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Smart working: è possibile retribuire il lavoro straordinario?

Con il diffuso ricorso allo smart working, in forma semplificata almeno fino al prossimo 15 ottobre, aziende e lavoratori devono fare i conti con una gestione del tutta nuova della prestazione lavorativa. Un tema di particolare attualità (e interesse) è rappresentato dalla possibilità, per il datore di lavoro, di riconoscere e retribuire il lavoro straordinario. La questione è strettamente collegata alla definizione dell’orario di lavoro. Il legislatore prevede che la prestazione lavorativa dello smart worker venga regolata entro i limiti di durata massima dell’orario di lavoro derivanti dalla legge o dalla contrattazione collettiva. Ma come determinare di fatto l’orario della prestazione lavorativa in caso di lavoro agile?

Il ricorso al lavoro agile o smart working in coincidenza con il periodo emergenziale da COVID-19 ha assunto modalità non del tutto e non sempre riconducibili ad una genuina realizzazione del lavoro da remoto così come normativamente previsto.

L’improvvisa chiusura dei luoghi di lavoro non ha consentito un’adeguata preparazione allo svolgimento del lavoro in modalità “agile”.

Nella quasi totalità dei casi le (improvvisate) prestazioni lavorative anziché in luoghi diversi come consentito dalla L. 81/2017 si sono infatti tradotte, causa lockdown, in lavoro da “casa”.

Nei provvedimenti che si sono via via succeduti a partire dal 23 febbraio 2020, è stata data la possibilità di attuare il lavoro da remoto anche senza un accordo individuale scritto (c.d. lavoro agile semplificato) in deroga a quanto previsto dall’art. 19, legge n. 81/2017.

Da ultimo il decreto-legge 30 luglio 2020, n. 83 ha ulteriormente differito al 15 ottobre 2020 la possibilità di ricorrere allo SW in forma semplificata.

Dal 16 ottobre, quindi, salvo ulteriori (già peraltro annunciati) interventi del legislatore, il contratto di lavoro agile dovrà tornare ad essere gestito ai sensi della legge oggi vigente.

Recentemente il Prof. Maurizio Del Conte, ordinario di diritto del lavoro all’Università Bocconi di Milano, materiale estensore della L. 81/2017, ha sottolineato come il “suo” testo normativo abbia volutamente introdotto solo i principi fondamentali atti a disciplinare la modalità di rapporto di lavoro subordinato da remoto, demandando alla contrattazione collettiva (nazionale e/o aziendale) il compito di dettagliarne i contenuti così da adattarli alle specifiche esigenze delle parti.

L’annunciato intervento legislativo di modifica come quello riportato dai media in questi giorni porterebbe, a parere di chi scrive, se attuato, a svilire ed ingessare, con l’introduzione di rigide regole contrattuali, una modalità lavorativa che lascia ampia discrezionalità organizzativa a lavoratori e aziende embrione di future nuove forme di modelli lavorativi.

Il percorso da compiere è ancora lungo ma la sfida è decisamente stimolante anche se richiede un cambiamento culturale da parte di tutti gli attori del mercato del lavoro.

In questi mesi di “forzato” ricorso allo smart working proprio i lavoratori hanno dovuto sperimentare, impreparati al cambiamento, nuovi modelli lavorativi con il risultato che non tutti e non sempre sono riusciti ad organizzare il proprio tempo separando la vita lavorativa dalla vita privata.

Analogamente la stessa azienda, a sua volta, non è sempre riuscita ad abbandonare le logiche della “timbratura del cartellino” e del correlato controllo visivo del dipendente, non cogliendo gli aspetti positivi di tali diverse modalità di lavorare (es. risparmio energetico, riduzione degli spazi, maggior produttività, benessere per l’ambiente ecc.).

Così il datore di lavoro improvvisamente privato della presenza fisica dei collaboratori che di norma occupavano scrivanie e/o banchi di lavoro, ha avuto (e continua ad avere) serie difficoltà nel quantificare le ore che il dipendente effettivamente dedica al lavoro. Per contro anche i dipendenti hanno dichiarato (spesso) di aver perduto la cognizione del tempo lavorando ad oltranza ben oltre quello che sarebbe stato il loro “normale” orario di lavoro per l’incapacità di auto-organizzazione.

