• Home
  • News
  • Donne e previdenza: dal gap salariale ai canali di pensionamento

Donne e previdenza: dal gap salariale ai canali di pensionamento

Nel mercato del lavoro sono ancora presenti delle criticità, in termini retributivi, che le lavoratrici donne scontano durante il proprio percorso professionale con conseguenti riflessi previdenziali. Infatti, i differenziali previdenziali sono attribuibili a differenze nella continuità delle carriere che si riflettono in un divario salariale con un impatto diretto sui trattamenti retributivi e indiretto su quelli contributivi attraverso un minor montante contributivo. Quali sono le cause del gender gap previdenziale? Quando è possibile accedere al pensionamento nel 2024 da parte delle lavoratrici?

Le lavoratrici donne scontano nel corso del proprio percorso professionale un serie di rilevanti gender gap in termini retributivi con conseguenti riflessi previdenziali anche alla luce di quello che si definisce come “care burden”, le responsabilità familiari cioè che gravano in maniera prevalente sull’”universo femminile”. Quali sono le specificità femminili in ambito lavorativo e previdenziale e quali sono i canali di pensionamento “in rosa”? Occupazione e gender gap Partendo dal mercato del lavoro è interessante riportare i principali tratti caratteristici della specificità femminile riportati in uno specifico Dossier elaborato nel mese di dicembre scorso dal Servizio Studi della Camera dei Deputati. Come elemento di criticità si sottolinea come nel contesto europeo, il tasso di occupazione femminile in Italia risulta essere, secondo dati relativi al IV trimestre 2022, quello più basso tra gli Stati dell’Unione europea, essendo di circa 14 punti percentuali al di sotto della media UE. Il tasso di occupazione delle donne di età compresa tra i 20 e i 64 anni è stato, infatti, pari al 55 per cento, mentre il tasso di occupazione medio UE è stato pari al 69,3 per cento. Ove si ponga attenzione alla situazione nazionale, si registra un divario anche nel rapporto tra la popolazione maschile e quella femminile nel mondo del lavoro: le donne occupate, infatti, sono circa 9,5 milioni, laddove i maschi occupati sono circa 13 milioni. A ciò si aggiunga che una donna su cinque fuoriesce dal mercato del lavoro a seguito della maternità. Tale ultimo aspetto riveste una particolare rilevanza in quanto indice della difficoltà per le donne di conciliare esigenze di vita con l’attività lavorativa. La decisione di lasciare il lavoro è infatti determinata per oltre la metà, il 52 per cento, da esigenze di conciliazione e per il 19 per cento da considerazioni economiche. In generale, il divario lavorativo tra uomini e donne è pari al 17,5 per cento, divario che aumenta in presenza di figli ed arriva al 34 per cento in presenza di un figlio minore nella fascia di età 25-54 anni. Con riferimento a quello che si definisce come gender pay gap, la differenza cioè di retribuzione, secondo gli ultimi dati Eurostat, è pari al 43 per cento (al di sopra della media europea, che è invece pari al 36,2 per cento). Secondo i dati dell’Osservatorio sui lavoratori dipendenti del settore privato dell’INPS, nel 2022 la retribuzione media annua è costantemente più alta per il genere maschile, con una differenza di 7.922 euro (26.227 euro per gli uomini contro 18.305 euro per le donne). Il gender gap previdenziale Per quel che riguarda il divario di genere nei redditi da pensione, la recente analisi dell’INPS evidenzia che i differenziali, persistenti nel tempo, sono attribuibili a differenze nella continuità delle carriere che si riflettono in un divario salariale con un impatto diretto sui trattamenti retributivi e indiretto su quelli contributivi attraverso un minor montante contributivo. Oltre a questo, si rileva che le riforme del sistema pensionistico hanno avuto un impatto diverso tra i generi in quanto hanno allineato ai requisiti di accesso al pensionamento dei maschi i requisiti delle femmine che precedentemente erano meno stringenti. L’analisi dei dati ha permesso di rilevare che su 16,1 milioni circa di pensionati nel 2022, il 52% sono di genere femminile; queste però hanno percepito solo il 44% dei redditi pensionistici, ovvero 141 miliardi di euro, con un importo medio mensile pari a 1.416 euro, del 36% inferiore rispetto a quello maschile. Negli ultimi 20 anni, in termini nominali, il divario di genere è cresciuto in modo continuativo nel tempo ed è passato da 3.900 euro nel 2001 a 6.200 euro nel 2022. A prezzi costanti (euro del 2022), l’aumento del divario è stato molto più contenuto. In termini relativi, ovvero rapportando la differenza al reddito delle donne, il divario è invece diminuito dal 42 al 36%. Le donne sono prevalentemente rappresentate nelle classi di reddito pensionistico più basso (fino a 1.500 euro mensili) mentre oltre il 70% dei percettori nella classe più alta (oltre i 3.000 euro mensili) è di genere maschile; questo deriva da una differenza nella tipologia di prestazione percepita (nel 2022, il 50% degli uomini riceve una pensione anticipata - quelle di importo più elevato in media - contro il 20% delle donne, mentre queste ultime sono prevalenti nelle pensioni ai superstiti). Tali divari emergono anche considerando gli importi medi delle prestazioni, con un vantaggio maschile medio di oltre il 60% (1.430 euro contro 884 euro, nel 2022), e nel numero di prestazioni pro-capite (mediamente maggiore per le donne). Inoltre, emergono profonde differenze di genere negli importi anche a parità di tipologia di prestazione (soprattutto per prestazioni di vecchiaia e invalidità con un gap del 50%) mentre i trattamenti assistenziali, legati a situazioni di