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Ambienti sospetti di inquinamento o confinati: in quali casi è obbligatoria la certificazione dei contratti

L’Ispettorato nazionale del lavoro, con la nota n. 694 del 2024, ha fornito indicazioni in merito alla certificazione di contratti per le attività svolte nei luoghi confinati e negli ambienti sospetti di inquinamento. In particolare, viene specificato che non va certificato il contratto di appalto bensì tutti i contratti di lavoro del personale impiegato dall’appaltatore, anche se a tempo indeterminato. Un’interpretazione fornita nel documento di prassi che, tuttavia, può far sorgere dei dubbi interpretativi. Quali sono? E’ uno dei temi del 13° Forum One LAVORO, organizzato da Wolters Kluwer in collaborazione con Dottrina Per il Lavoro, che si svolge a Modena il 27 febbraio 2024.

Nei luoghi confinati e negli ambienti sospetti di inquinamento non va certificato il contratto di appalto bensì tutti i contratti di lavoro del personale impiegato dall’appaltatore, anche se a tempo indeterminato. È quanto si legge nella nota n. 694 del 24 gennaio 2024 per mezzo della quale l’Ispettorato nazionale del lavoro fornisce nuove indicazioni in merito agli obblighi prevenzionistici indicati nel D.P.R. n. 177/2011. La certificazione dei contratti La certificazione dei contratti di lavoro è stata introdotta dal D.Lgs. n. 276/2003 (cfr. artt. 75 e ss.) e rappresenta una delle più importanti novità dell’intera riforma del mercato del lavoro prevista da Marco Biagi. Questo istituto è stato introdotto col dichiarato intento di ridurre la notevole mole di contenzioso (amministrativo e giudiziario) che caratterizza i contratti di lavoro. Difatti l’utilizzo della certificazione come forma di asseverazione avrebbe dovuto comportare, secondo il Legislatore, la riduzione dell’alea che spesso circonda alcune tipologie contrattuali.

