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Processo del lavoro e negoziazione assistita: si può parlare di riforma?

Il disegno di legge delega al Governo per la riforma del processo civile è stato approvato in prima lettura al Senato. Per il processo del lavoro sono stati introdotti alcuni correttivi che riguardano il rito unico in caso di licenziamento. Si prevede, infatti, la possibilità di ricorrere alla negoziazione assistita a condizione che ciascuna parte sia difesa dal proprio avvocato, nonchè, se le parti lo ritengono, anche dai consulenti del lavoro. Ma riconoscere il ruolo di queste professionalità non rappresenta la mera trasposizione in una norma di un dato di fatto?

E’ stato recentemente approvato dal Senato il disegno di legge delega al Governo per la riforma del processo civile. Questo intervento normativo viene considerato centrale, nel piano di riforme post-pandemico nella misura in cui nel giudizio civile in generale sono rappresentate le istanze di giustizia, prevalentemente di tipo economico, le cui risoluzioni in tempi ragionevoli rendono il mercato più dinamico ed efficiente. La delega alla riforma nasce con l’obiettivo di fornire risposte all’ormai atavica necessità di razionalizzare il processo e contemperare l’esigenza di celerità, con la garanzia dei diritti di difesa delle parti in giudizio. Evidentemente, quelle rappresentate non possono dirsi esigenze nuove; infatti, tutte le riforme fin qui poste in essere avevano questi obiettivi e se valutiamo a posteriori i risultati non possiamo che concludere per un giudizio negativo, quantomeno per ciò che attiene l’aspirazione alla riduzione dei tempi. Ferma restando questa premessa, la valutazione circa l’efficienza di una futura riforma – così come le precedenti - non potrà che passare anche da elementi esterni al dato normativo, quali gli organici degli uffici, la loro organizzazione ed il grado di efficienza di tutte le componenti della macchina della giustizia. In questo quadro, il modello processuale che si è dimostrato più efficiente, seppur anch’esso snaturato nel tempo dalla prassi, è il processo del lavoro. La prova indiretta di quanto affermato si ricava dalla circostanza per cui la riforma non incide sull’impianto processuale in modo strutturale, rispetto alla riforma datata 1973, che a distanza di cinquant’anni si dimostra ancora efficiente. Ciò nonostante, il Legislatore è indirizzato ad introdurre nel processo del lavoro alcuni correttivi che riguardano principalmente il rito unico in caso di licenziamento, da cui può discendere la reintegrazione, l’allineamento del rito del lavoro alle riforme in materia di appello e l’introduzione della negoziazione assistita facoltativa. Proprio su quest’ultimo punto appare opportuno svolgere alcune riflessioni di carattere generale. L’articolo 1 comma 4 lettera q) del testo approvato dal Senato recita testualmente: “prevedere, per le controversie di cui all’articolo 409 del codice di procedura civile, fermo restando quanto disposto dall’articolo 412-ter del medesimo codice, senza che ciò costituisca condizione di procedibilità̀ dell’azione, la possibilità di ricorrere alla negoziazione assistita, a condizione che ciascuna parte sia assistita dal proprio avvocato, nonchè, ove le parti lo ritengano, anche dai rispettivi consulenti del lavoro, e prevedere altresì che al relativo accordo sia assicurato il regime di stabilità protetta di cui all’articolo 2113, quarto comma, del codice civile”. Il disegno di legge, laddove fosse confermato, introduce un nuovo strumento potenzialmente deflattivo del contenzioso, ovvero quello già noto della negoziazione assistita per le controversie di cui all’art. 409. La novità non è tanto l’applicabilità di tale strumento al diritto del lavoro, quanto l’estensione, in caso di accordo, della disciplina dell’articolo 2113 comma quarto che era propria delle transazioni sottoscritte nelle “sedi protette”. Se guardiamo alla storia del diritto del lavoro questo da sempre, prima in forma obbligatoria come condizione di procedibilità e poi in forma facoltativa, ha previsto ed agevolato meccanismi di composizione stragiudiziale della lite ma la particolarità è quella di aver introdotto un meccanismo in cui l’accordo è suggellato con l’assistenza dei soli avvocati. Il punto centrale di una riforma di questo tipo è l’implicito superamento del principio per cui l’unico soggetto abilitato a fornire la garanzia della volontà piena e consapevole del lavoratore nell’ambito della transazione sia il soggetto pubblico – inteso come gli uffici dell’ITL, enti certificatori e Giudici – ovvero il sindacato. Molte possono essere le considerazioni circa il ruolo del sindacato nell’ambito degli accordi sottoscritti con il lavoratore ma, l’introduzione di questa norma ha due chiavi di lettura parimenti rilevanti. In primo luogo, estendere alla negoziazione assistita gli effetti di cui al comma 4 dell’articolo 2113 cod. civ. ha il sapore di un cambio culturale e di presa di coscienza del ruolo dell’avvocato. Sul punto sarebbe un’ipocrisia non ammettere che ad oggi in quasi tutte le transazioni, a prescindere dal ruolo svolto dal sindacato, il lavoratore è assistito da un avvocato ed il più delle volte anche da un consulente del lavoro che sovente svolgono un ruolo centrale nella decisione del proprio assistito di mettere fine alla lite in via bonaria. Riconoscere, quindi, il ruolo di queste professionalità rappresenta la trasposizione nella norma di un dato fattuale. Ma vi è molto di più nell’introduzione di questa norma. Traspare, infatti, un passaggio concettuale della percezione del lavoratore all’interno dell’ordinamento, da “contraente debole” che vede solo nel ruolo degli uffici pubblici e dei sindacati la tutela dei propri diritti rispetto al datore di lavoro, ad un lavoratore che si pone in una posizione maggiormente paritetica rispetto al datore di lavoro. In altre parole, anche in questo caso, il Legislatore prende atto della circostanza fattuale per cui il lavoratore moderno non è (o forse è meno) “contraente debole” rispetto al passato e l’assistenza alla sua volontà può passare – con i medesimi effetti - anche attraverso la negoziazione assistita con la sola assistenza dei rispettivi avvocati. In questa logica anche il richiamo ai consulenti del lavoro che, per i medesimi motivi, potranno essere chiamati a fornire il supporto tecnico necessario affinché la posizione del lavoratore riceva un’assistenza qualificata anche dal punto di vista contabile, previdenziale e fiscale. Viene da chiedersi se ed in che misura questo strumento abbia o no un effetto deflattivo maggiore rispetto all’attuale complesso normativo. Rispetto a questo quesito – al di là del giudizio di valore positivo di cui si è detto prima – la risposta pare debba essere negativa. L’esperienza infatti porta a dire che il ruolo del professionista, a prescindere dallo strumento della negoziazione assistita, è già oggi decisivo nella risoluzione delle controversie in ambito giuslavoristico e, quindi, immaginare che vi sia un qualche genere deflazione ulteriore del contenzioso da questa misura appare poco probabile. Un approccio più realistico è invece quello per cui una semplificazione della procedura data dalla negoziazione assistita possa agevolare i tempi nel raggiungimento dell’accordo, nella misura in cui non occorrerà coordinarsi con la tempistica di soggetti terzi. Copyright © - Riproduzione riservata

Fonte: https://www.ipsoa.it/documents/lavoro-e-previdenza/amministrazione-del-personale/quotidiano/2021/10/23/processo-lavoro-negoziazione-assistita-parlare-riforma

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