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Lavoratori impatriati: il regime premiale è un’opportunità anche per il datore di lavoro

Il regime premiale dei lavoratori impatriati, come modificato dal decreto Crescita, è stato introdotto con la finalità di incentivare il capitale umano che si appresta ad entrare o a rientrare in Italia e viene di regola coniugato in un’ottica “pro lavoratore”. Tuttavia, una chiave di lettura che si focalizzi soltanto sui benefici del dipendente, potrebbe risultare parziale rispetto al risparmio che, in taluni casi, anche l’azienda potrebbe potenzialmente trarne qualora concordi con il lavoratore proveniente dall’estero una retribuzione netta annua. Il regime premiale potrebbe, quindi, trasformarsi in un’opportunità anche per il datore di lavoro di contenere il cuneo fiscale in caso di reclutamento all’estero di personale.

Con la legge n. 58 del 28 giugno 2019 è stato convertito il “decreto crescita” (D.L. n. 34 del 30 aprile 2019), che è intervenuto, in chiave espansiva, sull’art. 16 del D.Lgs. n. 147/2015. Tale ultima norma ha enucleato uno degli istituti cardine per l’attrazione dei lavoratori che intendano trasferirsi o rientrare in Italia.

Il favor del legislatore fiscale nei confronti della mobilità lavorativa “in ingresso” ha trovato riscontro nell’art. 5 del D.L. n. 34/2009 che è intervenuto in maniera incisiva sull’istituto oggetto d’analisi, ridefinendo sia la portata dell’agevolazione, che l’ambito soggettivo e oggettivo della stessa.

Ed infatti la misura dell’agevolazione prevista originariamente dall’art. 16 comma 1 del D.Lgs. n. 147/2016 è stata ampliata, prevedendo per quei soggetti che trasferiscono la propria residenza in Italia a decorrere dal periodo d’imposta 2020, l’esenzione parziale del reddito di lavoro dipendente nella misura del 70%, con il conseguente assoggettamento a tassazione del 30% del reddito di lavoro prodotto in Italia.

Anche l’ambito soggettivo del regime ha risentito della vis espansiva dell’intervento legislativo, rendendo molto più facilitate le condizioni di accesso allo stesso.

Con la novella legislativa, sono stati infatti eliminati sia i riferimenti alla circostanza che il lavoratore debba ricoprire ruoli direttivi, così come quelli relativi all’elevato grado di specializzazione e qualificazione originariamente previsti dall’art. 16 del D.lgs. n. 147/2015.

Sostanzialmente affinché il lavoratore che intenda beneficiare del regime possa considerare come rispettate le condizioni previste dall’art. 5 del D.L. n. 34/2019, occorre che il soggetto non sia stato fiscalmente residente in Italia negli ultimi due periodi d’imposta precedenti il trasferimento nel territorio dello Stato e che lo stesso si impegni a rimanervi per almeno due anni, svolgendo altresì in via prevalente la propria prestazione lavorativa.

Alla luce di quanto sopra esposto, la prima considerazione che emerge rispetto al testo originariamente contenuto nell’art. 16 sopra richiamato, è che il legislatore abbia voluto attrarre non più quella platea di lavoratori altamente specializzati o dotati di un elevato grado di professionalità, ma bensì che abbia voluto attrarre, in ottica omnicomprensiva, tutti coloro i quali intendano trasferirsi per opportunità lavorative in Italia, tanto che sarebbe forse lecito chiedersi se la rubrica dell’art. 5 del D.L. n. 34 del 30 aprile 2019, denominata “Rientro dei cervelli”, possa considerarsi ancora appropriata.

Questo allargamento delle maglie normative ha trovato un rafforzamento anche da un punto di vista temporale ai fini delle annualità in cui è possibile l’usufruire dell’agevolazione, estendendo, al verificarsi di determinare condizioni, l’applicabilità del regime premiale per ulteriori 5 periodi d’imposta, rendendo di fatti la norma agevolativa applicabile per 10 periodi d’imposta a condizione che permanga la condizione di residenza fiscale in Italia.

Tale rinnovato quadro normativo è stato definito dal legislatore in una prospettiva di attrazione per il lavoratore, focalizzandosi sui soli benefici (diretti) che quest’ultimo avrebbe potuto trarre. Tuttavia, il regime in parola ha in nuce anche un effetto agevolativo (seppure indiretto) di cui potrebbe beneficiare anche il datore di lavoro.

Ed infatti nel valutare gli aspetti di tale regime premiale, occorre operare un cambio di prospettiva, analizzandoli dal punto di vista di quelle aziende che intendano adottare una politica di recruitment al di fuori dei confini nazionali. Ed è dunque proprio in tale contesto che va coniugato il regime degli impatriati, ovvero in una prospettiva di favor anche per l’azienda.

In un’ottica di sempre maggiore internazionalizzazione, anche con riferimento ai processi di selezione del personale, una società che intenda attrarre talenti dall’estero ovvero far rientrare lavoratori italiani, potrebbe avvantaggiarsi, rispetto al reclutamento di personale già residente in Italia, potendo concordare con il lavoratore la retribuzione netta annua, anziché la retribuzione lorda su base annuale, traslando il beneficio fiscale dal lavoratore al datore di lavoro.

Concretamente l’azienda potrebbe concordare con il dipendente una retribuzione netta annuale, che erogherà per l’intera durata di applicazione del regime fiscale al lavoratore (quindi potenzialmente fino a 10 anni) in luogo di quella lorda come da prassi aziendale. La corrispondente retribuzione lorda sarà la base imponibile per la determinazione del carico fiscale e contributivo per il lavoratore assunto.

Con detta retribuzione netta concordata, applicando il regime premiale, si perverrà ad una corrispondente retribuzione lorda annua che sarà certamente inferiore alla retribuzione lorda erogabile ad un lavoratore che applica il regime ordinario (senza esenzione del reddito di lavoro dipendente).

Conseguentemente, la minore la retribuzione annua lorda potrebbe comportare, altresì, un risparmio per il datore di lavoro in termini di contributi previdenziali dovuti a carico azienda.

Potrebbe essere quindi il regime in commento un’opportunità per il datore di lavoro di contenere il cuneo fiscale in caso di reclutamento all’estero di personale.

Tale duplice risparmio in termini di minori oneri fiscali e contributivi dovuti, potrebbe essere un vantaggio per l’azienda come di seguito illustrato:

In tal caso sarà necessario monitorare il rispetto dei requisiti minimi previsti dal Contratto Collettivo Nazionale di riferimento, nonché porre attenzione su alcuni accorgimenti contrattuali che dovranno concretizzarsi in apposite clausole volte a regolamentare, in un’ottica giuslavoristica, il rapporto lavorativo caratterizzato dalle pattuizioni sopra richiamate.

Dovrà inoltre essere specificato nel contratto di assunzione, la retribuzione lorda che dovrà essere applicata allo scadere del lasso temporale di applicazione del regime premiale, nonché in caso di perdita dei requisiti per l’applicazione del regime.

Fonte: https://www.ipsoa.it/documents/lavoro-e-previdenza/amministrazione-del-personale/quotidiano/2019/12/14/lavoratori-impatriati-regime-premiale-opportunita-datore-lavoro

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