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Diffida accertativa e conciliazione monocratica: le regole per i datori di lavoro

Avverso la diffida accertativa per crediti patrimoniali dei dipendenti emessa dagli ispettori del lavoro in presenza di inosservanze della disciplina contrattuale, l’azienda può attivare la conciliazione monocratica. In alternativa, può ricorrere al Comitato regionale per i rapporti di lavoro integrato con un rappresentante dei datori di lavoro ed un rappresentante dei lavoratori designati dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale. Non sono rilevanti eventuali accordi conciliativi intervenuti in forme diverse. E’ quanto ha chiarito dall’Ispettorato Nazionale del Lavoro, con la nota n. 5066 del 2019. Come promuovere il tentativo di conciliazione presso l’INL?

Qualora nell'ambito dell'attività di vigilanza emergano inosservanze della disciplina contrattuale da cui scaturiscano crediti patrimoniali in favore dei prestatori di lavoro, il personale degli Ispettorati del lavoro diffida il datore di lavoro a corrispondere gli importi risultanti dagli accertamenti (art. 12 del D.Lgs. n. 124/2004).

Come chiarito dal Ministero del lavoro (circolare n. 1/2013), con tale norma è stato introdotto nel nostro ordinamento un titolo esecutivo di formazione amministrativa per la soddisfazione di un diritto soggettivo privato al fine di:

- creare un collegamento più stretto tra l’attività di vigilanza e la soddisfazione dei diritti dei lavoratori;

- deflazionare il carico dei Tribunali;

- promuovere soluzioni conciliative di risoluzione dei conflitti individuali di lavoro.

E proprio con riferimento a tale ultimo punto che recentemente è intervenuto l’Ispettorato Nazionale del Lavoro con la nota n. 5066/2019.

Posto che siamo davanti ad un accertamento del credito sulla base di un titolo esecutivo di formazione amministrativa di tipo stragiudiziale, occorre evidenziare che per il Ministero del Lavoro l’oggetto dell’accertamento tecnico demandato agli ispettori del lavoro nel caso di specie può riguardare si l’an che il quantum del diritto spettante al prestatore di lavoro.

Tuttavia, anche in questo ambito ciò che è stato da subito oggetto di discussione a diversi livelli e la necessità della preventiva certezza del credito quale presupposto indefettibile dell’accertamento.

Per questo motivo in un primo momento gli ispettori si erano limitati ad utilizzare tale istituto quale presa d’atto della situazione di fatto e, quindi, ad emettere diffide accertative solo per somme di cui già esistevano le prove documentali (es: prospetti paga) che risultavano non liquidate ai lavoratori.

Tuttavia, con la circolare n. 1/2013 il Ministero del Lavoro ha sostenuto che occorreva superare un tale orientamento ed ha affermato che i requisiti della certezza della sussistenza del credito, della sua determinazione quantitativa, della sua esigibilità che devono derivare da fonti, da fatti o da circostanze oggettivamente valutabili e predeterminati, non sono riconducibili necessariamente al credito preesistente all’accertamento ma posso benissimo scaturire dall’accertamento stesso.

Quindi, in definitiva, per il Ministero, quando un diritto venga accertato dall’organo di vigilanza con un accertamento di tipo tecnico, ad esso vuol dire che la legge attribuisce quel particolare grado di certezza necessaria a fargli spiegare efficacia di titolo esecutivo.

Alla luce di tali considerazioni gli ispettori del lavoro possono emettere la diffida accertativa per:

- crediti retributivi da omesso pagamento in cui vi è, in pratica, solo un ritardo nell’adempimento dell’obbligazione;

- crediti di tipo indennitario, da maggiorazioni, TFR, ecc., in quanto trattasi di elementi oggettivamente valutabili;

- crediti legati al demansionamento, o a lavoro sommerso oppure a prestazioni retribuite in maniera inferiore a quanto stabilito dal CCNL (chiaramente per il lavoro nero dovrebbe essere individuabile il CCNL applicato dal datore di lavoro).

