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Contratto di solidarietà: utilizzo più ampio per i datori di lavoro

Per il contratto di solidarietà arrivano due importanti novità con la legge di Bilancio 2022, che riguardano sia il campo di applicazione dei datori di lavoro interessati all’utilizzo che l’ampiezza della riduzione di orario possibile. L’allargamento della base può consentire, ad esempio, anche alle imprese del commercio, alle agenzie di viaggio e agli alberghi di affrontare la crisi di mercato facendo ricorso al contratto di solidarietà per salvaguardare i livelli occupazionali. Inoltre, la riduzione di orario di lavoro media aziendale programmata su base giornaliera, settimanale o mensile può ora arrivare fino all’80% con punte, correlate al singolo lavoratore pari al 90%: prima le percentuali erano, rispettivamente al 60% ed al 70%. Come si applicano le nuove regole? Quali controlli possono essere effettuati dagli Ispettorati del Lavoro?

Le novità introdotte con la legge di Bilancio 2022 (l. n. 234/2021) nella materia delle integrazioni salariali disciplinate dal D.L.vo n. 148/2015 hanno riguardato anche il contratto di solidarietà, previsto dall’art. 21. Si è trattato, come vedremo, di due cambiamenti importanti che riguardano sia il campo di applicazione dei datori di lavoro interessati alla riduzione stessa la quale può, riguardare, indistintamente, tutti i lavoratori subordinati, che l’ampiezza della riduzione di orario possibile. Ma, andiamo con ordine. La platea dei potenziali fruitori ha, come detto, subito un notevole allargamento: alle imprese appartenenti ai settori industriali già individuati dall’art. 20, si aggiungono, dal 1° gennaio 2022, i datori di lavoro non coperti dai Fondi di solidarietà bilaterali (art. 26), da quelli alternativi (art. 27) e dai Fondi delle Province Autonome di Trento e Bolzano che, nei sei mesi precedenti la data di presentazione della richiesta di intervento, abbiano occupato, in media, più di 15 dipendenti: non è un concetto nuovo in quanto esso ricalca una previsione già presente nel nostro ordinamento sin dal vecchio art. 1, comma 1, della legge n. 223/1991. L’allargamento della base può consentire, ad esempio, alle imprese del commercio, delle agenzie di viaggio, dei pubblici esercizi, degli alberghi o del settore dello spettacolo, anche mediamente piccole, di affrontare crisi di mercato facendo ricorso ad ammortizzatori ad “ampio respiro” come la CIGS per riorganizzazione o la crisi aziendale, o a contratti di solidarietà ove l’obiettivo precipuo è quello di salvaguardare i livelli occupazionali. Applicazione della normativa sulle integrazioni salariali straordinarie in generale e sul contratto di solidarietà, in particolare, significa anche essere sottoposti ai relativi obblighi contributivi ordinari (0,90% sulla retribuzione imponibile mensile, di cui 2/3 a carico del datore di lavoro ed 1/3 a carico del lavoratore) indicati dall’art. 23 ed alle addizionali previste dall’art. 5, nel caso in cui si dovesse richiederne la fruizione. Su questo punto, soprattutto per le aziende che, finora, non sono state sottoposte all’obbligo, è opportuno attendersi, a breve, chiarimenti da parte degli organi amministrativi ministeriali e dell’INPS. Ma cosa afferma, oggi, la disciplina il contratto di solidarietà? Contratto di solidarietà: cosa cambia dal 1° gennaio 2022 La normativa di riferimento, contenuta nel comma 5 dell’art. 21, è stata completamente sostituita dal 1° gennaio 2022 dalle previsioni inserite nell’art. 1, comma 199, lettera d) della legge n. 234/2021. La durata massima è di 24 mesi, anche continuativi, nel quinquennio mobile e, ricordo, che, per la parte non eccedente i 24 mesi, il calcolo avviene per la metà, se il trattamento integrativo viene fruito durante i primi 24 mesi del quinquennio di riferimento. Il D.M. n. 94033/2016 (che, probabilmente, verrà cambiato in alcune parti, soprattutto con riguardo alle percentuali di riduzione) chiarisce che l’accordo va sottoscritto con le organizzazioni comparativamente più rappresentative sul piano nazionale: a livello aziendale le stesse sono soltanto le “loro” RSA (art. 51 del D.L.vo n. 81/2015) o la RSU. Esso deve ipotizzare una riduzione di orario con l’obiettivo principale