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Welfare aziendale. Come cambierà dopo l’emergenza Covid-19

La pandemia da Covid-19 ha colpito tutti, imprese, professionisti, lavoratori. L’emergenza sanitaria ha acutizzato i bisogni sociali all’interno delle aziende e reso più evidente l’interdipendenza fra gli assetti economici e gli equilibri ambientali. E anche il campo d’azione del welfare ne sarà influenzato, (almeno) in due direzioni: si dovranno, infatti, adottare in azienda misure che, oltre a soddisfare gli interessi dei lavoratori, non abbiano impatti ambientali e rafforzare i legami fra le azioni di welfare delle imprese e le scelte degli enti e delle istituzioni locali. In definitiva, come dovrà evolversi il welfare aziendale nel prossimo futuro?

L’intero sistema del welfare, a cominciare da quello pubblico e dalla sanità, è stato messo a dura prova dalla crisi pandemica. L’impatto si è trasferito, sia pure indirettamente, sui vari aspetti del welfare integrativo. Mi limito a dare conto di quelli più generali. Si tratta di prime indicazioni perché i dati disponibili e le stesse esperienze sono ancora parziali ma sono sufficienti per porre fin d’ora la domanda su come e quanto i contenuti e lo scenario del welfare risulti già e potrà essere ulteriormente modificato.

Il tema della sicurezza e della protezione dai rischi di contagio è infatti apparso subito centrale nella gestione aziendale e nella contrattazione fra le parti. Si è toccato con più immediatezza che nel passato quanto questo tema sia essenziale per la qualità del lavoro e per il benessere delle persone.

La protezione dai rischi di contagio per i lavoratori si è realizzata anzitutto con una serie di misure contenuta in protocolli concordati ai vari livelli, a cominciare da quello generale del 24 aprile 2020 concluso fra le maggiori confederazioni delle parti sociali, con la partecipazione del Governo, confermato da un DPCM e quindi dotato di efficacia vincolante per tutte le imprese e per tutti i lavoratori. In realtà questo protocollo generale è stato integrato da molti altri accordi di categoria, di azienda e finanche di unità produttiva, che sono stati adottati per specificare e adattare le misure di protezione alle caratteristiche dei vari contesti lavorativi e quindi dei possibili rischi.

Il rispetto delle misure previste nei protocolli e degli accordi specificativi è necessario in primis per garantire la sicurezza e la salute dei lavoratori, ma è anche un obbligo del datore di lavoro stabilito dall’ordinamento per proteggere i dipendenti.

La norma generale che stabilisce tale obbligo è l’art. 2087 del Cod. Civ che ha una formulazione aperta circa il contenuto delle misure di sicurezza necessari da esso derivante e che è stato interpretato in modo spesso alquanto rigoroso dalla giurisprudenza.

Sul punto una importante precisazione è stata introdotta dall’art 29 bis della legge n. 40 del 5 giugno 2020 secondo cui la applicazione da parte dei datori di lavoro delle prescrizioni contenute nei protocolli indicati dalla norma (quelli sopra indicati e altri) costituisce adempimento dell’obbligo di sicurezza di cui all’art 2087 Cod Civ.

Questa norma ha il valore di costituire una sorta di garanzia per il datore di lavoro, che con l’osservanza dalle clausole dei protocolli viene esentato dalla responsabilità civile conseguente a eventuali contagi dei lavoratori.

Si tratta di una salvaguardia importante per le imprese che seguono le regole concordate, anche se la garanzia non è completa, perché lo scudo della norma riguarda solo la responsabilità civile e non quella penale.

Gli accordi e le prassi sulla sicurezza dei lavoratori riguardano non solo la definizione una tantum delle misure protettive, ma richiedono anche il loro mantenimento nel tempo e l’aggiornamento necessario per tener conto delle variazioni nel tempo delle condizioni dell’ambiente di lavoro e delle eventuali manifestazioni del contagio.