In questa fase che possiamo quindi definire sperimentale lo smart working, tradotto per fatti contingenti in lavoro a domicilio, ha evidenziato come sia imprescindibile un radicale cambio di prospettive nel modo di lavorare che pone alla base una reciproca fiducia e buone capacità organizzative per il raggiungimento di obiettivi predefiniti.

In merito all’orario di lavoro si sottolinea che, di norma, la prestazione lavorativa, svolta in parte all’interno dei locali aziendali e in parte all’esterno senza una postazione fissa di lavoro (“lavoro agile”) viene regolata mediante accordo tra le parti ed entro i limiti di durata massima dell’orario di lavoro giornaliero e settimanale derivanti dalla legge o dalla contrattazione collettiva.

E’ necessario, quindi, anche nell’attuale fase di lavoro agile “semplificato”, coniugare la particolare modalità di esecuzione della prestazione lavorativa con l’esigenza di rispettare, comunque, la normativa che così definisce l’orario di lavoro «qualsiasi periodo in cui il lavoratore sia al lavoro, a disposizione del datore di lavoro e nell’esercizio della sua attività e delle sue funzioni» (art. 1, D.Lgs. n. 66/2003).

Tale definizione può infatti adattarsi anche al lavoratore agile, che sarà a disposizione del datore di lavoro non solo quando (e se) è fisicamente presente in azienda, ma, secondo una concezione più flessibile ed elastica, anche quando la prestazione viene resa all’esterno dei locali aziendali.

Il lavoratore agile, ora che è cessato il lockdown, dovrà rimanere a disposizione del datore di lavoro secondo una calendarizzazione settimanale o mensile, preventivamente concordata tenuto conto dell’assegnazione di specifici obiettivi.

La prestazione lavorativa agile, anche se, oggi, non ancora formalizzata in un accordo tra le parti (o nell’accordo collettivo aziendale) sarà presumibilmente, ma non obbligatoriamente, correlata all’orario normale di lavoro applicabile alla struttura di appartenenza.

Resta, invece, confermato l’obbligo per il lavoratore, di rendersi immediatamente reperibile per l’azienda, nelle concordate fasce di disponibilità (c.d. fasce di reperibilità).

Al di fuori di tali fasce, il datore di lavoro, pur restando libero di contattare il lavoratore, non potrà pretendere una risposta in tempi brevi. Infatti, la norma sul lavoro agile, riguardo alle forme di esercizio del potere direttivo del datore di lavoro (art. 19, c. 2, legge n. 81/2017), prevede che nell’accordo (aziendale e/o individuale) vengano individuati non solo i periodi di riposo ma anche tutte le misure tecniche e organizzative necessarie per assicurare la disconnessione del lavoratore dalle strumentazioni tecnologiche di lavoro (c.d. diritto alla disconnessione).

Anche il lavoratore, oggi potenzialmente attivo 24 ore al giorno per 7 giorni, deve sapersi auto-limitare onde evitare il cd burn-out (sovraccarico cognitivo ed emotivo) esercitando la disconnessione anche nelle fasce di reperibilità nel caso si profili un rischio per il suo equilibrio psicofisico.

L’azienda, dal canto suo, dovrà, sul punto, essere sensibile e varie sono le realtà che hanno già iniziato ad adottare buone prassi come sospendere le comunicazioni sui device professionali, ad esempio, dalle 18.00 alle 7,00 del mattino o la messaggistica aziendale una mezza giornata al mese, al preciso scopo di favorire lo scambio verbale tra colleghi di lavoro ed evitare l’alienazione che spesso la tecnologia causa.

Ancora una volta, va sottolineato come il datore di lavoro che, in accordo con i dipendenti, decida di adottare la modalità di lavoro “smart” nella sua azienda deve essere in grado di assegnare compiti, progetti, attività che devono essere portate ragionevolmente a termine, da remoto, entro un arco temporale convenuto.

