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Assistenza del lavoratore nella conciliazione in sede sindacale: quali sono i requisiti per la validità

Il Tribunale di Bari, con sentenza del 2022, si è soffermato sulla questione, lungamente dibattuta, dell’effettiva e concreta assistenza del lavoratore da parte del sindacato in sede di conciliazione, affermando che per la validità dell’atto conciliativo è indispensabile l’appartenenza del rappresentante sindacale all’organizzazione cui il lavoratore aderisce. Trattasi di un principio di diritto la cui interpretazione, ormai da decenni, impegna una giurisprudenza ondivaga, ma che pare essersi stabilizzata, pur persistendo ancora orientamenti “fuori dal coro”. Quali sono i requisiti di validità della conciliazione in sede sindacale? E quali gli accorgimenti e le misure da adottare per dare corso ad una conciliazione a regola d’arte?

Il Tribunale di Bari con sentenza del 6 aprile 2022, ha dichiarato la nullità del verbale di conciliazione sottoscritto in sede sindacale tra una lavoratrice e il datore di lavoro in quanto ritenuto invalido per carenza dei requisiti costitutivi ed essenziali ai fini della genuinità dell’accordo transattivo. Tra i molteplici indici ormai ritenuti pacifici - la chiara volontà di conciliare, la consapevolezza dei diritti di cui dispone, la volontà abdicativa, la determinatezza dell’oggetto, la sussistenza di reciproche concessioni - è imprescindibile, ai fini di un’effettiva assistenza del lavoratore, l’appartenenza del sindacalista all’organizzazione sindacale cui il lavoratore aderisce. In mancanza di tale requisito (in uno con gli altri indicati), la conciliazione, seppur avvenuta in sede protetta, non sarà inoppugnabile, ma il lavoratore ben potrà agire per la sua censura nel termine di sei mesi. La conciliazione in sede protetta L’art. 2113 c.c. prevede, come regola generale, l’invalidità delle rinunzie e delle transazioni effettuata da qualsiasi lavoratore (sia esso autonomo, subordinato, dipendente di ente pubblico ecc.) aventi per oggetto diritti previsti da norme inderogabili di legge o dai contratti collettivi, cui deroga in via eccezionale l’ultimo comma, prevedendo l’inoppugnabilità delle conciliazioni che, pur avendo ad oggetto tali diritti, vengono sottoscritte in sede protetta (sede giudiziale, ITL, sede sindacale, sedi e modalità di cui alla contrattazione collettiva, istituite ad hoc). Tale scelta legislativa si fonda sulla presunzione che le sedi protette, e la procedura conciliativa adottata, sono idonee a sottrarre il lavoratore dalla condizione di soggezione che sussiste nei confronti del datore di lavoro, ed è volta ad assicurare la pienezza di tutela al lavoratore nell’atto abdicativo di diritti che derivano da norme inderogabili. Tale presunzione di tutela, che giustifica l’inoppugnabilità di tali conciliazioni, può però ben essere superata ove sia provata l’assenza dei requisiti minimi che debbono comunque sussistere ai fini della validità di tali conciliazioni. L’effettiva assistenza sindacale quale requisito di validità del negozio abdicativo Soffermandoci sulla conciliazione in sede sindacale, oggetto della sentenza in commento, la giurisprudenza ha ritenuto quale requisito essenziale di validità della stessa, l’effettività dell’assistenza prestata al lavoratore da parte del rappresentante sindacale. In tal modo si garantisce al lavoratore un quadro chiaro ed esaustivo del contenuto e delle conseguenze delle rinunce formalizzate attraverso l’accordo conciliativo, per consentirgli di decidere in modo libero e consapevole e non incorrere in scelte svantaggiose. Un primo e più risalente orientamento della giurisprudenza riteneva sufficiente, ai fini della validità della conciliazione in sede sindacale, la mera presenza del sindacato di comodo, ritenendo la presenza fisica del sindacalista idonea a sottrarre il lavoratore ad una condizione di soggezione rispetto al datore di lavoro (Cass. n. 1804/1988). Un secondo orientamento più restrittivo, in un’ottica più rispettosa della ratio della norma di protezione del lavoratore, ha valorizzato il requisito del vincolo fiduciario tra il sindacalista e il lavoratore rappresentato, che deve risultare dallo specifico mandato scritto e da un ulteriore documento sottoscritto dalle parti e dai rispettivi rappresentanti nominati (cd. principio di fiduciarietà). Un terzo orientamento, assolutamente restrittivo (cui aderisce la sentenza in commento), ha introdotto esplicitamente, quale requisito necessario per la validità dell’accordo conciliativo, la presenza del sindacalista di fiducia del lavoratore, appartenente all’organizzazione sindacale cui lo stesso aderisce. Dà voce a questo orientamento, tra le molte, la pronuncia in commento, che sul punto afferma: “ciò che è imprescindibile è che positivamente risulti che vi sia stata un’effettiva assistenza del lavoratore da parte di “propri” rappresentanti sindacali. Altre forme di presenza non possono pertanto ritenersi al riguardo idonee a sottrarre la rinunzia e la transazione al regime legale di invalidità” (Cass. n. 11167/1991; conf. Cass. n. 16168/2004; Cass. n. 4730/2002). Un ulteriore orientamento, mediano rispetto ai precedenti, valorizza il dato fattuale e l’accertamento in concreto dell’assistenza al lavoratore: ai fini della verifica dell’effettiva assistenza al lavoratore si deve constatare se, in relazione alle concrete modalità di svolgimento dell’iter conciliativo, sia stata correttamente attuata la funzione di supporto che la legge assegna al sindacato. L’appartenenza del sindacalista all’organizzazione propria del lavoratore diviene quindi indice presuntivo di effettività dell’assistenza (tra gli altri) e non elemento imprescindibile per la sua sussistenza (Cass. n. 12858/2003; Cass. n. 16154/2021; Cass. n. 13217/2008; Cass. n. 24024/2013; Trib. Roma n. 4354/2019). Profili processuali: impugnazione e onere della prova L’atto abdicativo invalidamente stipulato in sede sindacale può essere impugnato dal lavoratore per invalidità della rinuncia nel termine perentorio di decadenza di sei mesi dalla data di cessazione del rapporto o dalla data della rinunzia o della transazione. La relativa eccezione di decadenza non è rilevabile d’ufficio ed è proponibile solo dalla parte che ne abbia interesse (tendenzialmente il datore di lavoro), la quale sarà onerata anche della prova della validità dell’accordo e del rispetto dei requisiti minimi, essendo sufficiente per il lavoratore allegare tale vizio. Considerazioni finali Allo stato dell’arte l’assistenza effettiva e concreta del lavoratore in sede sindacale è pacificamente ritenuta un requisito fondamentale per la validità della conciliazione in sede sindacale. Sul punto, la giurisprudenza assume una posizione sempre più garantista e protettiva nei confronti del lavoratore (da ultimo con la sentenza del Tribunale di Bari in commento) ritenendo che l’effettività dell’assistenza in sede conciliativa sia garantita (in uno con gli altri indici) necessariamente dall’appartenenza dell’esponente sindacale all’organizzazione cui il lavoratore è iscritto. Copyright © - Riproduzione riservata

Fonte: https://www.ipsoa.it/documents/quotidiano/2022/07/28/assistenza-lavoratore-conciliazione-sede-sindacale-requisiti-validita

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