Per questo in molte aziende si sono diffusi comitati misti fra le parti e strumenti simili deputati al monitoraggio di tutte le misure rilevanti per garantire nel tempo la sicurezza degli ambienti di lavoro e al controllo sulla loro applicazione in azienda.

Una seconda evoluzione dei rapporti di lavoro accelerata dalla emergenza Covid, che è rilevante anche per il nostro tema, riguarda la diffusione e la regolazione dello smart working. Il suo utilizzo ha preso varie forme che si prestano a usi diversi.

La forma più semplice che comporta un mero decentramento del lavoro a domicilio, di per sè non ha valore innovativo e anzi può presentare aspetti negativi in particolare per il lavoro delle donne e per la vita famigliare. Potrebbe addirittura risolversi, come si è detto, in un home -working di massa.

Ma diverse esperienze aziendali segnalano che esso può essere uno strumento utile per rinnovare la organizzazione produttiva e del lavoro contribuendo al raggiungimento di obiettivi di crescita e di sostenibilità non solo economica ma ambientale e sociale, con benefici per la intera comunità aziendale.

Queste esperienze, sia pure ancora iniziali, mostrano che lo smart working può contribuire anche alla evoluzione delle politiche di welfare aziendale.

Le implicazioni per la qualità del lavoro e del benessere delle persone sono diverse; possono andare dalla riduzione dei tempi e dei costi degli spostamenti dei lavoratori, al miglioramento del work life balance, ad aspetti generali come il migliore utilizzo degli spazi per i lavoratori, la riduzione dello stress e dei rischi di infortunio.

Inoltre, la gestione di questi aspetti, come di quelli sopra citati della prevenzione e della sicurezza, si presta a favorire la partecipazione di tutte le componenti aziendali, con ricadute potenzialmente positive sul clima aziendale.

La diffusione del lavoro agile gestito nei modi indicati può inoltre contribuire a rafforzare un’area del welfare aziendale, quello della conciliazione fra tempi di vita e di lavoro, che ha già avuto sviluppo in molte realtà aziendali analizzate nel testo.

Alcune misure adottate da molte aziende sono direttamente legate alla emergenza sanitaria: dalla rimodulazione degli orari di lavoro e dei turni per favorire una migliore distribuzione del lavoro in condizioni di sicurezza, alla integrazione da parte della azienda di permessi e ferie per ridurre il ricorso alla cassa integrazione, alla scelta di ferie di emergenza riguardanti i lavoratori impiegati in aree aziendali colpite da forti cali di attività allo stesso fine di limitare il ricorso alla cassa integrazione, a forme di solidarietà quali il fondo-ore negoziato che permette ai dipendenti di donare le ferie fino all’annullamento del passivo individuale ai colleghi che hanno ferie da recuperare.

Le esperienze della emergenza hanno sottolineato la necessità di rafforzare i congedi e gli altri strumenti volti a liberare spazi a vari fini, in particolare alla cura dei figli e alla vita familiare, fruibili da ambedue i genitori. Anche queste sono esigenze destinate a durare oltre la emergenza.

È significativo che varie ricerche segnalano come il miglioramento dell’equilibrio fra lavoro e vita privata dei lavoratori costituisca uno dei più importanti obiettivi indicati dalle aziende nei loro progetti di gestione del personale e di progettazione del welfare.

Un tema connesso con quanto detto finora, da tempo presente nel nostro mercato del lavoro, è la crescente diffusione del part -time che si presenta in modo squilibrato perché assume spesso carattere non volontario, in particolare per le donne. La questione per la sua rilevanza generale, coinvolge in pieno le istituzioni pubbliche, ma ad essa non sono estranee le responsabilità delle imprese e di un welfare aziendale che voglia essere socialmente lungimirante

L’emergenza sanitaria ha introdotto un’altra serie di priorità nella scelta delle misure di welfare. Si tratta di misure diverse; alcune dirette a integrare il reddito dei lavoratori coinvolti nella crisi, in particolare a integrare e anticipare le prestazioni degli ammortizzatori sociali, altre intese a far fronte alla domanda crescente di servizi sanitari di vario genere, dalla distribuzione di mascherine alla messa a disposizione gratuita di controlli e di strumenti diagnostici, fino all’ampliamento delle prestazioni dei fondi sanitari integrativi sia aziendali sia di settore.

