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Dopo il Covid-19: le prospettive per imprese e lavoratori. Grandi incertezze…

Se si ha contezza del passato e del presente dell’era Covid-19, difficile appare capire cosa accadrà nel futuro prossimo e soprattutto remoto. Una cosa è però certa. Lo Stato assistenziale non solo non può durare a lungo, ma non appare neanche in grado di offrire un supporto decisivo per imprese e lavoratori autonomi danneggiati dal blocco sostanziale dell’economia e dal ridimensionamento dei consumi. La via di uscita, più che dagli aiuti comunitari, sembra la si possa cercare nell’impegno e nei sacrifici della comunità nazionale, con il sostegno di nuove riforme strutturali in grado di dare vitalità ed energie alla ripresa. Andrà tutto bene?

Il passato è noto, il presente è sotto gli occhi, il futuro almeno prossimo è in gran parte intuibile, quello remoto appare un salto nel buio.

Nella fase pre Covid-19 ci eravamo lasciati con un bilancio dello Stato che non si sapeva come contenere, con ipotesi di nuove tasse (es., sulla plastica) quanto mai contestate e che si volevano giustificare in vario modo (si pensi al proclamato obiettivo di una società plastic free e agli inputs comunitari per la soppressione dei prodotti in plastica mono uso), con un acceso dibattito sullo scudo penale da riconoscere(o no) per conservare in vita l’ex Ilva di Taranto, con la mobilitazione giuridica contro la riforma della prescrizione destinata ad entrare in vigore il primo gennaio 2020 (come, in effetti avvenuto), con la ventilata ennesima proposta di riforma della giustizia penale (e non solo), con la politica uscente che si vedeva presentare qualche conto in relazione alla gestione del problema della immigrazione clandestina, con le polemiche sul reddito di cittadinanza ed altre forme di più o meno dichiarata politica assistenziale.

Poi c’è stata l’era Covid-19, anche se è per il momento ottimistico parlarne al passato. Il rifiuto della plastica, soprattutto se mono uso, è stato travolto dalla necessità sanitaria di disporre di milioni di mascherine e dalla conseguente necessità (che solo di recente sta emergendo) di un corretto smaltimento nel rispetto di un ambiente già largamente compromesso; è emersa la miopia della politica sanitaria degli ultimi anni che ha ridimensionato grandemente soprattutto le strutture pubbliche; ci si è accorti che il numero chiuso dei medici aveva creato vistose lacune nella risposta alle esigenze sanitarie, anche al di fuori dell’emergenza, e si è cercato di sopperire bypassando in qualche modo l’esame di Stato; i medici, che prima erano bersaglio privilegiato di richieste risarcitorie/procedimenti penali per asserite responsabilità professionali, sono mediaticamente assurti a “eroi” per l’impegno profuso nell’assistenza, anche al prezzo di decine di vittime, ma la memoria ha tempi corti e già si assiste al preannuncio di cause mentre indagini conoscitive e/o contro indagati noti fioriscono – ben annunciate – in tutta Italia.

Il ritorno al lavoro, che giustamente si vuole sia “in sicurezza”, vede il pullulare di provvedimenti su come realizzarlo (decreti legge, leggi di conversione, decreti del presidente del Consiglio dei ministri, circolari di INPS, INAIL, Ministeri vari, Ispettorato del lavoro et similia) e – poiché un processo non si nega a nessuno – il datore di lavoro è ammonito circa la responsabilità penale della omessa, o inadeguata, sanificazione dell’ambiente di lavoro.

La tutela della salute, che nessuno garantisce fuori del luogo di esplicazione della prestazione lavorativa (e che certo non verrebbe assicurata dai controlli delle forze dell’ordine, anche se coadiuvate da migliaia di “assistenti” civici, viene trasferita come obbligo datoriale il che ha indotto – sia pure sommessamente – ad auspicare un impossibile scudo penale anche in questo settore ( con ciò risolvendo in via legislativa un problema altrimenti destinato ad essere affrontato e risolto in sede giudiziaria).