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Oggetto della certificazione Originariamente il testo di legge prevedeva la possibilità di certificare soltanto alcuni contrati di lavoro (intermittente, job sharing, part-time, co.co.pro., associazione in partecipazione, rapporti disciplinati dal regolamento delle società cooperative e appalto). Col tempo, tuttavia, il Legislatore ha allargato il perimetro di riferimento. Oggi, difatti, la procedura di certificazione può avere ad oggetto: - tutti i contratti di lavoro; - le rinunce e transazioni; - Il regolamento interno delle cooperative, relativamente ai contratti stipulati con i soci lavoratori; - i contratti di appalto, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 84, del D.Lgs. n. 276/2003. Tutela della salute e sicurezza negli in ambienti sospetti di inquinamento o luoghi confinanti Allo scopo di impedire, o quantomeno ridurre, il rischio di drammatici infortuni sul lavoro, nel 2011 è stato emanato il D.P.R. n. 177 che ha introdotto alcune disposizioni finalizzate a qualificare gli operatori e, più in generale, innovative misure di innalzamento della tutela della salute e sicurezza dei lavoratori delle imprese che operano in ambienti sospetti di inquinamento o confinati. Al riguardo, sono considerati ambienti sospetti di inquinamento i pozzi neri, le fogne, i camini, le fosse, le gallerie e in generale in ambienti e recipienti, condutture, caldaie e simili, ove sia possibile il rilascio di gas deleteri, vapori tossici, asfissianti, infiammabili o esplosivi (v. art. 66, e 121, D.Lgs. n. 81/2008); per i luoghi confinati, pur non esistendo una precisa definizione normativa, è possibile identificare come tali quelli rientranti nelle tipologie richiamate dall’Allegato IV, punto 3, del TUSL, titolato “vasche, canalizzazioni, tubazioni, serbatoi, recipienti, silos”. Come, purtroppo, ci hanno insegnato anche tragici fatti di cronaca, le attività svolte in questi spazi non adeguatamente ventilati o preventivamente bonificati possono essere letali. Allo scopo di valutare l’idoneità tecnico professionale delle imprese e dei lavoratori che svolgono le attività in questi luoghi così rischiosi, il Regolamento, fra l’altro, prevedeva (e prevede) l’obbligo di certificare i contratti. A fronte dei dubbi e delle incertezze che circondano quest’obbligo, l’Ispettorato nazionale del lavoro, per mezzo della recente nota n. 694 del 24 gennaio 2024, ha tentato di chiarire in quali casi sia necessario il preventivo vaglio da parte delle commissioni di certificazione. A tal proposito, l’Agenzia richiama le previsioni dell’art. 2, comma 1, lett. c) del Regolamento secondo cui l’attività lavorativa in questi luoghi può essere svolta unicamente da imprese o lavoratori autonomi qualificati in possesso, tra l’altro, “di personale, in percentuale non inferiore al 30 per cento della forza lavoro, con esperienza almeno triennale relativa a lavori in ambienti sospetti di inquinamento o confinati, assunta con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato ovvero anche con altre tipologie contrattuali o di appalto, a condizione, in questa seconda ipotesi, che i relativi contratti siano stati preventivamente certificati ai sensi del Titolo VIII, Capo I, del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276. Tale esperienza deve essere necessariamente in possesso dei lavoratori che svolgono le funzioni di preposto”. Al fianco, dunque, di uno “zoccolo duro” di lavoratori che deve essere in possesso di una robusta esperienza e di una specifica qualificazione professionale, chi esegue questo genere di lavori ad alto rischio può impiegare anche personale con “altre tipologie contrattuali” (es. contratti a tempo determinato, co.co.co., lavoratori somministrati, ecc.). In questi casi, tuttavia, in virtù della presumibile minore esperienza e qualificazione professionale, i relativi contratti di lavoro dovranno essere preventivamente certificati. Inoltre, spiega l’INL, qualora l’impiego del personale addetto a questo tipo di lavorazioni avvenga in forza di un contratto di appalto, sarà necessario certificare i contratti di lavoro del personale utilizzato dall’appaltatore - ancorché siano contratti di lavoro subordinato a tempo indeterminato - senza che vi sia anche l’obbligo di certificare il contratto “commerciale” di appalto. Difatti, interpretando la lettera della norma, l’Agenzia afferma che, qualora il “legislatore” avesse voluto imporre la certificazione anche del contratto di appalto, lo avrebbe esplicitamente scritto così come ha fatto a proposito del contratto di subappalto. D'altronde, arguisce l’Ispettorato, prevedere la certificazione dei contratti di lavoro del personale utilizzato dall’appaltatore rappresenta già una “garanzia in ordine sia ai requisiti di esperienza richiesti dalla norma, sia per quanto concerne i trattamenti retributivi e normativi riservati a tale personale che, evidentemente, costituiscono anch’essi un indice di regolarità dell’appalto.”. Dubbi interpretativi Alcune interpretazioni fornite dall’Agenzia nella recente nota suscitano, tuttavia, dei dubbi. In particolare, a parte alcune ambiguità logico-grammaticali purtroppo presenti nel testo normativo, prevedere che, in caso di appalto, non si debba certificare il contratto “commerciale” bensì tutti i contratti di lavoro del personale utilizzato dall’appaltatore, ivi compresi quelli subordinati a tempo indeterminato, non appare in linea col dettato regolamentare. Difatti, anche a voler trascurare il dato letterale dell’art. 2, co. 1, lett. c), secondo cui, per lo svolgimento di tali attività, è necessaria “(la) presenza di personale, in percentuale non inferiore al 30 per cento della forza lavoro, con esperienza almeno triennale relativa a lavori in ambienti sospetti di inquinamento o confinati, assunta con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato ovvero anche con altre tipologie contrattuali o di appalto, a condizione, in questa seconda ipotesi, che i relativi contratti siano stati preventivamente certificati ai sensi del Titolo VIII, Capo I, del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276.”, un’interpretazione logico-sistematica del D.P.R. n. 177/2011 porterebbe comunque a ritenere obbligatoria la certificazione anche degli appalti (o quantomeno di quelli in cui siano ipotizzabili interferenze fra gli operatori all’interno di quei luoghi pericolosi). Inoltre, prevedere l’obbligo di certificare anche i contratti di lavoro subordinati a tempo indeterminato (e non solo quelli c.d. “flessibili”) relativi al personale utilizzato dall’appaltatore, appare una forzatura interpretativa. Oltretutto, certificare tutti i contratti dei singoli lavoratori che operano in questi ambienti non equivale affatto a certificare il contratto di appalto. Difatti, nel primo caso la commissione adita potrà valutare i requisiti e le clausole relative ai singoli contratti stipulati coi lavoratori (es. tipologia contrattuale, adeguata formazione, presenza della necessaria informazione sui rischi relativi alle attività svolte in quegli ambienti, adeguata esperienza specifica, qualificazione); nel secondo caso, invece, la commissione verrà messa in condizione di valutare altri e diversi aspetti quali, ad esempio, la corretta qualificazione del negozio giuridico, la presenza di una idonea organizzazione imprenditoriale, la corretta qualificazione dell’impresa esecutrice, la sussistenza degli adempimenti del committente in ordine alla verifica dell’idoneità tecnico-professionale dell’appaltatore, la presenza di un’approfondita valutazione dei rischi presenti in questi ambienti, la presenza di un DUVRI adeguato, la presenza di idonee misure di gestione delle emergenze, l’adempimento degli obblighi relativi alla sorveglianza sanitaria e la presenza di adeguati dispositivi di protezione individuale. Sanzioni Così come indicato anche nella nota del Ministero del Lavoro n. 11649 del 27 giugno 2013, nel caso in cui il datore di lavoro non ottemperi alle prescrizioni in materia di certificazione dei contratti prevista dal D.P.R. n. 177/2011, è applicabile, nei confronti del datore di lavoro committente, la sanzione relativa alla non corretta verifica dell’idoneità tecnico professionale delle imprese appaltatrici o dei lavoratori autonomi prevista dall'art. 26, co. 1, lett. a), D.Lgs. n. 81/2008, vale a dire l’arresto da due a quattro mesi o l’ammenda da 1.423,83 a 6.834,44 euro (cfr. art. 55, co. 5, lett. b), D.Lgs. n. 81/2008). Trattandosi di violazione di tipo contravvenzionale in materia di igiene, salute e sicurezza del lavoro, il personale ispettivo adotterà il provvedimento di prescrizione obbligatoria ed estinzione del reato previsto dall’art. 301 del TUSL. Poiché, infine, la violazione di che trattasi è penalmente rilevante, il personale ispettivo - in qualità di ufficiale di polizia giudiziaria - dovrà osservare le norme del Codice di procedura penale e, fra queste, anche l’art. 347. All’atto pratico ciò comporta che se, ad esempio, nel corso di un accertamento sui luoghi di lavoro dove vengono svolte attività confinate, dovessero emergere dei contratti di lavoro che, in spregio alle previsioni contenute nel D.P.R. n. 177/2011, non sono stati certificati, il personale ispettivo avrà anche l’obbligo di informare tempestivamente la Procura della Repubblica territorialmente competente.Le seguenti considerazioni sono frutto esclusivo del pensiero dell’autore e non hanno carattere in alcun modo impegnativo per l’Amministrazione di appartenenza
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Fonte: https://www.ipsoa.it/documents/quotidiano/2024/02/14/ambienti-sospetti-inquinamento-confinati-casi-obbligatoria-certificazione-contratti

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