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Gig economy: dalla flessibilità lavorativa un aiuto alle imprese in crisi

Cambierà il modo di fare impresa nell’età della Gig economy. Ma come? Molto probabilmente in meglio per imprenditori e grandi imprese sempre più in difficoltà per il susseguirsi di periodi di stagnazione economica. Sarà la maggiore flessibilità lavorativa, insita in questa nuova forma di organizzazione dell'economia digitale, a regalare al sistema-impresa un’arma più efficace, una risorsa più elastica, per elaborare nuove strategie, modelli di business e per far fronte ad eventuali crisi utilizzando strumenti nettamente diversi rispetto a quelli messi in campo dopo lo shock economico del 2008. Se la crisi è dietro l’angolo, cosa fare allora per evitare gli impatti negativi?

L'attuale estensione, piuttosto rapida, d’un nuovo modello economico-imprenditoriale, come quello della Gig economy, dove il fattore della continuità lavorativa, ad esempio “il posto fisso”, è di fatto espulso e sostituito dall’attività on demand, muta profondamente la pianificazione strategica che un’azienda elabora sia in vista d’una possibile stagnazione sia di fronte ad una recessione effettiva, non semplicemente correlata ai numeri o ai dati economici.

In sostanza, in Paese come gli Usa, dove oggi circa il 37% dei lavoratori statunitensi svolge attività di libero professionista all’interno delle piattaforme che guardano alla Gig economy, muterà in modo significativo le modalità e gli obiettivi che comunque imporranno alle grandi imprese di ristrutturare le attività, ridefinire gli indirizzi e scegliere su cosa innovare e come, cioè dove spostare gli investimenti.

Tradotto, la flessibilità insita nella Gig economy, sembra quasi avere regalato al Sistema-Impresa un’arma più duttile, una risorsa più elastica, aggiuntiva, per far fronte ad eventuali crisi utilizzando una visione e strumenti nettamente diversi rispetto a quelli messi in campo nel 2008.

Che l’economia globale si stia muovendo verso uno squilibrio economico che somiglia molto ad una fase di stagnazione è oramai accettato, così come il periodo indicato è, nel campo del probabile, il prossimo biennio, 2020-21.

Questo rallentamento come potrebbe differenziarsi dalla passata recessione, l’ultima, quella del 2008? Le aziende come dovrebbero prepararsi? Le nozioni tradizionali di come appare la forza lavoro europea, anche italiana, sembrano cambiare rapidamente e dovrebbero costringere tutti, in particolare chi crea lavoro, imprenditori ecc…, a pensare in modo alternativo alle implicazioni che questi cambiamenti potrebbero avere in uno scenario in cui l'economia è in recessione, o comunque in fase di rallentamento.

Naturalmente, permane l’elemento tecnico di verifica d’una eventuale crisi, ovvero, come da manuale, due trimestri consecutivi di crescita economica negativa. Quindi, supponendo che un certo livello di recessione raggiungerà i prossimi 12-24 mesi, cosa si potrebbe e/o dovrebbe fare per frenare gli impatti più negativi?

La tentazione è quella di concentrarsi sull'ovvio, ovvero, sulle risorse umane e sul taglio degli investimenti, cioè delle spese, alleggerendo reti e filiere produttive. Ma oggi, data l’intersezione tra economia tradizionale e Gig economy, tempi, modalità e strategie da mettere in campo, ovvero, l’arsenale di cui un’azienda dispone, sono diversificati, a più voci, più elastici e immediati.

In quest’ottica, chiudere il “rubinetto” delle spese o tagliare la forza lavoro appaiono scelte vecchie. Anche perché, una multinazionale che si avvale di migliaia di lavoratori on demand, non ha certo l’imperativo di licenziare o disfarsi di personale.

La contraddizione posta da questi nuovi modelli economici è che il precariato fisso, continuativo, è oggettivamente negativo, come percezione e realtà, ma d’improvviso assume un orientamento positivo se l’azienda si trova a dover riprogrammare attività, strutture, obiettivi, ad esempio in tempi di crisi o anche di spinte innovative.

