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CCNL: la disdetta prima della scadenza espone l’azienda a sanzioni

Per la Cassazione la disdetta di un CCNL spetta unicamente alle parti stipulanti e non al singolo datore di lavoro che non può recedervi “neppure adducendo l’eccessiva onerosità dello stesso”. L’azienda, sottoscrivendo con i dipendenti la lettera di assunzione ove si fa riferimento all’applicazione di un determinato CCNL, con le relative mansioni e gli specifici livelli retributivi, non può applicare, in corso di validità temporale del contratto, un altro accordo collettivo nazionale, nemmeno dando un congruo preavviso. Lo potrà fare, previa comunicazione, quando tale CCNL andrà in scadenza. Significative le conseguenze sanzionatorie per i datori di lavoro soggetti ad accertamenti ispettivi: quali sono?

Con una recente sentenza, la n. 21537/2019, la Cassazione, decidendo in ordine ad un contenzioso giudiziale nato dopo la decisione delle imprese del gruppo FIAT di uscire da Confindustria, ha affermato che un’azienda non ha la facoltà di disdire l’applicazione ai propri dipendenti di un CCNL sottoscritto dalla Associazione datoriale della quale faceva parte: nel caso di specie i giudici di Piazza Cavour hanno accolto un ricorso promosso dalla Filctem-CGIL nei confronti di un’impresa che aveva deciso, in modo unilaterale, di non rispettare più l’accordo collettivo nazionale sottoscritto da Federgomma, associazione di categoria aderente a Confindustria.

Tale decisione che, a mio avviso, può avere effetti anche su una serie di altre situazioni che esaminerò successivamente, è in linea con una precedente decisione, la n. 14511/2013, in quanto la possibilità di recedere da un CCNL è consentita soltanto se l’accordo non ha una precisa scadenza ed è, quindi, ammessa la possibilità di firmare un nuovo CCNL anche con una parte delle organizzazioni sindacali già firmatarie del precedente accordo (ma anche diversi).

Infatti, secondo la Corte, il contratto non può legare le parti per un tempo indefinito in quanto “la causa e la funzione sociale della contrattazione collettiva...deve essere parametrata su una realtà socio-economica in continua evoluzione”.

La disdetta di un CCNL spetta, per la Cassazione, unicamente alle parti stipulanti e non al singolo datore di lavoro non essendo, pertanto “consentito recedere unilateralmente dal contratto collettivo, neppure adducendo l’eccessiva onerosità dello stesso”.

Fin qui la sentenza, con rinvio alla Corte di Appello, che dovrà decidere nel merito attenendosi ai principi appena enunciati: ritengo, tuttavia, che, al di là del caso specifico, gli effetti non possono che riverberarsi anche in situazioni che, con l’uscita dall’Associazione datoriale, hanno poco a che fare.

Mi riferisco ad alcuni casi, sempre più numerosi, ove i datori di lavoro, magari neanche associati ad alcuna organizzazione imprenditoriale, cambiano, in costanza di rapporto di lavoro con i propri dipendenti, il CCNL, attratti dalla circostanza che altri CCNL sottoscritti nello stesso settore da altre organizzazioni datoriali e dei prestatori, prevedono costi complessivi minori.

I datori di lavoro, sottoscrivendo con i dipendenti la lettera di assunzione ove si parla di applicazione di un determinato CCNL, con quelle specifiche mansioni e quella retribuzione, in ossequio ai principi di diritto stabiliti dalla Cassazione, non possono applicare, in corso di validità temporale del contratto, un altro accordo collettivo nazionale, neanche dando un congruo preavviso: lo potranno fare, previa comunicazione, quando tale CCNL andrà in scadenza, ma non prima, essendosi impegnati con quelle sottoscrizioni.

Leggermente diverso, a mio avviso, si può presentare il discorso relativo ai nuovi dipendenti: se l’azienda non è associata, può, nelle lettere di assunzione, impegnarsi a corrispondere il trattamento economico e normativo del nuovo contratto (meno oneroso) che intende applicare: ovviamente, in caso di contenzioso, sarà, se del caso, il giudice a verificare la congruità del complessivo trattamento economico anche alla luce dei principi contenuti nell’art. 36 della Costituzione.

Ma un cambio di contratto collettivo, durante la sua validità, potrebbe avere effetti anche su altri aspetti rilevabili nel corso di accessi ispettivi operati dagli organi di vigilanza: mi riferisco al fatto che, a fronte di trattamenti economici complessivamente inferiori rispetto al CCNL risultante dalla lettera di assunzione, gli ispettori attivino quanto previsto dall’art. 12 del D.L.vo n. 124/2004, ossia la diffida accertativa per crediti patrimoniali.

Tale disposizione prevede che “qualora nell’ambito dell’attività di vigilanza emergano inosservanze alla disciplina contrattuale da cui scaturiscono crediti patrimoniali in favore dei prestatori di lavoro, il personale ispettivo degli Ispettorati del Lavoro diffida il datore di lavoro a corrispondere gli importi risultanti dagli accertamenti”.

L’art. 12 continua prevedendo la possibilità di un tentativo di conciliazione presso la sede dell’Ispettorato territoriale competente da attivare entro 30 giorni dalla notifica della diffida accertativa. Se il tentativo ha esito positivo (ovviamente, un verbale, che è inoppugnabile, sottoscritto dalle parti, ne deve dare contezza), il provvedimento perde efficacia.

In caso di mancato accordo o allorquando il datore non abbia attivato la procedura conciliativa entro il termine temporale sopra indicato, il provvedimento di diffida acquista, con atto del Capo dell’Ispettorato, valore di accertamento tecnico, con efficacia di titolo esecutivo, avverso il quale è possibile ricorrere al Comitato indicato nel successivo art. 17.

Ma, con il provvedimento di diffida accertativa non terminano gli adempimenti ai quali il datore di lavoro potrà essere chiamato dagli organi di vigilanza: mi riferisco alle differenze contributive, atteso che l’art. 1 della legge n. 389/1989 che ha convertito il D.L. n. 338, afferma che la retribuzione da assumere come base per il calcolo dei contributi previdenziali non può essere inferiore all’importo stabilito da leggi, regolamenti e contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali più rappresentative su base nazionale, oltre che da altri accordi collettivi o contratti individuali qualora ne derivi una retribuzione di importo superiore.

Fonte: http://www.ipsoa.it/documents/lavoro-e-previdenza/amministrazione-del-personale/quotidiano/2019/09/11/ccnl-disdetta-prima-scadenza-espone-azienda-sanzioni

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