Ai sensi del comma 2 del citato art. 12, D.Lgs. n. 124/2004, entro 30 giorni dalla notifica della diffida accertativa, il datore di lavoro può promuovere tentativo di conciliazione presso l’Ispettorato del Lavoro.

La norma prevede, inoltre, che in caso di accordo, risultante da verbale sottoscritto dalle parti, il provvedimento di diffida perda efficacia e, per il verbale medesimo, non trovino applicazione le disposizioni di cui all'articolo 2113, commi primo, secondo e terzo del codice civile.

Decorsi inutilmente i 30 giorni o in caso di mancato raggiungimento dell'accordo, attestato da apposito verbale, il provvedimento di diffida accertativa acquista, con provvedimento del direttore della dell’Ispettorato provinciale del lavoro, valore di accertamento tecnico con efficacia di titolo esecutivo.

In merito a quanto sopra è da evidenziare che il ricorso alla conciliazione nel caso di specie è ammissibile in quanto si tratta di diritti patrimoniali che sono di tipo “disponibile” per cui in sede di conciliazione datore di lavoro e lavoratore potrebbero, a titolo esemplificativo ma non esaustivo, accordarsi per il pagamento di una somma inferiore al credito accertato o ad una sua rateizzazione o ad un mix fra le due precedenti soluzioni.

Non saranno, invece, ammessi accordi sull’imponibile contributivo relativo alle somme oggetto di diffida in quanto trattasi di diritto indisponibile per cui l’imponibile contributivo dovrà essere comunque calcolato, secondo quanto accertato dall’organo ispettivo, ai sensi dell’art. 1 del D.L. n. 338/1989, convertito dalla Legge 389/1989.

Con la nota del 30 maggio 2019, l’INL è intervenuto per chiarire che, come già a suo tempo sottolineato con la circolare n. 24/2004, le modalità di espletamento della conciliazione, a seguito di diffida accertativa per crediti patrimoniali, in ragione di una interpretazione letterale e sistematica della norma, sono quelle previste per la conciliazione monocratica di cui all’art. 11 del medesimo decreto legislativo.

Non è quindi possibile dare rilievo ad accordi conciliativi intervenuti in forme diverse dalla conciliazione monocratica – stiamo parlando di procedure di conciliazione svolte presso l'Ispettorato territoriale del lavoro ex art. 410 c.p.c., o in sede sindacale ex art. 411 c.p.c. o nelle forme della risoluzione arbitrale ai sensi dell'articolo 412 c.p.c. - sia nel caso in cui intervengano prima della validazione della diffida accertativa sia in fase successiva.

Per di più, nei confronti del provvedimento di diffida accertativa è ammesso ricorso davanti al Comitato regionale per i rapporti di lavoro di cui all'articolo 17, D.Lgs. n. 124/2004, integrato con un rappresentante dei datori di lavoro ed un rappresentante dei lavoratori designati dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale (in mancanza della designazione entro trenta giorni dalla richiesta di nomina, il Comitato decide il ricorso nella sua composizione ordinaria).

I ricorsi in questione vanno decisi, con provvedimento motivato, dal Comitato nel termine di 90 giorni dal ricevimento, sulla base della documentazione prodotta dal ricorrente e di quella in possesso dell'Amministrazione e, decorso inutilmente il termine previsto per la decisione il ricorso si intende respinto.

Da notare che il ricorso sospende l'esecutività della diffida.

In conclusione, una volta adottata e validata la diffida accertativa, eventuali motivi di doglianza da parte del datore di lavoro in ordine a conciliazioni intervenute presso altre sedi potranno essere fatte valere giudizialmente esclusivamente nella fase dell’opposizione all’esecuzione.

Le considerazioni contenute nel presente contributo sono frutto esclusivo del pensiero dell’Autore e non hanno carattere in alcun modo impegnativo per l’Amministrazione di appartenenza.

Fonte: http://www.ipsoa.it/documents/lavoro-e-previdenza/amministrazione-del-personale/quotidiano/2019/06/18/diffida-accertativa-conciliazione-monocratica-regole-datori-lavoro

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