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Salario minimo legale: una riforma epocale che “spaventa” le imprese

Introdurre per legge un salario minimo orario. E’ l’obiettivo del disegno di legge in discussione in Senato che ne fissa il limite a 9,00 euro lordi orari. Ma la questione richiede chiarimenti. I dati INPS rivelano che circa il 22% dei lavoratori regolarmente occupati percepisce meno di 9 euro all’ora. E’ una percentuale elevata, che ovviamente costringerebbe molte imprese ad adeguare i salari più bassi e a rivedere la retribuzione di quanti si collocano poco al di sopra del livello di legge, con buona pace per la professionalità acquisita. Una riforma che si preannuncia molto complessa. Dove penderà l’ago della bilancia?

In Parlamento si sta discutendo della possibilità di introdurre per legge un salario minimo orario, pari secondo il disegno di legge attualmente in discussione in Senato (AS 310 e 658, primo firmatario Catalfo) a 9,00 euro lordi orari.

Si tratterebbe di importare una misura presente già in molti paesi europei (come in Francia), che verrebbe a completare, in qualche modo, il sistema conseguente alla introduzione di un reddito di cittadinanza. Mentre, con molti “distinguo”, alcune forze politiche hanno fatto registrare una certa convergenza sul punto (una delega in questo senso era già presente, del resto, nella legge del 2014 che diede vita al Jobs Act), il sindacato dei lavoratori ha mostrato tutta la sua perplessità.

La questione è molto complessa e richiede non pochi chiarimenti prima di poter dare un giudizio sulla opportunità di un intervento così importante, che vuole attuare in un colpo solo due disposizioni costituzionali (gli artt. 36 e 39, seconda parte).

Innanzi tutto, è bene comprendere quale sia l’effettivo livello di retribuzione, poiché vari elementi entrano in gioco a riguardo, al di là dell’ovvia circostanza che la tassazione relativa al reddito delle persone fisiche varia in relazione al complesso dei redditi e, quindi, potrebbe anche risultare molto bassa (o addirittura nulla) ove il lavoratore sia impegnato a part time con un orario molto ridotto (si pensi alle donne delle pulizie o ai cassieri di un supermarket).

In secondo luogo, si deve tener conto che, facendo seguito alle indicazioni che sono state fornite dall’INPS quando è stato convocato in “Commissione Lavoro” a fornire delle indicazioni, il peso contributivo non è sempre lo stesso, poiché solo alcuni lavoratori versano il contributo per la cassa integrazione straordinaria e per la malattia. Sul punto, tuttavia, è stato preannunziato un emendamento che dovrebbe tenere fuori dalla misura di 9,00 euro questi carichi (incrementando tuttavia il costo orario per i lavoratori che hanno un onere contributivo più elevato).

Infine, si deve tenere presente che il disegno di legge parifica ai fini del diritto al salario minimo i lavoratori subordinati a tutte le forme di collaborazioni coordinate e continuative ed anche a quelle forme particolari (come lo “smart work” o il lavoro a commessa) dove il tempo non sempre rileva ai fini del pagamento del compenso (tanto che spesso non viene neanche misurato).

A riguardo il problema è duplice. Per un verso, bisogna ricordare che la retribuzione in Italia conosce ancora numerose voci indirette e riflesse, come la 13a mensilità, il trattamento di fine rapporto e vari “premi”, riconosciuti in maniera fissa ed invariabile dalla contrattazione collettiva. Anche la stessa retribuzione per le ferie, in fondo, non è direttamente collegata ad una prestazione lavorativa.

L’applicazione al lavoro subordinato e a quello parasubordinato della stessa retribuzione oraria, quindi, rischia di produrre effetti del tutto diversi perché i primi godranno (in sostanza) del pagamento di 14 mensilità (inclusa 13a e TFR), mentre ai secondi, per la stessa prestazione, ne verranno riconosciute solo 11 (pari per l’appunto ai soli mesi “lavorati”).

Ovviamente, un aspetto collegato riguarda la misurazione del tempo di lavoro per tutte quelle attività che vengono svolte al di fuori dei locali aziendali e senza il rispetto di procedure predeterminate dalle imprese, poiché in questi casi non è facile misurare il tempo di lavoro (ed opportunamente il disegno di legge, lascia al di fuori delle sue previsioni per es. quanti svolgono attività libero-professionale).

Un quarto aspetto da affrontare riguarda il livello del salario rispetto al complesso delle retribuzioni corrisposte in Italia: qui i dati INPS dicono che attualmente circa il 22% dei lavoratori regolarmente occupati percepisce meno di 9 euro per ora di lavoro (anche se non è chiaro se questo valore tenga già conto delle voci indirette di cui sopra si è detto). Si tratta di una percentuale quanto mai elevata, che ovviamente costringerebbe molte imprese sia ad adeguare i salari più bassi (o a proporre, va da sé, un impiego parzialmente o totalmente irregolare), sia a rivedere la retribuzione di quanti si collochino poco al di sopra del livello di legge (che vedrebbero così la loro professionalità parificata a quella necessaria per lo svolgimento delle mansioni più semplici).

Appare evidente, allora, come il livello del salario minimo che verrà fissato (ma il Governo assicura che i 9 euro rimarranno invariati) riveste una importanza centrale, come dimostra l’esperienza di altri paesi europei, dove si tratta soprattutto di coprire i pochi settori del lavoro subordinato ai quali non viene applicato il contratto collettivo nazionale. In questa prospettiva, la fissazione di uno standard minimo rafforza la contrattazione collettiva, poiché viene ad assicurare una copertura generalizzata dei minimi sindacali a tutti i lavoratori (anche se non si può dimenticare che i minimi dei contratti collettivi in certi settori sono davvero molto bassi e non superano i 5,00 euro).

In questo senso si deve ricordare come, specie in agricoltura, la legge “sul caporalato” e un provvedimento normativo sulle cooperative hanno finito per imporre il rispetto per il livello salariale determinato dal CCNL sottoscritto dai sindacati più rappresentativi, portando chiarezza in un mercato altrimenti non sempre trasparente. Lo stesso, ovviamente, potrà valere in futuro per il ricorso agli appalti, pubblici e privati, una volta che il disegno di legge sia stato approvato (poiché verrebbe meno in tal caso il vantaggio derivante dall’applicazione di un diverso CCNL).

Infine, rimane il problema dell’ambito territoriale di applicazione del salario minimo: oggi sia le forme assistenziali, sia la retribuzione dei lavoratori privati e pubblici è omogenea in tutta Italia, ma non è un mistero che una certa flessibilità (anche al ribasso) è garantita sia dalla contrattazione aziendale. Ed invero è forse proprio questa difficoltà che ha impedito sino ad ora una legge sul salario minimo, posto che una volta fissato un valore minimo sarà poi difficile impedire che i lavoratori si mobilitino, anche individualmente, per ottenerne il rispetto, con il rischio (tutto nazionale) di far emergere però contraddizioni e ambiguità finora non sempre conosciute.

Fonte: http://www.ipsoa.it/documents/lavoro-e-previdenza/amministrazione-del-personale/quotidiano/2019/05/18/salario-minimo-legale-riforma-epocale-spaventa-imprese

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