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E’ tempo di rivedere il sistema contributivo. Verso quale direzione?

Il nostro sistema contributivo sta cambiando: gli ammortizzatori sociali sono praticamente diventati universali, anche se suddivisi per categorie e tipologie di aziende; l’assegno unico universale ha reso universali, come dice il suo nome, gli assegni per il nucleo familiare. Ci sono poi i fondi bilaterali, che vanno ad integrare e/o sostituire l’intervento previdenziale pubblico. L’esigenza che sta emergendo è questa: offrire a chi lavora una copertura integrativa e ulteriore rispetto alle tutele INPS ed INAIL, una copertura che sia, per l’appunto, universale. Un cambiamento che potrebbe portare ad una trasformazione della previdenza in gestione del benessere. In questo contesto saranno proprio il bilateralismo e la contrattazione a giocare un ruolo importante.

Tra i cambiamenti che si stanno realizzando, sta passando sotto silenzio, per quanto riguarda sviluppi e conseguenze, il mondo contributivo, soprattutto quello legato all’INPS, che rappresenta la quasi totalità della gestione dei contributi versati per i lavoratori dipendenti (restano fuori pochissimi comparti, tra cui il principale è l’INPGI, ovvero quello dei giornalisti) e per i lavoratori autonomi (i principali esclusi sono i professionisti con le loro casse di previdenza). Ricordiamo, in via preliminare, cosa fa l’INPS. La definizione è tratta dal sito dell’Istituto. “L’INPS gestisce la liquidazione e il pagamento delle pensioni e delle indennità di natura previdenziale e assistenziale. Le pensioni sono prestazioni previdenziali, determinate sulla base di rapporti assicurativi e finanziate con i contributi di lavoratori e aziende pubbliche e private. Invece, le prestazioni assistenziali o a sostegno del reddito tutelano i lavoratori che si trovano in particolari momenti di difficoltà della loro vita lavorativa e provvedono al pagamento di somme destinate a coloro che hanno redditi modesti e famiglie numerose. Per alcune di queste prestazioni l’INPS è coinvolto solo nella fase di erogazione, mentre per altre svolge tutto il procedimento di assegnazione”. Il nostro sistema previdenziale attuale, nella parte più rilevante, è gestito e finanziato attraverso contributi che vengono pagati da chi lavora, o meglio parte da chi lavora e la stragrande maggioranza dai datori di lavoro, rappresentando una parte consistente del costo del lavoro. I contributi si possono dividere sin due tipi: il primo, l’IVS (invalidità, vecchiaia e superstiti), inerente i contributi gestiti dall’assicurazione generale obbligatoria (AGO) e il secondo, che possiamo definire come “altri contributi”, contiene una serie di tutele tra cui quella per la disoccupazione, oggi Naspi (Nuova Assicurazione Sociale per l'Impiego). La loro natura è chiaramente indicata dall’INPS: “La contribuzione previdenziale assicura il lavoratore contro eventi che possono renderlo non idoneo alla prestazione lavorativa. Tra prestazioni e contributi c'è un rapporto di corrispondenza (concezione assicurativa del rapporto previdenziale), quindi alcune prestazioni previste per i lavoratori dipendenti di un settore di attività possono non esserlo per altri settori. La scelta di quali assicurazioni attivare per il lavoratore e il contributo da versare è imposta dalla legge che stabilisce l’applicabilità o meno di determinate assicurazioni nei diversi settori di attività. Per questo INPS attribuisce con esattezza l’inquadramento aziendale: ad esso, infatti, è collegato il complesso delle assicurazioni sociali applicabili ai lavoratori”. Fanno parte di questa categoria i contributi che coprono la malattia, la maternità, la disoccupazione, le crisi aziendali (cassa integrazione), la cassa unica assegni familiari. Qualcuno si starà chiedendo perché venga proposta questa divisione. Il motivo sta nel fatto che l’IVS è previsto praticamente per tutti (si potrebbe dire che sia universale), mentre gli altri contributi variano da settore a settore, addirittura da categoria a categoria, come il caso del settore metalmeccanico, in cui gli operai sono assicurati per la malattia mentre gli impiegati non lo sono. Questo vuol dire, in sostanza, che un operaio metalmeccanico è assicurato per la malattia con l’INPS, mentre un impiegato metalmeccanico è assicurato per la malattia dal CCNL. Nel concreto, per l’operaio metalmeccanico la malattia la paga l’INPS (con eventuale integrazione del datore di lavoro), mentre per l’impiegato la malattia è pagata dall’azienda. Questo è valido non solo per la malattia, ma anche per tutti quegli emolumenti che i datori di lavoro erogano per dettato contrattuale e che si riferiscono ad elementi previdenziali non coperti da contributi, come, ad esempio, per gli assegni familiari nei settori che non pagano i contributi CUAF, ovvero la cassa unica per gli assegni familiari. Il meccanismo descritto disegna un quadro che molto spesso non è considerato nella sua completezza e nelle sue sfumature. La gran parte delle assicurazioni, infatti, sono erogate al lavoratore dall’INPS, ma per alcuni c’è una “estensione di copertura contrattuale” da parte della contrattazione collettiva, sia come integrazione che come effetto sostitutivo. In merito a tali emolumenti, quelli erogati dall’azienda sono imponibili dal punto di vista contributivo, oltre al fatto che su tutto (somme erogate dall’INPS e dall’azienda) si pagano le tasse. Delineato il quadro strutturale, cerchiamo di capire se il quadro è “costante” o se qualcosa sta cambiando. La risposta è immediata se si va a leggere la