disagio economico e con tetti massimi relativamente contenuti, hanno valori simili, in media. Di contro, le pensioni al superstite di cui le donne sono le principali beneficiarie contribuiscono a ridurre il divario, ma il contributo è molto contenuto. Focalizzando sulle prestazioni più strettamente legate all’attività lavorativa (i.e.: anticipate e vecchiaia), il gender gap è in linea di principio legato ad almeno tre fattori: retribuzione oraria, tempi di lavoro (ovvero quante ore si lavora abitualmente a settimana e quante settimane si è occupati nel corso di un anno) e anzianità contributiva (che dipende dalla durata e dalla continuità della vita lavorativa E’ interessante anche evidenziare il gender gap presente nella previdenza complementare. Così come sottolinea la Covip nella propria Relazione annuale al 31 dicembre 2022 il 61,8 per cento degli iscritti costituito da uomini e per il rimanente 38,2 per cento da donne, pesi rimasti invariati rispetto al 2018. La proporzione tra i generi si mantiene simile nelle diverse fasce di età; fa eccezione la classe che raggruppa gli iscritti con meno di 20 anni, formata soprattutto da familiari a carico, nella quale le donne raggiungono il 45,5 per cento. Procedendo ad una disamina per tipologia di forma pensionistica complementare la composizione per genere registra la minore proporzione di donne nei fondi negoziali (27,1 per cento), più equilibrata invece nelle forme di mercato, dove la componente femminile raggiunge il 42,2 per cento nei fondi aperti e il 46,6 nei PIP. Quello che la Autorità di Vigilanza sottolinea è che le differenze di partecipazione nella previdenza complementare riflettono in larga misura quelle relative al grado di coinvolgimento nel mercato del lavoro. Secondo il genere, la più bassa partecipazione delle donne alla previdenza complementare è spiegata in primo luogo dalla loro minore presenza tra le forze di lavoro. Una volta entrate nelle forze di lavoro, il tasso di partecipazione alla previdenza complementare è comunque di sette punti percentuali più basso rispetto a quello degli uomini (32,2 contro 39,2), persistendo a loro sfavore divari salariali e carriere più discontinue. I canali di pensionamento al femminile Quando è possibile accedere al pensionamento nel 2024 da parte delle lavoratrici? La possibilità per dir così, ordinaria ed unisex, è quella del pensionamento di vecchiaia per cui occorrono 67 anni di età e 20 anni di contribuzione. Non si prevede la applicazione di finestre. Vi è poi la pensione anticipata per cui per le donne sono necessari 41 anni di anzianità contributiva e 10 mesi con la applicazione della finestra mobile trimestrale. Per quest’anno è stata poi prorogata quota 103 (per cui si richiedono 63 anni di età più 41 anni di contributi) nel corso del 2024, disponendo che la pensione così maturata sia liquidata con il sistema contributivo integrale. Inoltre, si prevede che fino al raggiungimento dei requisiti per il pensionamento di vecchiaia, l'importo non può essere superiore a 4 volte il minimo (anziché 5) e che le finestre siano di otto mesi per i soggetti privati e di nove mesi per i soggetti pubblici (al posto, rispettivamente, di 4 e 7 mesi). Specificamente rivolta all’universo femminile è poi opzione donna cui, prorogata dalla legge di Bilancio 2024 per un ulteriore anno, rivolta a coloro che abbiano maturano i requisiti richiesti entro il 31 dicembre 2023, al contempo elevando il requisito anagrafico da 60 a 61 anni (ridotta di un anno per ogni figlio e nel limite massimo di 2 anni) con un’anzianità contributiva pari almeno a 35 anni. Occorre poi essere in possesso, alternativamente, di uno dei seguenti requisiti: 1) assistano da almeno sei mesi il coniuge o un parente di primo grado convivente con handicap grave, ovvero un parente o un affine di secondo grado convivente qualora i genitori o il coniuge della persona con handicap in situazione di gravità abbiano compiuto 70 anni oppure siano anch’essi affetti da patologie invalidanti o siano deceduti o mancanti; 2) abbiano una riduzione della capacità lavorativa uguale o superiore al 74% (accertata dalle competenti commissioni per il riconoscimento dell’invalidità civile); 3) siano lavoratrici licenziate o dipendenti da imprese per le quali è attivo un tavolo di confronto per la gestione della crisi aziendale presso la struttura per la crisi d’impresa di cui all’art. 1, comma 852, della legge 27 dicembre 2006, n. 296. In questo caso, la riduzione di due anni del requisito anagrafico di 61 anni (anche qui l’età anagrafica è stata elevata di un anno) trova applicazione a prescindere dal numero di figli Si prevede una finestra mobile di 12 mesi per le lavoratrici dipendenti e 18 mesi per le lavoratrici autonome. Va evidenziato come l’eventuale utilizzo di opzione donna comporta però la applicazione integrale del metodo di calcolo contributivo. Va ancora ricordata l’Ape sociale cui si può accedere con 63,5 anni di età e fare parte delle specifiche categorie tutelate, a specifiche condizioni, disoccupati, invalidi, caregivers con 30 anni di contribuzione e addetti a specifiche mansioni gravose con 36 anni di contribuzione. Il requisito contributivo è ridotto, per le donne, di dodici mesi per ogni figlio fino a un massimo di 2 anni. Copyright © - Riproduzione riservata

Fonte: https://www.ipsoa.it/documents/quotidiano/2024/03/08/donne-previdenza-gap-pensionistico-canali-pensionamento

Iscriviti alla Newsletter




È necessario aggiornare il browser

Il tuo browser non è supportato, esegui l'aggiornamento.

Di seguito i link ai browser supportati

Se persistono delle difficoltà, contatta l'Amministratore di questo sito.

digital agency greenbubble