A questo punto quindi il parametro su cui basare il trattamento economico, non sarà più necessariamente solo il tempo bensì anche il risultato.

In materia di orario di lavoro, quando la prestazione avviene con modalità “agile”, proprio la legge 81/2017 stabilisce che l’attività deve essere svolta nel rispetto dei limiti di durata massima dell’orario di lavoro giornaliero e settimanale, stabiliti dalla legge e dalla contrattazione collettiva.

Qualora il datore di lavoro non affidi prestazioni che, per la loro complessità, natura o urgenza, di norma, vengono realizzate entro i normali termini di orario giornaliero/settimanale non vi è motivo di ritenere necessario il ricorso al lavoro straordinario.

Inoltre, il lavoro svolto in modalità agile non è controllabile in termini di ore espressamente dedicate.

Neppure nel caso di richiesta di collegamenti in fasce orarie prestabilite per rispondere alle eventuali chiamate del datore di lavoro o dei colleghi può tradursi in prestazioni eccedenti l’orario normale di lavoro.

Un aspetto di rilevante importanza, che dovrà, trovare spazio ed essere disciplinato nell’accordo di lavoro agile (post 15 ottobre 2020) è quello, tra gli altri, relativo all’«esercizio del potere di controllo del datore di lavoro sulla prestazione resa dal lavoratore all’esterno dei locali aziendali» nel rispetto della disciplina prevista nell’art. 4, Legge 300/70 (Statuto dei Lavoratori). Gli strumenti utilizzati dai lavoratori per lo svolgimento della prestazione lavorativa in modalità agile, tuttavia, non rientrano nella disciplina sopra richiamata, così che il loro utilizzo «non richiede alcun presupposto giustificativo, né alcuna autorizzazione sindacale o amministrativa».

Per quanto riguarda il GPS connesso a smartphone, tablet, computer utilizzati dallo smart worker l’Ispettorato Nazionale del Lavoro (circ. n. 2/2016) ha precisato che «In linea di massima, e in termini generali, si può ritenere che i sistemi di geo-localizzazione rappresentino un elemento “aggiunto” agli strumenti di lavoro, non utilizzati in via primaria ed essenziale per l’esecuzione dell’attività lavorativa ma, per rispondere ad esigenze ulteriori di carattere assicurativo, organizzativo, produttivo o per garantire la sicurezza del lavoro”.

In questo caso, però, le relative apparecchiature possono essere installate solo previo accordo stipulato con la rappresentanza sindacale ovvero, in assenza di tale accordo, previa autorizzazione da parte dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro.

Possiamo affermare alla luce di quanto fin qui detto che l’effettuazione di prestazioni lavorative eccedenti l’orario giornaliero è lasciato, alla discrezione e responsabilità del lavoratore stesso.

La domanda, quindi, sorge spontanea: nello smart working è possibile riconoscere e retribuire il lavoro straordinario?

Con riferimento all’orario di lavoro straordinario la posizione comune, riscontrata negli accordi aziendali fin qui sottoscritti, è quella di negare la possibilità di svolgere lavoro straordinario nell’ambito delle prestazioni rese in regime di lavoro agile, pur con qualche isolata eccezione.

Infatti, alcuni accordi concedono, comunque, la possibilità di svolgere straordinari, ove specificatamente previsti e previa autorizzazione del datore di lavoro con il conseguente riconoscimento del relativo trattamento economico.

Si può quindi concludere che teoricamente è possibile svolgere lavoro straordinario anche se di fatto è molto difficile, se non impossibile, tenere il computo dell’orario di lavoro effettivamente prestato.

Nei fatti, e nello spirito della norma possiamo ritenere preferibile (non obbligatorio) in alternativa al riconoscimento di retribuzioni per lavoro straordinario, difficilmente quantificabili, riconoscere compensi (o premi) extra in relazione al conseguimento di obiettivi, di fatto a prescindere dalla misurazione del tempo impiegato per raggiungerli.

Fonte: https://www.ipsoa.it/documents/lavoro-e-previdenza/amministrazione-del-personale/quotidiano/2020/09/21/smart-working-possibile-retribuire-lavoro-straordinario

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