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Security manager. Sempre più strategico per gli asset aziendali

Tra le principali obbligazioni che gravano sul datore di lavoro, si annovera la “sicurezza” che, in particolare in Italia, impone di assicurare l’integrità fisica e morale del lavoratore. L’art. 2087 c.c. richiede all’imprenditore di saper prevedere ogni possibile rischio, poiché l’impresa resta esente da responsabilità solo in casi specifici. I meccanismi di prevenzione rispondono, quindi, e non solo, ad un imperativo “etico”, alla necessità di assicurare un impiego attrattivo per i dipendenti, alla funzione di compliance, che non riguarda solamente l’analisi dei meccanismi di produzione, ma si estende a tutti i rischi esterni che possano derivare dai sistemi informatici, dall’instabilità geopolitica dei territori in cui opera l’azienda o anche dall’immagine stessa che l’impresa offre ai suoi clienti, ai fornitori e ai consumatori. E quindi accanto alla tradizionale e ben nota figura degli health and safety manager, diventa di primaria importanza la presenza in azienda del security manager. Di cosa si deve occupare?

Classicamente il tema della prevenzione dei rischi in azienda riguarda gli infortuni sul luogo di lavoro e i rapporti con l’ente previdenziale preposto. Oramai da tempo, però, ci si è resi conto che, accanto alla retribuzione, la principale obbligazione che grava in capo al datore di lavoro è quella della “sicurezza” che, in particolare in Italia, impone di assicurare l’integrità “fisica e morale” del lavoratore (così l’art. 2087 c.c.). Si tratta di un impegno davvero gravoso, sia per il tipo di responsabilità che viene posta in capo alle aziende, sia perché tutti gli aspetti della persona del lavoratore sono tutelati (di modo che, per comprenderne la portata, basti qui dire che nessuna modifica normativa è stata richiesta, più di venti anni fa, per riconoscere rilievo giuridico al mobbing o al sexual harassment). La norma del codice civile richiede, quindi, di saper prevedere ogni possibile rischio, poiché l’impresa resta esente da responsabilità solo ove dimostri di aver adottato tutte le misure che, secondo l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a garantire al lavoratore di poter rientrare nella propria dimora, al termine del suo lavoro, senza aver riportato menomazioni o perdite (di qualunque tipo) della sua integrità personale. Ovviamente l’obbligo “di sicurezza” va declinato in ragione delle particolarità del settore in cui si svolge l’attività dell’impresa, di modo che i rischi che gravano sui lavoratori devono essere presi in considerazione, già nella fase in cui si organizza la quotidiana attività, secondo il ben noto modello della valutazione preventiva (risk assessment). I meccanismi di prevenzione non solo rispondono ad un imperativo “etico”, o alla necessità di assicurare un impiego attrattivo per i propri dipendenti, ma vengono anche a configurare norme di buona amministrazione, là dove sono diretti ad evitare il sorgere di danni a terzi o ai propri dipendenti, di qualunque tipo, che possano poi travolgere, per le loro conseguenze, la stessa quotidiana operatività aziendale. In questo modo la funzione di compliance non viene più a riguardare solamente l’analisi dei meccanismi di produzione, in senso stretto, ma si estende a tutti i rischi “esterni”, che possano derivare ad esempio dai sistemi informatici, dalla instabilità geopolitica dei territori in cui opera l’azienda o anche dall’immagine stessa che l’impresa offre ai suoi clienti, ai fornitori e ai consumatori. Accanto alla tradizionale e ben nota figura degli RSPP (o health and safety manager), quindi, sono sorti (e si sono diffusi negli anni) i security manager, chiamati a fronteggiare tutti i possibili accadimenti che interessano, ad es., la sicurezza delle zone in cui vengono ad operare i dipendenti in missione o i rischi da contagio epidemico, o la perdita di beni o segreti aziendali o il pericolo di essere assoggettati a iniziative violente di terzi. E non mancano le minacce “ibride”, che vengono a sommare più fattori di pericolo. Né l’attenzione può venir meno, una volta che la trasferta si sia conclusa, perché, come ha dimostrato l’epidemia di Covid-19, la gestione delle emergenze si estende anche all’accertamento delle condizioni di salute del lavoratore che ha fatto rientro in patria. Non si tratta solamente di mettere insieme competenze vaste e interdisciplinari, che abbracciano settori fra di loro lontanissimi, ma anche di sviluppare capacità di valutazione e prontezza (nella risposta diretta a fronteggiare gli eventi imprevisti) che quasi ricordano logiche e metodologie proprie degli apparati statali, poiché mirati a prevenire ogni danno alla persona dei lavoratori o al patrimonio aziendale. Questa attività, peraltro, impone di ampliare l’area della sfera privata del lavoratore che viene a collocarsi nel perimetro del rapporto di subordinazione, perché, nella prospettiva di minimizzare i pericoli in cui incorre il lavoratore che si venga a trovare in un’area ostile o in una situazione di pericolo, l’impresa tende naturalmente a selezionare i soggetti chiamati a esporsi a rischi maggiori, anche sulla base di valutazioni che vengono a coinvolgere la sfera della salute individuale e della privacy. E da qui la difficoltà di applicare a situazioni che si vengono a svolgere anche al di fuori dei confini nazionali norme che sono pensate per contesti di tutt’altro tipo. Copyright © - Riproduzione riservata

Fonte: https://www.ipsoa.it/documents/quotidiano/2024/02/24/security-manager-strategico-asset-aziendali

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