legge di Bilancio 2022 e i successivi provvedimenti emanati. Per quanto attiene il mondo dei contributi, stiamo assistendo ad un fenomeno particolare: gli ammortizzatori sociali (CIGO, CIGS, FIS) sono praticamente divenuti universali, anche se suddivisi per categorie e tipologie di aziende; l’assegno unico universale ha reso universali, come dice il suo nome, gli assegni per il nucleo familiare che coprono i figli minorenni. Un altro fenomeno che le nuove normative stanno evidenziando è poi lo stimolo e la spinta agli strumenti bilaterali di origine contrattuale, i fondi bilaterali, che vanno ad integrare e/o sostituire l’intervento previdenziale pubblico. L’esigenza che sta emergendo è proprio questa: offrire a chi lavora una copertura integrativa e ulteriore rispetto alle tutele INPS ed INAIL, una copertura che sia, per l’appunto, universale. Partendo da questa tendenza emergente, proviamo a capire se possiamo trovare in tale contesto degli ulteriori stimoli e sviluppi. Ricordiamo, utilizzando il vocabolario Treccani online, la definizione di previdenza: previdènza s. f. [dal lat. tardo praevidentia, der. di praevĭdens -entis «previdente»]. –  (…omissis…) “2. a. Azione (che più esplicitamente viene indicata come p. sociale) svolta dallo stato allo scopo di assicurare ai lavoratori, e in seguito a tutti i cittadini, i mezzi materiali di sopravvivenza e l’assistenza necessaria quando vengono a trovarsi in condizioni di bisogno (vecchiaia, periodi di disoccupazione involontaria, infortunî e malattie, invalidità di vario tipo”. Questa definizione propone un interessante concetto, ovvero quello che la previdenza si occupa sia dei lavoratori che dei cittadini. In qualche modo la definizione richiama il concetto di universalismo, come proposto proprio dalle ultime tendenze. Una tendenza da perseguire perché dovremo evitare che si attui un processo in cui chi non lavora è escluso da qualsiasi tutela. Una revisione della contribuzione potrebbe essere un buon bilanciamento del nostro sistema di welfare, purché si fondi sulla interrelazione tra sistema pubblico e sistema bilaterale/contrattuale. Quindi, da una parte, il sistema pubblico universale, che gestisce le “infrastrutture sanitarie e previdenziali” e che, in via sussidiaria, si occupa di chi non lavora e di chi è pensionato, e, dall’altra, un apparato che, attraverso il sistema contributivo/assicurativo del lavoro, sia esso di natura pubblica, contrattuale o autonoma (es. casse professionali), permetta di avere ulteriori coperture in relazione allo stato di lavoratore, sia autonomo che privato. Ovviamente questo comporterà un aumento dei costi previdenziali che dovrebbero essere bilanciati dalla defiscalizzazione e decontribuzione delle somme “assicurative” erogate, soprattutto se inserite negli obblighi contrattuali. In questo contesto, ad esempio, le aziende si farebbero carico direttamente della copertura economica della malattia (assicurazione contrattuale), non versando, però, la contribuzione prevista attualmente. Per far capire, con un esempio concreto rapportato alla situazione attuale: le somme erogate oggi dall’azienda agli impiegati metalmeccanici per malattia sarebbero versate per il valore netto (utilizzando come meccanismo il concetto di lordizzazione) al lavoratore e non sarebbero sottoposte a contribuzione, né a fiscalità e questo potrebbe avvenire anche per gli operai. La malattia diverrebbe per tutti una assicurazione coperta dal contratto. Per evitare gli abusi si potrebbe poi inserire questo emolumento nel campo dell’appropriazione indebita. I periodi di malattia dovrebbero continuare ad essere coperti da contribuzione figurativa e gestiti dal punto di vista della certificazione/attestazione dall’INPS. Ma per realizzare tutto questo, sarà necessario rimodulare il sistema contributivo nella relazione tra INPS e sistema contrattuale/bilaterale. Essenziale, per attuare questo, è l’universalità, attuata dando a tutti i lavoratori e lavoratrici le stesse coperture e, magari, allargando le stesse. Il sistema potrebbe essere, dunque, concepito così: l’INPS offrirebbe le coperture universali previdenziali per alcune situazioni di bisogno (es. cassa integrazione), per quelle legate a coperture successive alla fine del rapporto di lavoro (es. disoccupazione) ed alla maternità, mentre la contrattazione e/o gli enti bilaterali potrebbero farsi carico di alcune prestazioni che assicurino alcuni eventi specifici legate all’attività lavorativa (es. malattia, permessi vari, ecc.) o forniscano coperture integrative (long term care, pensione e assistenza sanitaria integrativa, ecc.). Da ribadire che tutte le coperture fornite dalle aziende nel periodo in cui si lavora sarebbero erogate mantenendo al lavoratore il netto e non sarebbero sottoposte a contribuzione, né a tassazione. A questo riguardo sarà però necessario definire il tema della rappresentanza sindacale in relazione alla contrattazione collettiva, perché sicuramente non potremo avere l’universalità con ottocento contratti collettivi diversi! Questo sistema dovrebbe diventare uno strumento di welfare sensibile ai nuovi bisogni e alle nuove esigenze. Si dovrebbe passare, dunque, dalla previdenza sociale al benessere sociale. E l’INPS dovrebbe cambiare nome: da Istituto Nazionale per la Previdenza sociale a Istituto Nazionale per il Benessere sociale. Copyright © - Riproduzione riservata

Fonte: https://www.ipsoa.it/documents/lavoro-e-previdenza/amministrazione-del-personale/quotidiano/2022/03/05/tempo-rivedere-sistema-contributivo-direzione

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