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Smart working: la sfida della disconnessione ai tempi del Covid 19 (e dopo)

Negli ultimi tre mesi, a causa dell’emergenza sanitaria, il numero dei lavoratori agili è più che raddoppiato in Italia. Chi poteva, perché il tipo di lavoro lo consentiva, ha continuato a lavorare da remoto, ma necessariamente e obbligatoriamente, per via della chiusura forzata, da casa. Sono, quindi, saltati alcuni parametri e capisaldi dello smart working, ossia la possibilità di scegliere in autonomia (e con senso di responsabilità) dove e come lavorare. La priorità è diventata la business continuity con buona pace della gestione flessibile dell’orario di lavoro e, in molti casi, del diritto alla disconnessione del lavoratore. Ma la sfida della ripresa richiede lungimiranza nella nuova organizzazione del lavoro. Come evolverà il lavoro agile?

In questi ultimi anni abbiamo in più occasioni analizzato e valutato le opportunità del lavoro da remoto, seguito l’evoluzione del telelavoro nella sua declinazione più moderna di smart working, sviscerato le implicazioni organizzative e giuridiche che derivano dal lavoro “senza vincoli di tempo e di spazio”. Nella consapevolezza che quello che stavamo analizzando costituiva la naturale evoluzione del lavoro in un momento storico, economico e sociale che stava procedendo a grandi passi verso la digitalizzazione, la robotica e l’intelligenza artificiale.

E’ quindi divenuto fondamentale interrogarsi a più riprese sulle implicazioni pratiche e giuridiche di un nuovo modo di lavorare, molto più flessibile, governato anche nel lavoro subordinato da obbligazioni di risultato più che di mezzi e con la chiara percezione dei vantaggi in termini di produttività, competitività e sviluppo che la flessibilità organizzativa poteva portare.

La disciplina del lavoro agile – L. n. 81/2017 artt. 18-23 – ha infatti introdotto una definizione di questo nuovo modo di lavorare – il lavoro agile - quale strumento negoziale diretto ad incrementare la competitività e agevolare la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro caratterizzato da un accordo tra le parti. Accordo diretto a consentire, nel quadro della nuova organizzazione del lavoro consentita proprio dalla tecnologia, l’esecuzione della prestazione lavorativa all’interno o all’esterno dei locali aziendali, senza vincoli di orario e di luogo e anche senza una postazione fissa. Ma, soprattutto, la legge prevede altresì che le parti possano introdurre, con l’accordo di lavoro agile, nuove forme di organizzazione della prestazione lavorativa per fasi, cicli e obiettivi. Con il chiaro scopo di rendere il lavoro subordinato più flessibile e, con la chiara definizione di obiettivi, più produttivo.

Ebbene, negli ultimi tre mesi a causa dell’emergenza sanitaria, chi poteva perché il tipo di lavoro lo consentiva, ha continuato a lavorare da remoto ma necessariamente e obbligatoriamente da casa. Sono quindi saltati alcuni dei parametri e dei capisaldi del lavoro agile, ossia la possibilità di scegliere in autonomia e con senso di responsabilità da dove lavorare (da casa, dal bar, dall’albergo, dal coworking, dalla sede del cliente, dalla casa di vacanza etc.) mentre il lavoro domiciliare – un lavoro agile per così dire emergenziale svincolato dall’accordo individuale e reso strutturale per i lavoratori più a rischio - è divenuto l’unica modalità di lavoro possibile per le attività che non sono state travolte dalla chiusura forzata.

Ma siamo sicuri che la produttività ne abbia guadagnato? E che dire delle implicazioni generate dalla continua connessione?

Ma andiamo con ordine. La disciplina del lavoro agile è nata in un momento storico in cui il telelavoro non veniva più considerato totalmente idoneo a soddisfare la richiesta di una organizzazione del lavoro sempre più flessibile. E’ vero che esiste anche il telelavoro mobile (alcuni contratti collettivi come quello del credito lo prevedono) ma il modello telelavoro non era più considerato idoneo ad accompagnare pienamente l’innovazione tecnologica. Perché? Perché l’innovazione si nutre di scambio di idee, competenze, esperienze, condivisione, relazioni e il telelavoro è sempre stato inteso come “lavoro da casa”.