di evitare in tutto o in parte i licenziamenti. L’attuale regolamentazione prende, in gran parte, lo spunto dalla previsione già contenuta, nella fase emergenziale, nell’art. 40 del D.L. n. 73/2021 ove, con una durata temporalmente ridotta, fu previsto, fino allo scorso 31 dicembre, il contratto di solidarietà per le aziende che, nel raffronto tra i fatturati del primo semestre del 2019 e dell’analogo periodo del 2021, avevano subito un calo di almeno il 50%. Nell’accordo collettivo, che rappresenta l’elemento qualificante del contratto, l’esubero di personale va quantificato e motivato, concetto ben richiamato dall’art. 4, comma 1, del D.M. n. 94033: il contratto di solidarietà non è applicabile all’edilizia in caso di fine lavoro o fase lavorativa e, quindi, in tale specifico settore se l’accordo riguarda i “lavoratori permanenti” (per lo più appartenenti agli uffici tecnici ed amministrativi) questi vanno riportati nominativamente nel testo, distinguendoli da quelli di cantiere (art. 3, comma 2, D.M. n. 94033). Il contratto di solidarietà non è previsto per i lavoratori con contratto a termine legati ad esigenze stagionali ed è ammissibile per i “lavoratori a tempo parziale” strutturali nella organizzazione del lavoro: per costoro risulta ipotizzabile la ulteriore riduzione di orario (art. 3, comma 3, D.M. n. 94033). Ma cosa succede se durante la solidarietà si verifica la necessità di un minor ricorso alla integrazione, per un aumento dell’attività lavorativa? In questo caso il datore di lavoro deve darne notizia sia alla Direzione Generale per gli Ammortizzatori Sociali ed Incentivi all’Occupazione che all’INPS: nell’ipotesi contraria di una maggiore riduzione rispetto a quella sottoscritta con le organizzazioni sindacali, occorre, invece, un nuovo accordo. Ai fini della gestione complessiva del contratto si ricorda che, in via generale, i lavoratori in solidarietà non possono effettuare prestazioni straordinarie, fatte salve ipotesi meramente eccezionali. Ma, cosa succede se, per far fronte ad un “surplus” di lavoro si renda necessario effettuare nuove assunzioni per qualifiche non assolutamente disponibili nell’organico aziendale? La risposta fornita, a suo tempo, dal Ministero del Lavoro con l’interpello n. 21 dell’11 agosto del 2016, è che ciò è possibile anche ricorrendo a tipologie contrattuali come l’apprendistato. Sulla scorta di quanto previsto dal nuovo comma 5 dell’art. 21, la riduzione di orario media aziendale programmata su base giornaliera, settimanale o mensile può arrivare fino all’80% con punte, correlate al singolo lavoratore pari al 90% (prima le percentuali erano, rispettivamente al 60% ed al 70%). Il trattamento salariale perduto a seguito di riduzione oraria va calcolato al netto degli aumenti retributivi intervenuti a seguito di accordi collettivi aziendali raggiunti nei 6 mesi antecedenti la richiesta (ciò per evitare un possibile uso capzioso della norma), mentre non rilevano gli aumenti derivanti dal rinnovo del CCNL applicato. Nell’accordo collettivo vanno individuate le modalità, in presenza di un aumento del lavoro, di aumento dell’attività svolta con orario ridotto: tutto ciò comporta una riduzione corrispondente del trattamento di integrazione salariale. Il contratto di solidarietà può essere stipulato dalle parti interessate anche in una azienda che, in procedura concorsuale, sia stata ammessa alla continuazione dell’attività: ovviamente, dopo aver verificato la sussistenza dei requisiti richiesti. Le quote di accantonamento del TFR concernenti la retribuzione persa a seguito della riduzione di orario sono a carico della Gestione INPS relativa agli interventi assistenziali e di sostegno (art. 37 della legge n. 88/1989) con una eccezione, derivante dalla abrogazione della legge n. 464/1972, che riguarda i licenziamenti per giustificato motivo oggettivo o al termine di una procedura collettiva di riduzione di personale, avvenuti entro 90 giorni dal termine del periodo integrativo, o entro 90 giorni dal termine del periodo di fruizione di un ulteriore trattamento integrativo straordinario (ad esempio, CIGS per crisi aziendale) concesso entro 120 giorni dal termine del trattamento precedente (tutto questo è scritto nel nuovo comma 5 dell’art. 21). Il