Altri interventi di welfare attivati dalle aziende hanno consistito nell’organizzazione di servizi di trasporto dei lavoratori per supplire alle carenze dei trasporti pubblici e alla loro inagibilità per motivi di sicurezza in conseguenza del lock down.

D’altra parte le difficoltà economiche hanno talora condizionato la possibilità di erogare i premi di risultati programmati e le prestazioni di welfare ad essi collegati.

Le conseguenze del Covid hanno colpito in modo particolare non solo i bambini, che non hanno potuto usufruire della scuola e dei relativi servizi, ma anche le persone anziane che sono state esposte in modo più grave e più diffuso di altri ai rischi di contagio, di malattia e di morte.

La prevenzione e la risposta rispetto a questi rischi sono state a carico della sanità pubblica che ha dovuto sopportare una pressione senza precedenti; ma l’impatto di questa emergenza è destinato a farsi sentire anche sulle imprese, a cominciare da quelle che hanno in atto da misure di cura e di assistenza per anziani familiari dei dipendenti.

La pandemia ha aggravato tendenze da tempo rilevate nelle nostre società all’aumento dell’isolamento sociale e della solitudine di molti anziani, che ha riflessi sulla salute privata e pubblica; il welfare aziendale potrà essere sollecitato anche in questo campo a integrare con proprie misure gli interventi della assistenza pubblica.

Le risposte delle parti sociali e delle imprese a queste sollecitazioni della crisi sanitaria non sono ancora definite, ma sono destinate a diffondersi. Se vorranno rispondere a questa sfida gli attori sociali dovranno ripensare le loro priorità nella scelta delle misure, modificando il paniere dei loro servizi al fine di renderlo più coerente con i nuovi bisogni dei dipendenti.

La crescita e la frammentazione delle misure di welfare oggi disponibili pongono la esigenza di semplificazione e di un miglior uso delle risorse aziendali e pubbliche.

In realtà l’emergenza sanitaria ha non solo acutizzato i bisogni sociali all’interno delle aziende, ma ha reso evidente la interdipendenza profonda fra gli assetti economici e produttivi e gli equilibri ambientali, nello specifico mostrando le esternalità negative per le persone e per l’ambiente di uno sviluppo senza regole.

Anche il campo d’azione del nostro welfare ne sarà influenzato (almeno) in due direzioni: da una parte dovranno valutarsi le misure da adottare in azienda alla luce degli interessi dei lavoratori, ma considerandone anche l’impatto esterno e ambientale in specie, dall’altra parte andranno rafforzati i legami già esistenti fra le misure aziendali di welfare e le scelte degli enti e delle istituzioni locali. La complementarietà fra questi interventi avrà modo di esprimersi in particolare sui temi della assistenza, della prevenzione e della sanità territoriale, nonché sulle varie forme di fragilità sociali emergenti nella vita dei lavoratori e dei loro familiari sul territorio.

Queste prime indicazioni sembrano segnalare la possibilità che il welfare aziendale sia chiamato a svolgere funzioni non solo marginali ma sempre più “strutturali” per il benessere individuale e collettivo dei lavoratori e delle loro famiglie. Questo è un motivo di più per rispondere alla esigenza di promuoverne una diffusione equilibrata fra i gruppi sociali, fra le aziende e fra i territori e di finalizzare meglio il suo sviluppo a finalità di utilità generale e di eguaglianza.

Fonte: https://www.ipsoa.it/documents/lavoro-e-previdenza/amministrazione-del-personale/quotidiano/2020/10/17/welfare-aziendale-cambiera-emergenza-covid-19

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