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Composizione della crisi da sovraindebitamento: chiarimenti sulla falcidia del credito IVA

La Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della norma la quale dispone, nel caso di omologazione di un accordo di composizione della crisi da sovraindebitamento, che il piano possa prevedere, con riguardo all’imposta sul valore aggiunto, esclusivamente la dilazione del pagamento e non il pagamento parziale così come per gli altri crediti concorsuali. La disposizione censurata, nella parte in cui nega al debitore sovraindebitato la possibilità di prospettare il pagamento parziale dell’IVA, viola la Costituzione perché a fronte di situazioni omogenee tra loro, discrimina i debitori soggetti alla procedura, trattati diversamente da quelli legittimati a proporre il concordato preventivo, rispetto ai quali la falcidia del credito IVA è consentita.

Il Tribunale ordinario di Udine ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 97 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 7, comma 1, terzo periodo, della legge 27 gennaio 2012, n. 3 recante le disposizioni in materia di usura e di estorsione, nonché di composizione delle crisi da sovra-indebitamento, limitatamente alle parole «all’imposta sul valore aggiunto».

Il giudizio principale ha ad oggetto un ricorso volto ad ottenere l’ammissione e la successiva omologazione di un accordo di composizione della crisi da sovraindebitamento. Il piano proposto ai creditori prevede la soddisfazione solo parziale dei crediti concorsuali, tutti indistintamente collocati al chirografo, compresi quelli privilegiati, attesa l’incapienza dei beni sui quali dovrebbe gravare la relativa prelazione, tale da non consentire prospettive liquidatorie di maggior favore.

Tra le poste di credito privilegiate, che il piano propone di soddisfare solo parzialmente, figura anche l’obbligo di pagare all’erario somme a titolo di imposta sul valore aggiunto, garantite dal privilegio generale mobiliare di cui all’art. 2752, terzo comma, del codice civile. Ed è siffatta previsione del piano che provoca il dubbio di legittimità costituzionale sollevato dal Tribunale di Udine: essa si pone, infatti, in immediato contrasto con la regola dettata dall’art. 7, comma 1, terzo periodo, della legge n. 3 del 2012, pregiudicando l’ammissibilità del ricorso.

La Corte Costituzionale, nella sentenza n. 245/2019 del 29 novembre 2019, evidenzia che, in forza del citato articolo 7, comma 1, il piano nel quale si sostanzia l’accordo di ristrutturazione dei debiti proposto ai creditori può prevedere una soddisfazione non integrale dei crediti muniti di privilegio, pegno o ipoteca «allorché ne sia assicurato il pagamento in misura non inferiore a quella realizzabile, in ragione della collocazione preferenziale sul ricavato in caso di liquidazione, avuto riguardo al valore di mercato attribuibile ai beni o ai diritti sui quali insiste la causa di prelazione, come attestato dagli organismi di composizione della crisi». Il medesimo comma 1 del citato articolo 7, al terzo periodo, precisa tuttavia che «[i]n ogni caso, con riguardo ai tributi costituenti risorse proprie dell’unione europea, all’imposta sul valore aggiunto ed alle ritenute operate e non versate, il piano può prevedere esclusivamente la dilazione del pagamento».

A differenza delle altre ragioni di credito tributarie, in genere soggette a possibile falcidia alla stessa stregua delle altre poste di credito privilegiate, l’adempimento legato all’IVA (oltre che dei tributi che costituiscono risorse proprie dell’Unione e delle ritenute non versate dal sostituto d’imposta), può dunque essere oggetto solo di dilazione, mai di parziale decurtazione.

Ad avviso del rimettente, la disposizione censurata, nella parte in cui nega al debitore sovraindebitato la possibilità di prospettare il pagamento parziale dell’IVA, a pena di inammissibilità del relativo ricorso, viola l’art. 3 della Costituzione perché a fronte di situazioni omogenee tra loro, discrimina i debitori soggetti alla procedura, trattati diversamente da quelli legittimati a proporre il concordato preventivo, rispetto ai quali la falcidia del credito IVA è consentita. Per altro verso, la norma censurata discrimina la pubblica amministrazione chiamata all’esazione del relativo tributo, rispetto agli altri creditori muniti di prelazione, giacché, a differenza di questi ultimi, non consente alla stessa, a monte, la possibilità di aderire alla proposta del debitore, ottimizzando le prospettive di soddisfazione del relativo credito a fronte di un patrimonio di riferimento che, in caso di liquidazione, non garantisce un grado di adempimento maggiore rispetto a quello proposto dal relativo piano. Inoltre la disposizione censurata sarebbe in contrasto con l’art. 97 della Costituzione, perché l’inammissibilità del ricorso che non preveda il pagamento integrale dell’IVA priva l’amministrazione finanziaria del potere di valutare, in concreto, la proposta quanto al grado di soddisfazione del credito IVA che la stessa garantisce in alternativa alla prospettiva liquidatoria, precludendole di informare la relativa azione a criteri di economicità e massimizzazione delle risorse, in contrasto con il principio del buon andamento sancito dal parametro evocato.

Secondo la Corte Costituzionale non convince l’affermazione di principio che assegna natura eccezionale alla regola della falcidiabilità dell’IVA, attualmente prevista dall’art. 182-ter della legge fallimentare, anche in sede di concordato preventivo. Tale ultima disposizione non prevede letteralmente la possibilità di procedere ad una soddisfazione parziale dell’IVA; piuttosto, non replica più l’originale divieto di falcidia previsto, tra gli altri, per tale tributo, in un quadro di generale falcidiabilità dei crediti tributari, chirografari e privilegiati. L’art. 182-ter della legge fallimentare non detta, dunque, una specifica regola che possa, in via di eccezione, derogare ad un principio generale. Costituisce, per contro, diretta espressione di una indicazione generale, altro non rappresentando che una diretta declinazione, in relazione alle pretese tributarie, della regola della falcidiabilità dei crediti privilegiati, prevista dall’art. 160, comma 2, della stessa legge in tema di concordato preventivo. Principio, quest’ultimo, che deve ritenersi espressione tipica delle procedure concorsuali, maggiori o minori, con finalità esdebitatoria, tanto da risultare replicato anche per gli strumenti di definizione anticipata delle situazioni di sovraindebitamento prevista dalla legge n. 3 del 2012.

Da quanto rilevato la Corte Costituzionale dichiara dunque l’illegittimità costituzionale dell’art. 7, comma 1, terzo periodo, della legge 27 gennaio 2012, n. 3 (Disposizioni in materia di usura e di estorsione, nonché di composizione delle crisi da sovraindebitamento), limitatamente alle parole: «all’imposta sul valore aggiunto».

Corte Costituzionale, sentenza 29/11/2019, n. 245/2019

Fonte: https://www.ipsoa.it/documents/impresa/contratti-dimpresa/quotidiano/2019/11/30/composizione-crisi-sovraindebitamento-chiarimenti-falcidia-credito-iva

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