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Jobs act: tutela reintegratoria più ampia nei casi di nullità del licenziamento

La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 22 del 22 febbraio 2024, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell’art. 2, primo comma, del D.Lgs. n. 23 del 2015, limitatamente alla parola “espressamente”. Nello specifico, la richiamata disposizione è stata ritenuta illegittima nella parte in cui, nel riconoscere la tutela reintegratoria, nei casi di nullità del licenziamento di lavoratori assunti con contratti a tutele crescenti, a partire cioè dal 7 marzo 2015, l’ha limitata alle nullità sancite “espressamente”. Quali sono le ragioni della decisione della Corte Costituzionale?

Con la sentenza n. 22 depositata il 22 febbraio 2024 la Corte Costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzione dell’art. 2, primo comma, del D.Lgs. n. 23/2015, limitatamente alla parola “espressamente”. Tale disposizione, quindi, è stata ritenuta illegittima nella parte in cui, nel riconoscere la tutela reintegratoria, nei casi di nullità, previsti dalla legge, del licenziamento di lavoratori assunti con contratti a tutele crescenti (quindi a partire dal 7 marzo 2015), l’ha limitata alle nullità sancite “espressamente”. La richiamata disposizione è stata ritenuta illegittima nella parte in cui, nel riconoscere la tutela reintegratoria, nei casi di nullità del licenziamento di lavoratori assunti con contratti a tutele crescenti - a partire cioè dal 7 marzo 2015 - l’ha limitata alle nullità sancite “espressamente”. Con il comunicato del 22 febbraio scorso la Corte Costituzionale sottolinea che dalla dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma censurata, limitatamente alla parola “espressamente”, consegue che il regime del licenziamento nullo è lo stesso, sia che nella disposizione imperativa violata ricorra l’espressa sanzione della nullità, sia che ciò non sia testualmente previsto, sempre che risulti prescritto un divieto di licenziamento al ricorrere di determinati presupposti. La vicenda Il giudizio oggetto dell’intervento della Corte riguardava un dipendente che, assunto con mansioni di autista in data successiva all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 23 del 2015 (7 marzo 2015), all’esito di una contestazione disciplinare aveva subito il provvedimento disciplinare di destituzione, tempestivamente impugnato in giudizio al fine di veder accertata la nullità del licenziamento per contrarietà alle norme imperative in materia di procedure per l’irrogazione di sanzioni disciplinari, ovvero perché di natura discriminatoria, con conseguente condanna della società convenuta alla reintegra ed al risarcimento del danno. La Corte d’appello di Firenze aveva dichiarato la nullità del procedimento disciplinare e della conseguente sanzione escludendo, però, che l’ipotesi sottoposta al suo esame rientrasse nella disciplina di cui all’art. 2, comma 1, del D.Lgs. n. 23 del 2015, che riservava la sanzione della reintegra al licenziamento discriminatorio o “riconducibile agli altri casi di nullità espressamente previsti dalla legge”, poiché in questo caso, esclusa la discriminazione, la nullità, pur sussistente in conformità dell’univoco orientamento della giurisprudenza di legittimità, non risultava espressa, bensì riconducibile a categorie di ordine generale; optava quindi per la tutela indennitaria ex art. 3 dello stesso decreto legislativo. La Corte di cassazione rimettente ha censurato tale limitazione, in riferimento all’art. 76 della Costituzione, deducendo che l’esclusione delle nullità, diverse da quelle “espresse”, non trovasse rispondenza nella legge di delega, la quale riconosceva la tutela reintegratoria nei casi di “licenziamenti nulli” senza distinzione alcuna. In giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri che, con atto depositato il 17 luglio 2023, ha chiesto che la questione fosse dichiarata manifestamente infondata. Nella disamina delle norme che nel tempo si sono succedute in tema di licenziamenti individuali la Suprema Corte sottolinea che, nel contesto riformatore del D.Lgs. n. 23 del 2015, la disciplina del licenziamento nullo è regolata dall’art. 2, che già nella rubrica tiene distinti il licenziamento discriminatorio e quello nullo, e che nel suo comma 1 stabilisce: “Il giudice, con la pronuncia con la quale dichiara la nullità del licenziamento perché discriminatorio a norma dell’articolo 15 della legge 20 maggio 1970, n. 300, e successive modificazioni, ovvero perché riconducibile agli altri casi di nullità espressamente previsti dalla legge, ordina al datore di lavoro, imprenditore o non imprenditore, la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro, indipendentemente dal motivo formalmente addotto”. Ne consegue che la fattispecie unitaria, ampia e onnicomprensiva di cui all’art. 18 Statuto lavoratori, come novellato dalla legge n. 92 del 2012, in tal modo si sdoppia: da un lato, il licenziamento “espressamente” nullo; dall’altro, il licenziamento nullo, ma senza l’espressa (e quindi testuale) previsione della nullità. Sotto esame è, quindi, l’avverbio espressamente”, contenuto nella disposizione censurata e non già nel criterio direttivo della legge di delega, e la sua funzione selettiva rispetto alle nullità cui troverebbe applicazione la disciplina della reintegrazione. Secondo la Corte rimettente tale dicitura esclude dall’ambito applicativo della norma censurata tutte le ipotesi in cui, pur ricorrendo la violazione di una norma imperativa, la nullità non sia testualmente prevista come conseguenza della stessa. La decisione della Corte Costituzionale La Corte Costituzionale condivide questa lettura, pertanto la questione sollevata in riferimento all’art. 76 Cost. è fondata e chiama in causa i limiti della delegazione legislativa. Ed è un fatto che nella legge che delega il Governo a disciplinare la nullità dei licenziamenti individuali manca del tutto la distinzione tra nullità “espressamente” previste e nullità conseguenti sì alla violazione di norme imperative, ma senza l’espressa loro previsione come conseguenza di tale violazione. Pertanto, la Corte Costituzionale dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 2, comma 1, del D.Lgs. n. 23 del 2015, limitatamente alla parolaespressamente”. Per effetto di tale pronuncia il regime del licenziamento nullo è lo stesso, sia che nella disposizione imperativa violata ricorra anche l’espressa (e testuale) sanzione della nullità, sia che ciò non sia espressamente previsto, pur rinvenendosi il carattere imperativo della prescrizione violata e comunque “salvo che la legge disponga diversamente”. Occorre, però, pur sempre che la disposizione imperativa rechi, in modo espresso o no, un divieto di licenziamento al ricorrere di determinati presupposti. Copyright © - Riproduzione riservata

Fonte: https://www.ipsoa.it/documents/quotidiano/2024/02/23/jobs-act-tutela-reintegratoria-ampia-casi-nullita-licenziamento

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