Non si parla più di prescrizione né di riforma del processo penale: l’unico dato certo è che il guardasigilli rimane al suo posto, che qualche connessione impropria tra politica e magistratura è emersa nonostante l’emergenza sanitaria, che nulla è mutato circa l’esigenza di intervenire sul Consiglio superiore della magistratura ( ma rimane incerto il come e il quando), che qualche velleità di stravolgere il processo penale si è manifestata, con il dichiarare sostanzialmente non essenziale il contatto tra avvocato e giudice, con il dichiarare sufficienti larve di contraddittorio e di contatto tra difensore ed assistito e con l’aprire la strada alla non collegialità o ad una collegialità formale.

Il fascino dello smart working è, nel frattempo, tramontato perché, se ci eravamo lasciati con inputs anche comunitari, a favore di un maggior equilibrio casa/lavoro, adesso si scopre che la permanenza in casa logora, si sente la mancanza di quella “formazione sociale” che è rappresentata dalla fabbrica o dall’ufficio, che – passata la fase iniziale – il datore di lavoro vuole controllare che il lavoro a distanza sia non una vacanza mascherata ma una diversa modalità di lavoro con adeguati contenuti qualitativi e quantitativi.

Il futuro è, come è logico che sia, un’incognita. Qualcuno ha cavalcato il momento delle esigenze immediate e si è attrezzato per dare la risposta nei tempi richiesti, conseguendo profitti di rilievo.

La maggioranza delle imprese e dei lavoratori autonomi, in ogni settore, ha percepito profondamente il blocco sostanziale dell’economia e il ridimensionamento dei consumi, ma il problema non è rappresentato tanto dai due/ tre mesi di blocco dell’attività quanto dalla capacità/possibilità di una ripartenza e dai tempi di recupero (se possibile) delle posizioni di partenza (che, sia detto per inciso, già mostravano segnali di difficoltà anche prima dell’emergenza Covid-19).

Lo Stato assistenziale non può durare a lungo e non appare in grado di offrire un supporto decisivo: si delinea una “questione sociale” immanente che da sempre è il terreno ideale per l’attività della criminalizzata organizzata e non (forse l’unica istituzione che ha risentito meno della crisi sanitaria).

Lo Stato dovrebbe chiarire, ma in tempi brevi, che cosa si aspetta dai cittadini che hanno visto il blocco o la drastica riduzione degli introiti ma che non hanno notizie di forme di comprensione con riguardo agli imminenti appuntamenti di natura fiscale (il D.L. 19 maggio 2020 n. 34 cambia il calendario delle scadenze fiscali ma sembra privilegiare l’oggettiva esigenza dello Stato di disporre dei versamenti cui il contribuente è tenuto prima dell’inizio dell’estate).

L’epilogo di questo dramma economico-sociale è di là dal venire, è da ritenere che più che dagli aiuti comunitari – di cui ciascuna parte politica offre una personale chiave di lettura – la via di uscita debba essere offerta dall’impegno e dai sacrifici della comunità nazionale; la risposta giudiziaria a furbizie ed abusi servirà a sottolineare il fenomeno – temo vasto – ma non rimuoverà il danno arrecato da condotte antisolidaristiche e l’indignazione sociale avrà vita breve, travolta da qualche nuovo scandalo, mentre resterà l’esigenza di riforme strutturali in grado di dare vitalità ed energie alla ripresa.

L’unica cosa certa – e condivisibile - è ancora l’osservazione di Lorenzo il Magnifico, 530 anni fa: “chi vuol esser lieto, sia” (ammesso che qualcuno abbia motivo per esserlo) “del doman non v’è certezza”.

Fonte: https://www.ipsoa.it/documents/lavoro-e-previdenza/amministrazione-del-personale/quotidiano/2020/06/20/covid-19-prospettive-imprese-lavoratori-grandi-incertezze

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