contratto di solidarietà difensivo postula che per tutta la durata i licenziamenti collettivi restino “bloccati” ma il Dicastero del Lavoro, da tempo, ha ammesso la possibilità che durante lo stesso periodo possano essere previsti anche con accordo sindacale “licenziamenti non oppositivi” paragonabili, nella sostanza, a risoluzioni consensuali (per le quali non viene riconosciuta la NASPI) o a “licenziamenti accettati” (per i quali è dovuta, invece, l’indennità di disoccupazione): nella sostanza, durante la solidarietà può svolgersi una procedura collettiva di riduzione di personale che, una vota fissato, quale unico criterio quello della adesione ai licenziamenti come unico criterio concordato con le organizzazioni sindacali, resti “aperta”, consentendo ai lavoratori interessati di aderirvi, magari anche perché facilitati da proposte incentivanti. Indubbiamente, tra gli ammortizzatori straordinari possibili (riorganizzazione o crisi aziendale, ma anche “riorganizzazione per realizzare processi di transizione” per la cui individuazione entro il prossimo 2 marzo dovrà essere emanato un D.M. del Ministro del Lavoro), il Legislatore sembra preferire, di gran lunga, il contratto di solidarietà. Ciò si evince da diversi elementi: a) dalla durata complessiva che può arrivare fino a 36 mesi, in quanto, nel calcolo del quinquennio mobile, se esso viene usufruito nei primi due anni, viene computato per la metà; b) dal fatto, citato pocanzi, secondo il quale le quote di TFR, maturate durante la fruizione della integrazione salariale straordinaria, restano a carico dell’INPS (a differenza delle altre integrazioni straordinarie ove restano a carico dell’impresa), in presenza delle condizioni pocanzi riportate; c) dalla circostanza che qualora l’imprenditore decida di ricorrere alle causali di “riorganizzazione” o di “crisi aziendale” deve spiegare, in un certo senso, la motivazione per la quale non è stato possibile ricorrere alla solidarietà (art. 24, comma 4). Il trattamento di integrazione salariale ammonta, ricorda, l’art. 3, all’80% della retribuzione globale che sarebbe spettata al lavoratore per le ore di lavoro non prestate nel limite dell’orario contrattuale. Qui, una novità importante è rappresentata dal nuovo comma 5-bis che riguarda, indistintamente, tutti gli ammortizzatori ordinari e straordinari: per i trattamenti di integrazione salariale relativi a periodi di sospensione o riduzione di orario decorrenti dal 1° gennaio 2022 l’importo del trattamento non può superare il massimale previsto dalla lettera b) del comma 5 (ossia quello più alto), rivalutato annualmente nella misura del 100% rispetto alla variazione dell’indice ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie. Per le erogazioni delle integrazioni valgono le regole stabilite dall’art. 7 il quale prevede, quale modalità ordinaria, il pagamento delle integrazioni salariali effettuato dal datore di lavoro ai dipendenti aventi diritto al termine di ogni periodo di paga, con l’importo conguagliato secondo le modalità usuali. Ma, potrebbe esserci, a fronte di difficoltà aziendali, una richiesta di pagamento diretto? In teoria, si, anche se nel contratto di solidarietà tale ipotesi è, assolutamente, meno frequente che, ad esempio, nel caso di crisi aziendale. La richiesta aziendale deve essere presentata dall’azienda unitamente alla domanda di concessione e l’eventuale autorizzazione viene inserita nel provvedimento che autorizza l’intervento integrativo. Ovviamente, in questo caso l’Ispettorato Territoriale del Lavoro, dovrà, su richiesta della Direzione Generale degli Ammortizzatori Sociali, verificare l’indice di liquidità dell’impresa riferita all’anno in corso. Quest’ultimo deve risultare negativo, con valore inferiore all’unità: esso è la risultante del rapporto tra liquidità immediate (contanti in cassa, assegno, conto corrente, titoli negoziabili, ecc.) e passività correnti (debiti di fornitura, debiti verso le banche, debiti IVA, debiti previdenziali, partite passive da liquidare, ecc.). Procedura di autorizzazione Ma, una vota definito l’accordo, qual è la procedura che porta alla concessione del provvedimento di autorizzazione? I passaggi successivi possono, così, sommariamente, ricapitolarsi: a) l’istanza va inoltrata, nei 