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Le trimestrali della tecnologia e le prove di accordi tra Usa e Cina

Il colosso petrolifero Saudi Aramco lunedì incontra gli analisti per presentare i risultati del periodo e le prospettive future. Sabato nuovo round di negoziati commerciali tra Washington e Pechino.

Da un paio d’anni fa a gara con Facebook sul terreno del market cap. L’ultima segnalazione, a fine luglio, la vedeva di nuovo davanti al colosso di Mark Zuckerberg con 665 miliardi di dollari americani contro 650 miliardi. La cinese Tencent, fondata da Pony Ma Huateng, era rimasta fino a pochi giorni fa era fuori dai radar della guerra tech scoppiata tra Usa e Cina. Adesso, Donald Trump l’ha messa nel mirino: il gruppo che controlla WeChat nel Paese del Dragone, deve buona parte dei suoi risultati economici alle attività di gaming, quindi le piattaforme di gioco. Cresciute in maniera esponenziale durante i vari lockdown in diversi Paesi del mondo. Oggi arrivano i risultati del trimestre: sarà l’occasione per vedere se per Tencent anche i numeri continuano a crescere. E in quale direzione andrà il business del gruppo.

C’è stato un tempo in cui, ai vertici delle classifiche per la capitalizzazione di Borsa, gareggiavano i colossi petroliferi come ExxonMobil o la cinese PetroChina. Poi, tutto è cambiato per la vittoria del business digitale. Ma c’è un’azienda, la Saudi Aramco, quotata a dicembre, che ha riportato al vertice le aziende del petrolio. O quantomeno, sta facendo a gara con Apple su valori che viaggiano attorno a 1.820 miliardi di dollari. Se Cupertino ha nelle vele il vento della tecnologia, per Saudi le sfide sono più complesse. Anzitutto, perché il basso prezzo del greggio non aiuta i conti. Infatti, sono già scattati licenziamenti e una riduzione degli utili che mette in forse la distribuzione del maxidividendo (75 miliardi di dollari) promesso in fase di Ipo. L’incontro di oggi con gli analisti serve anche a fugare i dubbi quantomeno sui numeri. Altra cosa è capire quale sarà il ruolo futuro della casa reale saudita e i piani per riconvertire un’economia totalmente dipendente dall’oro nero. Sempre meno oro.

Ultimamente non ne andava bene una. E così Masayoshi Son stava perdendo la fama di re Mida del tech. Per il finanziere giapponese, inventore di Softbank group, che lui ha trasformato in una conglomerata d’affari gli ultimi mesi sono stati avari di soddisfazioni. A cominciare dal fallimento della quotazione di WeWork, piattaforma per gli spazi di coworking che doveva quotarsi e non l’ha fatto. Costringendo la Softbank a un’iniezione di soldi, circa nove miliardi, nella società. E poi il flop del secondo Vision Fund che doveva replicare il successo del primo con almeno 100 miliardi di dollari di raccolta, principalmente dall’Arabia Saudita. Sono così seguite diverse trimestrali in rosso. Sembrava finita, quando è arrivata la quotazione di BigCommerce. La società, partecipata anche da Softbank, che fa concorrenza alla canadese Shopify e aiuta chiunque voglia vendere qualcosa online a costruirsi il proprio negozio. Insomma, una sorta di e-commerce fai da te, che sta incontrando i gusti del pubblico post-lockdown. E i favori degli investitori. La quotazione di BigCommerce a inizio agosto ha fatto vedere numeri stellari: il primo giorno ha debuttato a 24 dollari per toccare quota 68. E il giorno dopo a 72 e quello dopo ancora a 92. Tre volte tanto in un paio di giorni. Una boccata d’ossigeno per Masayoshi Son, che h capito di non avere perso il suo fiuto d’oro.

Tornano a parlarsi. Dopo il Covid e le polemiche sull’origine del contagio, dopo il caso Huawei e lo scontro su TikTok. Per non citare le chiusure di sedi consolari nei vari Paesi. Americani e cinesi provano ad archiviare una primavera-estate giocata sul filo dell’alta tensione e si rimettono al tavolo diplomatico. E a ripartire da dove tutto è cominciato: lo scontro commerciale. Al centro, naturalmente, gli accordi su import-export, con tanto di dazi (americani) e l’impegno (cinese) all’acquisto di derrate alimentari. Si fa sul serio. E lo dice l’alto livello dei rappresentanti ai tavoli: Robert Lighthizer, numero uno americano per le questioni commerciali e Liu He, potente braccio destro di Xi Jinping. Che potrebbe, dicono i bene informati, sollevare il tema delle perplessità cinesi per gli attacchi americani proprio ai tech giant orientali.

Fonte: https://www.ipsoa.it/documents/impresa/finanza/quotidiano/2020/08/08/trimestrali-tecnologia-prove-accordi-usa-cina

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