Il lavoro agile, la cui fondamentale caratteristica è invece proprio l’assenza di vincoli di luogo e di spazio è in grado molto più del telelavoro di alimentare questi meccanismi di relazione e di condivisione soprattutto attraverso la responsabilizzazione dell’individuo nella gestione autonoma dei tempi di lavoro – in chiave di conciliazione – e degli obiettivi di lavoro – in termini di risultato. Esso aiuta l’individuo a rendersi più efficace e produttivo. Non dimentichiamo che la disciplina del lavoro agile ha accompagnato in questi anni anche la nascita dei coworking. Il termine – ci dicono le riviste specializzate in organizzazione – è stato coniato da De Koven nel 1999 come “work togheter as equals” ed è caratterizzato da cinque valori fondamentali (Hillmann 2011): collaborazione (volontà di cooperare con gli altri per creare un valore condiviso); apertura (condivisione gratuita di idee, informazioni e persone); comunità (far parte di un gruppo con scopo e pensieri condivisi); accessibilità (spazi fruibili sia socialmente che economicamente da ogni lavoratore); sostenibilità (le risorse sono utilizzate insieme, il che porta benefici economici ed ecologici).

Quando al lavoro agile manca la sua caratteristica fondamentale, ossia la mobilità, diviene niente più che lavoro domiciliare, un fratello forse più flessibile rispetto al telelavoro, ma privo dei suoi valori fondamentali in termini di creatività, apertura e collaborazione.

L’emergenza se da un lato ha più che raddoppiato in Italia il numero dei lavoratori agili (erano 570.000 secondo i dati diffusi dal Politecnico di Milano nel 2019) - pur considerando che il nostro tessuto industriale è prevalentemente manifatturiero – ha da altro lato livellato per tutti le modalità di organizzazione del lavoro. La priorità è divenuta la business continuity con buona pace della gestione flessibile dell’orario di lavoro e, in molti casi, del diritto alla disconnessione.

Chi aveva già progetti in corso, ha continuato a supportare il personale con la formazione a distanza e il coaching che sono elementi fondamentali per accompagnare nel lavoro agile gli obiettivi di collaborazione e di performance che sono caratteristiche di questo istituto. Chi invece si è trovato a passare in fretta a tale modalità di lavoro ha in alcuni casi replicato da casa l’organizzazione del lavoro in sede con la “scusa” che tanto non si poteva andare da nessuna parte, ma con il rischio che la disconnessione venisse un po’ dimenticata.

La iper-connessione di questi mesi alimentata anche dall’emergenza ha sicuramente influito sul benessere delle persone. La disconnessione prevista dalla disciplina del lavoro agile (art. 19, c. 1 L. n. 81/2017) è un dovere prima che un diritto. La rimodulazione del controllo della prestazione da remoto implica necessariamente che debbano essere consentite delle pause che non siano solo quelle derivanti dalla disciplina dell’orario di lavoro ma anche quelle idonee ad alimentare la concentrazione sui propri compiti ed obiettivi e il focus sulla persona.

In mancanza, durante la giornata lavorativa, di quel contesto sociale e relazionale che favorisce lo scambio di idee e la creatività e che alimenta quelle soft skill così importanti per governare la rivoluzione tecnologica in atto, non ci si deve più tanto interrogare sui temi di conciliazione vita-lavoro quanto piuttosto sulla necessaria separazione tra fasi e cicli di lavoro connesso, di lavoro individuale non connesso e di non lavoro.

Il lavoro domiciliare emergenziale – non lo definirei più propriamente lavoro agile – che sicuramente ci accompagnerà per tutto l’anno anche una volta terminata la fase dell’emergenza - alcune aziende, forti dei risultati positivi dell’esperienza di questi mesi, stanno già avviando progetti di de-materializzazione  degli uffici a favore di un telelavoro strutturato in via definitiva, accompagnato da formazione mirata e da una gestione degli spazi comuni in sede, se necessari, in coworking - può sì essere gestito senza accordo individuale ma diviene fondamentale il rispetto dei principi e dei valori che lo governano: privacy, riservatezza, salute e sicurezza, regole disciplinari, orario di lavoro da un lato, come ci è stato ricordato in questi mesi. Ma anche e soprattutto disconnessione.

Principi che vanno comunque regolati e collegati anche con l’attuazione dei protocolli di sicurezza che tutte le aziende stanno implementando.

I testi di psicologia e di organizzazione del lavoro ci dicono che è fondamentale per rendersi efficaci riprendere la concentrazione e, soprattutto, riservare attenzione ad un solo compito per volta. L’attenzione, infatti, si indebolisce se non è costantemente allenata. E l’unico modo di allenarla nella gestione del lavoro a distanza è rendere obbligatorie e regolamentare delle forme e dei tempi di disconnessione dalla tecnologia che siano sia momenti di lavoro sia momenti di non lavoro.

La sfida della ripresa che tutti noi auspichiamo e che ci impegnerà nei prossimi mesi/anni richiede lungimiranza sulla nuova organizzazione del lavoro, apertura a nuove forme di controllo della prestazione e consapevolezza dei rischi derivanti dalla iper-connessione.

Fonte: https://www.ipsoa.it/documents/lavoro-e-previdenza/amministrazione-del-personale/quotidiano/2020/06/13/smart-working-sfida-disconnessione-tempi-covid-19-e-dopo

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