7 giorni successivi alla sottoscrizione dell’accordo collettivo aziendale, attraverso il sistema telematico della CIGSonline, al Ministero del Lavoro ed all’Ispettorato Territoriale del Lavoro competente per territorio (art. 25, comma 5). Quest’ultimo, venuto a conoscenza della richiesta, può cadenzare l’accesso ispettivo anche in considerazione del fatto che il comma 6 prevede un obbligo di verifica nei 3 mesi antecedenti la conclusione dell’intervento di integrazione salariale; b) il decreto ministeriale che comprende tutto il periodo richiesto deve essere adottato entro 90 giorni dalla presentazione dell’istanza, fatte salve le ipotesi di sospensione dell’iter determinate dalla necessità di acquisire ulteriori elementi istruttori. Controlli e verifiche Un discorso complessivo sui contratti di solidarietà non può non comprendere i controlli che gli organi di vigilanza degli Ispettorati del Lavoro possono mettere in atto, adempiendo a ciò che la norma loro impone: al momento, in attesa di eventuali nuovi chiarimenti amministrativi che dovessero pervenire dalla Direzione Generale degli Ammortizzatori e della Formazione del Ministero del Lavoro, credo che la prassi di riferimento non possa essere che quella indicata nella circolare 8 agosto 2016 n. 27, ovviamente aggiornata con i valori delle nuove aliquote di riduzione. La nota ministeriale ha il pregio di sottolineare (il richiamo vale per tutte le integrazioni salariali straordinarie e non soltanto per il contratto di solidarietà) come le verifiche non possano essere soltanto “documentali” ma necessitino, sempre, dell’accesso sul luogo di lavoro, con lo scopo di verificare l’effettiva attuazione di quanto riportato nel contratto sottoscritto dal datore di lavoro e dalle organizzazioni sindacali. Come detto pocanzi, il contratto di solidarietà richiede il raggiungimento di un accordo sindacale che, tuttavia, può avvenire soltanto con organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale, territoriale o con le “loro” RSA o la RSU, secondo la chiara dizione contenuta nell’art. 51 del D.L.vo n. 81/2015. Di conseguenza, non hanno legittimità a sottoscrivere gli accordi, associazioni sindacali che non hanno tali requisiti. L’accordo ha natura “gestionale” nel senso che vincola anche chi è iscritto ad un sindacato non firmatario o chi non è iscritto ad alcuna associazione. Gli ispettori del lavoro debbono, a mio avviso, verificare se le associazioni firmatarie avevano il titolo “legale” per siglare l’accordo. Ma cosa debbono, poi, esaminare gli ispettori del lavoro? Innanzitutto, che il contratto di solidarietà, inteso come riduzione oraria programmata, sia stato rispettato: ciò potrà accadere incrociando i dati del Libro Unico del Lavoro e delle timbrature, con le dichiarazioni dei lavoratori interessati. Una particolare attenzione va posta all’orario di lavoro, nel senso che prestazioni superiori a quelle concordate nell’accordo possono essere giustificate soltanto se previste dal contratto stesso, comportando una riduzione della integrazione. In tale logica va visto il lavoro straordinario che non è, assolutamente, ammesso per i lavoratori interessati, fatte salve ipotesi del tutto eccezionali che debbono essere giustificate e motivate. Un’ultima verifica riguarda la possibilità che sia stata aperta una procedura di riduzione collettiva di personale, oppure, che ci siano state offerte datoriali per la risoluzione di rapporti di lavoro in essere: ebbene, il D.M. n. 94033 prevede, in linea di continuità con un indirizzo già presente prima della entrata in vigore del D.L.vo n. 148/2015, che riduzioni di personale ci possano essere ma che esse debbano avvenire con la “non opposizione” dei lavoratori (volontarietà quale criterio nella procedura collettiva, dimissioni, risoluzioni consensuali). Da ciò discende che nel caso in cui si sia verificata questa eventualità, gli organi di vigilanza dovranno controllare gli atti che hanno portato alla risoluzione dei singoli rapporti di lavoro. Copyright © - Riproduzione riservata

Fonte: https://www.ipsoa.it/documents/lavoro-e-previdenza/amministrazione-del-personale/quotidiano/2022/01/28/contratto-solidarieta-utilizzo-ampio-datori-lavoro

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