• Home
  • News
  • Salario minimo legale: un rebus (ancora) in cerca di soluzioni

Salario minimo legale: un rebus (ancora) in cerca di soluzioni

Sull’equo salario il quadro normativo, nazionale e sovranazionale, attende ancora risposte certe dal legislatore. Gli interessi in campo (di imprese e lavoratori) sono diversi e contrapposti. Va poi considerato che l’Italia è caratterizzata da notevoli differenze territoriali in ordine alla parità dei poteri di acquisto e di consumo, differenze che non possono non influire sull’importo del salario. Portare l’asticella troppo in alto o troppo in basso potrebbe generare evidenti rischi, anche di elusione da parte dei datori di lavoro chiamati ad applicare le norme. Come uscire quindi dall’impasse?

In questi ultimi anni si sono fatte roventi le polemiche circa la presenza in Italia di forme gravi di sfruttamento dei lavoratori, mettendo a nudo la perdita di centralità del tradizionale sistema di relazioni industriali e il moltiplicarsi dei contratti collettivi sottoscritti da associazioni imprenditoriali e da sindacati dei lavoratori di fatto sconosciuti a più. Questa situazione discende dal fatto che il sistema di relazioni sindacali si è sviluppato in Italia in assenza di vincoli di origine legale, di modo che, non sussistendo un sistema che misuri la rappresentatività di CGIL, CISL e UIL, tutti possono liberamente fissare la retribuzione, anche ad un livello estremamente modesto (la contrattazione collettiva del settore agro-alimentare conosce per es. salari di 5 euro, o poco più, per un’ora di lavoro passata sotto il sole). L’indebolirsi del ruolo sindacale, a presidio del rispetto del complesso apparato normativo che regola i rapporti di lavoro, ha fatto parimenti emergere in tutta la sua drammaticità l’assenza di un serio meccanismo che garantisca il rispetto del precetto costituzionale dell’equo salario, pure fissato in tante fonti sovrannazionali e l’insufficienza dell’apparato di vigilanza amministrativa (seppure di recente in fase di rafforzamento). Si tratta, invero, di fenomeni non limitati al solo sistema nazionale, ma che si registrano anche in altri Paesi europei, tanto da aver indotto la Commissione guidata da Ursula von der Leyen a presentare al Parlamento europeo una proposta (COM(2020) 682 final) per assicurare l’introduzione in ogni paese di meccanismi di salario minimo, lasciando tuttavia ai singoli ordinamenti ampia libertà in ordine alla misura di questo che, come è noto, oscilla da paese a paese, in relazione al livello assoluto di reddito (che varia non poco dal Lussemburgo alla Bulgaria). Nello stesso senso, anche a Roma in Parlamento sono stati presentati vari progetti di legge diretti ad introdurre, anche in Italia e al pari di molti altri paesi del continente, un salario minimo uguale per tutti, così da evitare forme di indebito sfruttamento per i lavori meno pagati. Solo che, quando si tratta di definire quale sia la possibile soglia del salario minimo, non è facile individuare un importo orario che metta tutti d’accordo. In primo luogo, non si deve dimenticare che una formidabile concorrenza discende dalla previsione del reddito di cittadinanza, che già adesso assicura a quanti si trovino in condizioni economiche disagiate di poter contare su un assegno mensile che ascende, nei casi di famiglie più numerose, sino ad oltre mille euro al mese, cui si aggiunge un contributo per fronteggiare i costi della locazione dell’abitazione. Come dimostra l’esperienza comparata, queste soglie possono costituire una “trappola” capace di fatto di tenere lontano il percettore del trattamento assistenziale dal mondo del lavoro, ove in concreto le occupazioni offerte siano meno appetibili del reddito stesso, perché la retribuzione è minore dell’assegno assistenziale o perché, in ogni caso, il maggior guadagno non giustifica la fatica da affrontare per andare a lavorare ogni giorno. Questo risultato viene raggiunto attraverso una serie di misure di vario tipo, che attengono ad es. alla misura dell’assegno (consentendosi a chi abbia trovato