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Decreto Anziani: nuovi modelli organizzativi per promuovere l’invecchiamento attivo sul lavoro

Il decreto Anziani prevede interventi diretti a rendere il luogo di lavoro adatto anche ai lavoratori più avanti con l’età. In particolare, è prevista l’adozione di iniziative dirette ad agevolare lo svolgimento della prestazione lavorativa, incluso il lavoro parziale e agile, nel rispetto dei contratti collettivi. Inoltre, il provvedimento, nel richiamare l’importanza della prevenzione per la sicurezza, conferma gli obblighi del datore di lavoro in merito alla valutazione dei fattori di rischio sul lavoro con riferimento all’età dei lavoratori. Quali sono le altre previsioni del D.Lgs. n. 29 del 2024 dirette a favorire lo svolgimento della prestazione lavorativa?

Il decreto Anziani (D.Lgs. n. 29/2024) attuativo della legge delega per la riforma dell’assistenza agli anziani (persone anziane, tutti coloro che hanno compiuto 65 anni) in attuazione della legge n. 33/2023 e nell’ambito di una riforma strutturale sulle politiche per gli anziani, in attuazione dell’art. 1 della legge di Bilancio 2022 e realizzando, nei termini, uno degli obiettivi del Piano nazionale di ripresa e resilienza, si pone l’obiettivo della riforma della semplificazione dell’accesso ai servizi da parte degli anziani mediante la creazione di punti unici di accesso ai servizi sociali e sanitari (PUA), l’individuazione di modalità di riconoscimento della non autosufficienza, la valutazione multidimensionale, nonché la definizione di progetti assistenziali individualizzati che promuovano la deistituzionalizzazione. Il tutto sotto la governance nazionale delle politiche in favore della popolazione anziana, per coordinare e promuovere gli interventi anche di prevenzione della fragilità. Nuovi modelli organizzativi per il lavoro A questo proposito tra gli altri il decreto stabilisce che anche nei luoghi di lavoro il datore di lavoro è tenuto a promuovere la salute e la prevenzione, garantendo l’invecchiamento attivo degli anziani. Questo avviene attraverso la valutazione dei rischi e la sorveglianza sanitaria, come previsto dalla legge seguendo il modello raccomandato dall’organizzazione mondiale della sanità e le indicazioni del piano nazionale della prevenzione (PNP). In concreto bisognerà cambiare i modelli organizzativi per rendere il luogo di lavoro adatto anche alle persone anziane, adottando quando necessario iniziative per agevolarle nello svolgimento della prestazione lavorativa, incluso il lavoro parziale e agile, nel rispetto dei contratti collettivi nazionale dei settori. Per quanto riguarda lo smart working per lavoratori anziani previsto nel testo, la cui opzione è già operativa, andrà regolamentata al più presto. Le norme coprono un vasto ambito di temi in materia di assistenza sociale sanitaria e socio sanitario degli anziani, anche in attuazione delle missioni 5 C2 e 6 C1 del PNRR. Il riordino la cui regia è affidata a un comitato interministeriale (CIPA), incaricato di promuovere la programmazione integrata delle politiche per gli anziani, specie dei più fragili, ha come compito di adottare a tal fine piani triennali con aggiornamenti annuali. Va rilevato che essi sono condizionati da un limite della legge delega, cioè dal fatto che essa, pur considerando molti aspetti utili per un invecchiamento attivo, fra cui l’impegno in attività di utilità sociale e volontariato, nonché il tutoraggio e la cura di altre fasce di età all’interno delle famiglie e nell’associazionismo, si occupa solo marginalmente della partecipazione degli anziani ad attività di lavoro dipendente o autonomo. Tale limite riflette il fatto che il focus prevalente della normativa è sulle tematiche sanitarie e assistenziali, riferite a soggetti over 65 (soglia della età anziana secondo la legge), ma anche il fatto che la partecipazione al lavoro è tradizionalmente concentrata in età inferiori. E’ significativo al riguardo che le ricerche nazionali e internazionali sull’invecchiamento attivo nel lavoro si occupano generalmente dei lavoratori maturi, variamente definiti in età comprese fra 50 e 65 anni. Attualmente tale partecipazione è prevista come normale nel settore pubblico come nel privato, fino ad età superiori a 65 anni; limite che con tutta probabilità è destinato a salire, come si registra già in altri paesi. Aumenta il numero dei lavoratori “anziani” Inoltre, sono sempre più numerose le persone anziane che continuano a lavorare oltre a tale soglia. I dati Istat registrano da anni un forte aumento della occupazione nella fascia di età 50-64 (arrivata al 63,7%), che contrasta con la drammatica debolezza della partecipazione al lavoro dei