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Il miglioramento aziendale: rispetto a noi stessi, alle indicazioni consulenziali oppure alle aspettative del cliente?

Il concetto di miglioramento aziendale è insito nell’esistenza stessa dell’azienda: un’azienda esiste per soddisfare i propri clienti, producendo un reddito che permetta la sostenibilità finanziaria di questa missione primaria. Quindi, il miglioramento aziendale andrebbe misurato in termini di quanto il soddisfacimento del cliente è raggiunto, garantendo l’equilibrio patrimoniale e dei flussi di cassa. In altre parole, il punto di partenza del miglioramento aziendale (e quindi dell’insieme di metriche che lo rappresentano numericamente) deve sempre essere il cliente; il fatto che poi tali metriche si declinino in indicatori operativi legati alla redditività, alla gestione finanziaria, dei magazzini oppure al training&education del personale deve risultare una conseguenza di un legame “per costruzione” tra attività operative aziendali e strategia.

Il punto di partenza del miglioramento aziendale deve sempre essere il cliente. Tale assunzione potrebbe sembrare ovvia, anche perché riproposta e sottolineata di continuo nei testi di riferimento: ma, nella realtà è realmente così? Davvero tutte le aziende che si concentrano sulla realizzazione di cruscotti direzionali - più o meno colorati e performanti - per il reporting direzionale, considerano il cliente come “centro” focale da cui ricavare i KPI aziendali che leggono da quei sistemi? Oppure proprio la comparsa dei KPI e la loro possibile “polverizzazione”, abilitata e accelerata dall’utilizzo di quegli stessi strumenti, ha fatto perdere di vista il concetto cardine della loro esistenza ovvero che devono strettamente dipendere dalla strategia aziendale e da come i fabbisogni dei clienti vengono soddisfatti? Un esempio: produzione su commessa Consideriamo, ad esempio, un’azienda manifatturiera che operi con strategia “make to order” (produzione su commessa), ovvero che produce i prodotti solamente a fronte di un ordine cliente effettivamente ricevuto, compresi i rilasci degli eventuali ordini dei materiali necessari alla produzione stessa. Ipotizziamo, quindi, che sia il tempo di consegna (“delivery cycle time”) la metrica fondamentale di questa azienda per competere sul mercato, attese le aspettative del cliente; il delivery cycle time considererà, per esempio, la somma di tutti i tempi necessari alla consegna finale, dall’eventuale acquisto di materia prima fino al tempo di trasporto per essere valutato. Ipotizziamo, tuttavia, che nella stessa azienda anche la produzione abbia in piedi delle metriche dipartimentali per misurare la propria efficienza; la produzione, senza un controllo strategico e condiviso del KPI, tenderà - per quanto possibile e comunque secondo criteri locali - ad accumulare lotti di produzione simili per ottimizzare i costi e aumentare così l’efficienza, ma a discapito delle date di consegna e, quindi, della metrica strategica selezionata. Da questo semplice esempio si deduce che il proliferare di metriche dipartimentali slegate tra loro ed orientate, quindi, ai soli obiettivi di funzione è non solo divergente rispetto alla strategia ma anche deleterio, in quanto introduce un concetto di “performance locale” del tutto improprio. Servono metriche univoche di performance È fondamentale, quindi, partire dalla definizione di strategia con un set di attributi rappresentativi e, sulla base di detti attributi, ricavare delle metriche univoche di performance; solo così si garantirà la consistenza tra “strategia e operations” che devono realizzarla. E va, parimenti, accettato il fatto che alcuni attributi saranno più rilevanti di altri, dal punto di vista strategico, poiché un’azienda non può eccellere su tutti gli attributi di gestione: - se si compete sul tempo di consegna, occorre accettare delle “inefficienze” di produzione (Amazon, in alcuni Zip Code dell’area di Boston, consegna la merce a due ore dall’ordine cliente; è evidente che i mezzi di trasporto che partono