un lavoro di poter continuare a godere ancora dell’assistenza per un certo periodo, sia pure in misura ridotta), o al trattamento fiscale dei redditi guadagnati in conseguenza della scelta fatta (con una riduzione per es. per i “secondi redditi” familiari). Infine, vi è un limite che discende dal rigoroso rispetto del principio di condizionalità, che fa sì che il percettore viene a perdere il diritto al RdC, ove continui a rifiutare le offerte di lavoro che gli vengono proposte. Si deve peraltro notare come il livello del salario al quale si pone la concorrenza del RdC sia abbastanza elevato, ove si consideri che le occupazioni che in concreto si offriranno a soggetti oramai lontani da tempo dal mercato del lavoro potrebbero consistere soprattutto in attività ad orario parziale e a basso reddito, di modo che il valore medio del salario dovrà essere assai elevato perché si possa in concreto convincere chi beneficia dell’assistenza gratuita ad abbandonare la sua condizione, mentre il vastissimo mondo dell’economia informale offre già oggi la possibilità di arrotondare generosamente il suo reddito mensile. Resta da dire che l’introduzione di un sistema di salario minimo orario per le attività di lavoro, se non si vuole aprire la strada a facili elusioni delle previsioni di legge, richiede di essere estesa anche ai lavoratori apparentemente autonomi, ma che operano in assenza di collaboratori, con apparati aziendali modestissimi (se non inesistenti), di modo che la loro attività viene a concretarsi in una prestazione prevalentemente (se non esclusivamente) personale. Da ultimo, ove si voglia procedere alla fissazione di un salario minimo nazionale, si dovrà considerare ancora che la misura di questo non può non tenere conto del fatto che l’Italia resta ancora caratterizzata da una notevole differenza su base territoriale in ordine alla parità dei poteri di acquisto e di consumo che non può non influire sull’importo che questo verrà ad assumere. Gli effetti possibili, invero, sono due: o il salario viene ad essere fissato in misura così modesta da non determinare alcuna opposizione da parte delle imprese di minori dimensioni (ma con il rischio evidente di rinegoziazioni al ribasso nelle imprese del Nord), ovvero, se viene a soddisfare le esigenze che discendono dal costo della vita delle aree più ricche, il rischio di elusione diventa assai elevato (e viene a collocarsi in un ambito nel quale, i localismi possono avere grande influenza nel paralizzare gli apparati pubblici destinati a rilevare le violazioni). Per questo, non sembra illogico che possano registrarsi alcune limitazioni in ordine all’ambito di applicazione della norma, escludendo ad es. i rapporti di lavoro stipulati alle dipendenze di soggetti non-imprenditori o nel caso di parziale fornitura di servizi a integrazione della retribuzione (come prevalentemente per il lavoro domestico e delle persone addette ad attività di cura), ovvero prevedendo maggiorazioni per specifiche aree urbane ad elevata densità di popolazione, dove i costi per avere accesso all’abitazione siano particolarmente elevati. Evidente è tuttavia la necessità che il sistema appaia trasparente e chiaro, così da potersi giovare, a garanzia della sua effettività, delle spontanee richieste di adempimento che provengano dai lavoratori interessati (che, mediamente, presentano un livello di acculturamento e di conoscenza della stessa lingua italiana, sicuramente inferiori alla media, così da rendere necessarie specifiche azioni di informazione pubblica e chiarezza estrema nella individuazione dei loro diritti). Copyright © - Riproduzione riservata

Fonte: https://www.ipsoa.it/documents/lavoro-e-previdenza/amministrazione-del-personale/quotidiano/2021/08/28/salario-minimo-legale-rebus-ancora-cerca-soluzioni

Iscriviti alla Newsletter




È necessario aggiornare il browser

Il tuo browser non è supportato, esegui l'aggiornamento.

Di seguito i link ai browser supportati

Se persistono delle difficoltà, contatta l'Amministratore di questo sito.

digital agency greenbubble