giovani (il tasso di occupazione della fascia di età 15-34 è in continua decrescita (dal 50,3% del 2008 al 41% del 2018). I dati ISTAT indicano anche che il tasso di occupazione della fascia di età fra 50 e 74 anni è arrivato al 44,2% e quello della fascia 50/89 al 34,1% (4° trimestre 2022).D’altra parte le ricerche mostrano come una attività lavorativa in condizioni appropriate (ergonomiche, di orario, di ambiente) che tengano contro delle condizioni degli anziani, contribuisca all’invecchiamento attivo e in buona salute; oltre a essere utile per la economia del paese, anche ma non solo per compensare la drammatica crisi di natalità. Inoltre, oggi più che mai la partecipazione e la esperienza dei lavoratori anziani sono fondamentali non solo per trasmettere competenze preziose alle giovani generazioni, ma anche per supplire alla carenza di molte professionalità disponibili sul mercato. La responsabilità per favorire l’invecchiamento attivo nel lavoro spetta in primo luogo alle imprese, anche d’intesa con le organizzazioni sindacali, che devono predisporre le condizioni ambientali, organizzative, di orario, di sicurezza per renderlo possibile. Ma questo non esclude la necessità di interventi normativi e di politica lavoro finalizzati a promuovere lo stesso obiettivo. Le indicazioni del D.Lgs. n. 29/2024 per il lavoro L’articolato del provvedimento, in particolare l’articolo 2,4, 5,6, del D.Lgs. n. 29/2024 attuativo della legge delega sulla non autosufficienza, è anche in coerenza con le ricerche europee e la documentazione della Unione che raccolgono sia le buone pratiche aziendali sia le normative in materia di active aging e che segnalano l’utilità di promuovere l’invecchiamento attivo anche nel lavoro. Detto questo va però rilevato che il decreto contiene alcune norme, quelle sopra ricordate, che sono comunque utili al nostro fine L’art. 4 prevede lo svolgimento di campagne istituzionali di comunicazione e sensibilizzazione in materia di stile di vita sano e attivo, di prevenzione sanitaria e di sicurezza dell’ambiente domestico. Campagne così finalizzate hanno grande importanza, ed è positivo che siano promosse dalle istituzioni, e dalle parti sociali, perché è ampiamente riconosciuto che adottare un simile stile di vita contribuisce positivamente alla qualità dell’invecchiamento, alla salute delle persone e quindi anche alla loro capacità di essere attivi nel lavoro. Iniziative di vario genere per la promozione di stili di vita attiva sono presenti in molte aziende e sono inserite fra le misure di welfare da queste adottate, favorite dalle agevolazioni fiscali e contributive normalmente previste, fin dalla legge di Stabilità del 2016. L’art. 5 del decreto è quello più direttamente attinente all’occupazione degli anziani, perché reca disposizioni di principio e richiami normativi in materia di sicurezza sul lavoro e di lavoro agile. Il decreto richiama opportunamente che tale norma rientra nel principio di delega, in quanto questa prevede “la promozione della salute e della cultura attraverso campagne informative e iniziative in ambito scolastico e nei luoghi di lavoro”. Il primo comma dell’art. 5, nel richiamare la importanza della cultura della prevenzione per la sicurezza, conferma gli obblighi del datore di lavoro previsti dal D.Lgs. n. 81/2008 e successivi aggiornamenti, in particolare quello dell’art. 28, a tenere conto nella valutazione dei fattori di rischio sul lavoro degli aspetti relativi alla età dei lavoratori. Lo stesso comma 1 stabilisce che nell’adempimento di tali obblighi si tenga conto del modello cosiddetto WHP sulla promozione della salute nei luoghi di lavoro (Workplace Health Promotion) e delle indicazioni contenute nel Piano nazionale della prevenzione (PNP), relative all’attivazione di processi e interventi intesi a rendere il luogo di lavoro un ambiente adatto anche alle persone anziane (anche attraverso idonei cambiamenti organizzativi). Un riferimento specifico alla età e alla condizione di vulnerabilità del lavoratore anziano è contenuto nell’art. 176 del D.Lgs. n. 81/2008 relativo alla sorveglianza sanitaria degli addetti ad attività comportanti l’uso di video terminali. Le migliori pratiche aziendali, come le indicazioni dell’INAIL, segnalano che le attività di prevenzione e di contrasto dei rischi alla sicurezza sul lavoro devono tener conto in generale non solo delle condizioni del contesto oggettivo in cui si svolge il lavoro, ma anche delle caratteristiche personali del lavoratore, a cominciare dalla età. In realtà il cambiamento dei rischi per la sicurezza sul lavoro indotto dalle innovazioni tecnologiche e dalle modifiche del contesto ambientale sta da tempo sollecitando la necessità di una revisione