Le aziende e i regolatori stanno cercando di capire quanta parte di questa tendenza continua verso la Gig economy è guidata dal desiderio diffuso di maggiore flessibilità e dai tentativi di conciliazione tra vita privata e vita lavorativa e quali sono le implicazioni d’un simile trend in tempi positivi e negativi sotto il profilo economico.

L’obiettivo strategico di fondo è il modo in cui le organizzazioni analizzano come ristrutturare il cambiamento di fronte a condizioni che si diversificano. Gli ultimi sondaggi, e studi, mostrano come la maggior parte dei lavoratori che operano nella rete della Gig economy non sono comunque disponibili a tornare ad un lavoro tradizionale.

Ciò che emerge è la figura del freelancer professionale, un libero professionista a tutti gli effetti. In sostanza, Gig non significa soltanto driver, perché già oggi quasi tutte le aziende che inviano o utilizzano le competenze dei dipendenti on demand tramite interfacce digitali stanno transitando a un modello che potrebbe potenzialmente offrire ai propri dipendenti una maggiore libertà e flessibilità e potenzialmente salvare all'azienda una percentuale significativa delle spese generali. E’ l’incontro della Gig economy con lo smart working.

Negli Usa, più di 50milioni di lavoratori stanno riprofilandosi all’interno di questo nuovo disegno di lavoro professionale e imprenditoriale. Freelancers e professionisti, tutti correlati e coordinati all’azienda per interfacce telematiche.

Naturalmente, un tale cambio di prospettiva implicherà anche l’attivazione di benefici come l’assistenza sanitaria e previdenziale il che implicherà più tutele e minori profitti netti. Ma ciò che farà la differenza è che tali soglie di redditività aziendale resteranno sempre al di sopra di quelle esibite dalle aziende che ancora si muovono secondo dinamiche tradizionali.

La maggior parte degli esperti concorda sul fatto che i periodi di congiuntura negativa rendono le persone più impaurite nel cambiare lavoro e correre rischi economici, ma se una percentuale significativa della forza lavoro, Italia come in Europa, fosse inserita nel modello freelance della Gig economy, e ogni azienda avesse il suo dipartimento o divisione formato gig, bè questa elasticità propria del nuovo modello aziendale potrebbe rivelarsi un motore utile da usare proprio in tempi di crisi per frenare perdite e derive economiche e contabili. Naturalmente, una simile svolta richiederebbe una ridefinizione all’interno dell’impresa tra datore di lavoro, appaltatori, dipendenti fissi e freelancers.

Negli anni 2015 e soprattutto 2016 hanno cominciato, anche in Italia, a manifestarsi i casi di precarietà associata alla cosiddetta Gig economy, cosiddetta economia dei lavoretti, fondata sul reclutamento di personale, giovani per lo più, da parte di multinazionali, con sedi di rappresentanza nazionale, utilizzati come fattorini nella distribuzione e consegna di vari prodotti (cibo, bevande, pacchi e documenti, ecc.).

Questo servizio è supportato da app adoperate dal consumatore per le consegne a domicilio, mentre gli addetti sono organizzati dalla piattaforma digitale associata all'e-commerce, in pratica è un algoritmo informatico che stabilisce le prese per fattorino.

Solitamente questi lavoratori sono pagati a cottimo, cioè per consegna, e spesso sono reclutati attraverso contratti parasubordinati, tramite cooperative oppure a partita Iva. In alcuni casi i fattorini (rider) non sono neppure formalmente lavoratori in quanto sono reclutati attraverso un contratto di trasporto nell'ambito di attività logistiche.

Però, il trend attuale rivela come dal rider iniziale si sia oramai passati alla figura di freelance professionale, estendendo di fatto i servizi dalle consegne alla redazione e/o stesura di documenti, report, consulenze ecc…Diciamo una gig-economy molto più professional nella sua mutata essenza. E quindi aperta all’intero universo impresa.

Fonte: http://www.ipsoa.it/documents/impresa/contratti-dimpresa/quotidiano/2019/10/07/gig-economy-flessibilita-lavorativa-aiuto-imprese-crisi

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