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Reddito di cittadinanza: un ritorno al passato per gli ammortizzatori sociali?

Il reddito di cittadinanza ha iniziato il suo corso. Concepito come misura di politica attiva del lavoro a garanzia del diritto al lavoro, di contrasto alla povertà, alla disuguaglianza e all’esclusione sociale, appare però una inutile ed ingiustificata duplicazione di istituti preesistenti, che il legislatore del Jobs Act aveva inteso razionalizzare con la riforma degli ammortizzatori sociali. E l’intento di tale duplicazione non risulta comprensibile, neppure sotto il profilo degli inesistenti maggiori vantaggi per le imprese che assumono. Quali saranno gli effetti reali sull’occupazione?

Per anni, nell’esaminare e nell’applicare la legislazione di riferimento in materia di diritto del lavoro e di assicurazioni sociali, ci si è imbattuti nella dichiarata “attesa” di una riforma di indiscusso impatto e rilevanza: la riforma degli ammortizzatori sociali.

A valle di innumerevoli rinvii, dopo la Legge Fornero, è stato con il Jobs Act (ed in particolare con la legge delega n. 183/2014) e, più puntualmente, in attuazione dello stesso, che si è assistito nel 2015 all’implementazione di un concreto progetto di revisione del sistema sino a quel momento in vigore.

In attuazione delle disposizioni di cui alla detta legge delega, il legislatore del 2015 (con il D.Lgs. n. 148/2015, integrato dai correttivi di cui al D.Lgs. n. 185/2016 e da successivi interventi normativi) ha proceduto al riordino della normativa in materia di ammortizzatori sociali in costanza di rapporto di lavoro (essenzialmente CIGO e CIGS), ha ampliato i beneficiari delle tutele (tanto ordinarie quanto straordinarie) ed ha previsto il progressivo esaurimento del sistema degli ammortizzatori in deroga e il ricorso ai Fondi di solidarietà bilaterali per i settori non rientranti nel campo di applicazione delle previsioni di cui al citato decreto del 2015, in materia di cassa integrazione ordinaria e straordinaria.

Il progetto perseguiva una lodevole finalità di semplificazione degli strumenti a disposizione, nell’ottica di una maggiore efficienza degli effetti degli stessi. In tale prospettiva, il legislatore si determinava infatti a:

- collocare in un unico complesso normativo (integrato poi dai singoli decreti attuativi) le misure di sostegno al reddito in costanza di rapporto di lavoro (in particolare, integrazioni salariali ordinarie e straordinarie e fondi di solidarietà); corpus cui si affiancavano poi le disposizioni dirette alla tutela della disoccupazione involontaria (di cui al D.Lgs. 4 marzo 2015, n. 22) e le disposizioni di riordino della normativa in materia di servizi per il lavoro e di politiche attive (di cui al D.Lgs. 14 settembre 2015, n. 150);

- garantire, a far tempo dal 1° gennaio 2017, per effetto dell’abolizione della mobilità, una sola forma di sostegno in caso di disoccupazione finalizzata a garantire il reimpiego.

Tali interventi consentivano, almeno nelle intenzioni, di restituire al sistema degli ammortizzatori sociali, tornati ad essere strumenti di gestione del rapporto di lavoro, la sua specifica finalità originaria, riassegnando altresì alle relazioni sindacali il ruolo essenziale che in passato era stato loro proprio e che nel tempo era stato decisamente ridimensionato.

Sotto il profilo del rapporto tra le nuove disposizioni - da un lato, in materia di integrazioni salariali e, dall’altro lato, di indennità di disoccupazione - la riforma del 2015 (art. 8 del D.Lgs. 148/2015) ha previsto la convocazione, ad opera dei Centri per l’impiego, dei lavoratori beneficiari di integrazioni salariali per i quali sia programmata una sospensione o riduzione superiore al 50 per cento dell'orario di lavoro, calcolato in un periodo di 12 mesi, onde stipulare il “Patto di servizio personalizzato” diretto ad assicurare percorsi di riqualificazione professionale finalizzati a non determinare la perdita delle competenze per effetto della sospensione dal lavoro.

A decorrere dal mese aprile 2019 è istituito il cd. reddito di cittadinanza (“Rdc”). Così lo prevede l’art. 1 del decreto legge n. 4 del 2019, collegato alla legge di Bilancio, dedicato al nuovo (almeno per certi aspetti) e tanto pubblicizzato istituto, definito - nella stessa previsione normativa in corso di conversione in legge - quale misura fondamentale di politica attiva del lavoro a garanzia del diritto al lavoro, di contrasto alla povertà, alla disuguaglianza e all’esclusione sociale, nonché diretta a favorire il diritto all’informazione, all’istruzione, alla formazione e alla cultura attraverso politiche volte al sostegno economico e all’inserimento sociale dei soggetti a rischio di emarginazione nella società e nel mondo del lavoro.

Una misura, dunque, di sostegno al reddito per i nuclei familiari che si trovano in condizioni disagiate, mirata a facilitarne l’inserimento, il reinserimento nel mondo del lavoro e l’inclusione sociale; essa - come si legge ancora all’art. 1 - costituisce livello essenziale delle prestazioni nei limiti delle risorse disponibili.

I soggetti beneficiari del reddito di cittadinanza - quando siano soddisfatti i requisiti richiesti dalla legge - potranno stipulare un “Patto per il lavoro”, che per espressa previsione normativa (così come inserita nel D.L. n. 4/2019 in corso di conversione in legge), assume caratteristiche assai simili al “Patto di servizio personalizzato” già previsto dal decreto legislativo n. 150 del 2015. Ove il bisogno del nucleo sia più complesso viene sottoscritto il “Patto per inclusione”.

A ciò si aggiunga che il neo introdotto reddito di cittadinanza lascia immutato il godimento della NASpI e di ogni altro strumento di sostegno al reddito per la disoccupazione involontaria e non modifica in alcun modo la disciplina dell’assegno di ricollocazione spettante ai lavoratori in cassa integrazione guadagni straordinaria coinvolti in accordi di ricollocazione.

Il decreto legge n. 4/2019 ha però disposto la sospensione, fino al 31 dicembre 2021, dell’erogazione dell'assegno di ricollocazione ai disoccupati percettori della NASpI (di cui al D. Lgs. n. 22/2015), la cui durata di disoccupazione ecceda i quattro mesi.

Ora, la nuova misura introdotta all’inizio dell’anno appare ad una lettura complessiva una inutile ed ingiustificata duplicazione di istituti preesistenti, che il legislatore del 2015 aveva inteso razionalizzare e convogliare, in specie per quanto riguarda l’indennità di disoccupazione, in un’unica misura.

E l’intento di tale duplicazione non risulta per nulla comprensibile, neppure sotto il profilo degli inesistenti maggiori vantaggi (in termini di possibili sgravi, la cui fruizione preannuncia già una serie di adempimenti piuttosto complicati ed articolati) per le imprese che assumono.

Quel che è certo, in attesa di verificare gli effetti della nuova misura introdotta dal Governo, è un’inversione di tendenza rispetto a quel tanto atteso progetto di semplificazione e riforma della materia, soprattutto con riguardo agli ammortizzatori sociali e un ritorno al passato che si accompagna, peraltro, alle iniziative dei più recenti interventi normativi quali il decreto Dignità che – dati della fine di febbraio 2019 – sta già mostrando i suoi effetti negativi sull’occupazione.

Fonte: http://www.ipsoa.it/documents/lavoro-e-previdenza/amministrazione-del-personale/quotidiano/2019/03/09/reddito-cittadinanza-ritorno-passato-ammortizzatori-sociali

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