dal distribution center più vicino per la consegna non potranno partire completamente pieni per ottimizzare il costo unitario di trasporto, perché se si attendesse l’ottimizzazione del mezzo non si rispetterebbe il tempo di consegna stabilito come baseline); - se si compete sul costo, non si può ipotizzare di operare con una strategia “su misura” (“engineered to order”), basata sul rispetto stretto di specifiche e lavorazioni generalmente uniche e stabilite dal cliente finale. Cinque attributi cardine di gestione Ecco allora la proposta di almeno cinque attributi cardine di gestione, definendo come attributo non già la metrica di riferimento per la perfomance ma una caratteristica che definisce un “comportamento” strategico nei confronti del mercato da servire; gli attributi, in altre parole, dovrebbero servire a rispondere alla domanda semplice quanto strategica: “perché un cliente dovrebbe acquistare i nostri prodotti/servizi?” Ecco, quindi, l’insieme dei cinque attributi strategici definiti dallo SCOR model (Supply Chain Operation Reference model) per definire la strategia aziendale e, conseguentemente, le metriche di riferimento per le perfomance aziendali: 1) affidabilità (reliability), ovvero la consegna dei beni/servizi nelle date concordate, nelle quantità e codici concordati, con la documentazione necessaria a supporto e con la qualità richiesta dalle specifiche; un ordine cliente che rispetti queste caratteristiche è detto “perfetto”; 2) tempo di risposta (responsiveness), ovvero quanto siamo rapidi ad evadere l’ordine dalla sua ricezione alla consegna “alla porta” del cliente; 3) agilità (agility), ovvero in quanto tempo siamo in grado di modificare volume e quantità dell’offerta di beni e servizi allineandola alla domanda del mercato, senza che questo costringa un cambiamento rilevante dei costi e degli impianti attuali (“scala”); 4) costo (cost), ovvero quanto il prodotto è competitivo sul costo (e quindi sul prezzo offerto); 5) asset management, ovvero quanto efficientemente l’azienda gestisce i propri asset per soddisfare nel modo richiesto il cliente finale; la gestione del magazzino ricade in questo attributo di gestione. È evidente che la priorità strategica non può avere, ad esempio, sullo stesso piano la competizione sul costo e la flessibilità di produzione, che comporta il cambiamento di un mix secondo le aspettative del mercato; chi compete sul costo, generalmente, ha un catalogo di varietà molto ristretto e si occuperà di gestire primariamente meglio le scorte. Viceversa, la rapidità della consegna, ovvero lo stretto rispetto della data del cliente, può introdurre fatalmente inefficienze con riflesso sui costi e sulle politiche di prezzo, che diverrà giustificato proprio da un migliore servizio nei confronti del cliente e, quindi, un aumento della domanda. Questo primo passaggio di definizione della strategia grazie ai cinque attributi strategici è fondamentale per guidare le aziende nella scelta di metriche standard per la definizione delle proprie perfomance. Grazie a questa prima definizione, un framework dedicato alla perfomance aziendali come lo SCOR permette di identificare direttamente le metriche partendo da tali attributi; inoltre, questa relazione tra metriche e attributi è solo la prima del modello, in quanto saremo anche in grado di individuare i processi aziendali (Source, Make, Plan, Deliver, Return, Enable) che sono influenzati ed influenzano tali metriche. Da ultimo, lo SCOR permette di introdurre un benchmarking, ovvero l’uscita definitiva da un’ottica autoreferenziale delle metriche (ovvero il miglioramento rispetto a sé stessi, magari rispetto a metriche personalizzate) e sostituita dalla possibilità di comparare le metriche stesse rispetto ai concorrenti e/o alla supply chain di riferimento.

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Fonte: https://www.ipsoa.it/documents/impresa/contratti-dimpresa/quotidiano/2021/09/06/miglioramento-aziendale-stessi-indicazioni-consulenziali-aspettative-cliente

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