complessiva del D.Lgs. n. 81/2008. Il decreto in esame potrebbe dare un segnale in questa direzione (almeno) affermando come principio generale la necessità che la sorveglianza sanitaria e le attività di prevenzione dei rischi sul lavoro tengano sempre conto delle condizioni (di fragilità) dei lavoratori anziani. Il comma 2 dell’art. 5 prevede che il datore di lavoro adotti ogni iniziativa diretta a favorire le persone anziane nello svolgimento anche parziale della prestazione lavorativa in modalità agile nel rispetto della disciplina dei contratti collettivi nazionali di settore applicabili. Il rinvio ai contratti collettivi è significativo in quanto la loro normativa, soprattutto a livello aziendale, si occupa ampiamente della regolazione del lavoro agile, anche se non risulta che questa abbia dedicato sufficiente attenzione ad adattare le regole per tenere conto delle condizioni dei lavoratori anziani. Qualche contratto collettivo nazionale si occupa di aspetti specifici, ad es. di come limitare le possibilità di trasferimento di questi lavoratori e dare precedenza alla stabilizzazione dei loro rapporti a termine. Alcuni contratti di grandi aziende hanno indicazioni più generali ad es. sull’impegno a promuovere pratiche positive di age management, a favorire l’integrazione fra generazioni e il ricambio generazionale, anche con scambio di esperienze e tutoraggio, nonché l’agevolazione del part time per over 55. Anche il riferimento dell’art. 5 al possibile svolgimento della prestazione a tempo parziale è significativo perché la fase finale della vita lavorativa si presta bene alla uscita graduale dal lavoro, appunto con forme di part time. Le uscite sono favorite perché permettono sia un migliore adattamento delle persone nel passaggio dalla piena attività alla quiescenza, sia una possibile staffetta con le generazioni giovani che entrano al lavoro, cui gli anziani possono fare da tutor. Il datore di lavoro adotta ogni iniziativa diretta a favorire le persone anziane nello svolgimento, anche parziale, della prestazione lavorativa in modalità agile, nel rispetto della disciplina prevista dai contratti collettivi nazionali di settore vigenti. La formulazione non implica dunque nuovi obblighi né una specifica corsia preferenziale o un diritto allo smart working paragonabile a quello introdotto durante la pandemia, ma è ribadito che la promozione del lavoro agile è parte degli strumenti per favorire il benessere lavorativo a cui le imprese sono tenute. Lo stesso articolo 5 del decreto Anziani (D.Lgs. n. 29/2024) richiama gli obblighi di valutazione dei fattori di rischio e di sorveglianza sanitaria previsti dal D.Lgs. n. 81/2008, in base al quale bisogna tener conto di tutte le caratteristiche del lavoratore, anche legate all’età, nella stesura nel DVR (Documento di Valutazione dei Rischi). Oltretutto l’art 6 del decreto in commento menziona fra le misure per favorire l’invecchiamento attivo, oltre alla promozione dell’impegno delle persone anziane in attività di utilità sociale e di volontariato, anche lo scambio intergenerazionale. Tentativi di promuovere forme di staffetta generazionale, fra giovani e anziani, sono stati fatti in passato anche nel nostro ordinamento, sia pure con poco esito. La scarsa attrattiva dell’istituto è dipesa probabilmente da una formulazione troppo restrittiva delle condizioni normative e dalla mancanza di garanzie e incentivi soprattutto ai fini dell’ammontare della pensione, sufficienti a contrastare le resistenze alla adozione del part time in uscita. Tenendo conto delle possibilità fornite dalle tecnologie di offrire lavori adatti a una popolazione anziana, e anche probabilmente di nuovi atteggiamenti delle persone anziane nei confronti del pensionamento e delle sue modalità. Una norma indirettamente rilevante è quella dell’art. 19 che prevede attività in favore delle persone anziane di formazione delle competenze digitali e di supporto nell’utilizzo dei servizi in via digitale delle pubbliche amministrazioni. Promuovere l’alfabetizzazione informatica è sottolineata espressamente dall’Action Plan europeo attuati o del Pillar of Social Rights che pone l’obiettivo di fornire basic digital skills all’ 80% della popolazione, compresi gli anziani. Le pratiche aziendali danno esempi di iniziative dirette a diffondere le competenze informatiche fra i dipendenti, di cui si sente una evidente necessità, investendo con successo sulle competenze e sulla formazione dei lavoratori senior. Copyright © - Riproduzione riservata

Fonte: https://www.ipsoa.it/documents/quotidiano/2024/04/05/decreto-anziani-modelli-organizzativi-promuovere-invecchiamento-attivo-lavoro

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