanna e in altre zone nemmeno si aprano o finiscano con un 'archiviazione? Ma c’è una seconda strada da percorrere: una riforma organica di alcune norme del codice penale e del Testo Unico sulla Sicurezza del Lavoro che ponga fine a interpretazioni riduttive largamente diffuse. Esemplari le avventurose analisi tentate anche in questi giorni da esperti improvvisati sugli obblighi da anni vigenti e quanto mai attuali che, in caso di attività lavorative svolte da imprese appaltatrici o sub-appaltatrici, gravano, sì, sui datori di lavoro di queste imprese, ma che già oggi vincolano in prima linea lo stesso committente, e segnatamente lo stesso vertice dell’impresa committente, ivi compresa la grande impresa, che non tuteli la sicurezza dei lavoratori distaccati nella sua azienda o nei cantieri. E si badi: sono luoghi di lavoro, non solo i locali aziendali, ma persino le strade o le autostrade o le linee ferroviarie. Ma non basta. Si rende necessaria una riforma organica anche e purtroppo per chiudere i varchi aperti da una giurisprudenza della Cassazione diventata meno severa rispetto al passato su temi centrali quali i disastri dentro e fuori dell’azienda, le morti dei terzi, i tumori (amianto in testa): anche se per fortuna non mancano le eccezioni (come la preziosa sentenza di questo fine agosto sulla nube tossica di acido solfidrico con decesso di quattro lavoratori e lesioni patite da un quinto). E d’altra parte una riforma organica necessaria per fronteggiare i drammi vissuti dai garanti della sicurezza, e, per cominciare, dallo stesso datore di lavoro indelegabilmente obbligato a individuare rischi e misure di prevenzione, e tenuto a rispondere di ogni errore a prescindere dal possesso di competenze tecniche, con palesi ricadute sugli stessi lavoratori, tutt’altro che tutelati da un tal datore di lavoro. Ma persino il dramma dell’RLS: una persona eletta o designata per rappresentare i lavoratori per quanto concerne gli aspetti della salute e della sicurezza durante il lavoro, e, dunque, chiamata dall’art. 50 D.Lgs. n. 81/2008 ad esercitare impegnative “funzioni di controllo sull'adempimento degli obblighi datoriali”; ma quante volte una persona abbandonata a se stessa, un figlio di nessuno. Copyright © - Riproduzione riservata

Fonte: https://www.ipsoa.it/documents/quotidiano/2023/09/09/sicurezza-lavoro-bisogna-il-prima-possibile-evitare-gravi-incidenti

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