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Intelligenza artificiale e nuove frontiere del metaverso. Il mondo del lavoro è pronto?

L’evoluzione tecnologica, caratterizzata dall’utilizzo dell’intelligenza artificiale in molti processi produttivi, fa sorgere un rilevante interrogativo per il mondo del lavoro: quando l’uso degli algoritmi travalica i confini della sola sfida tecnologica vengono in considerazione problemi di natura etica coinvolgenti la gestione del capitale umano. Un tema che diviene di importante rilevanza, soprattutto, con l’utilizzo, già oggi presente in alcune sperimentazioni aziendali, del metaverso per connettere le persone oltre lo spazio fisico, creando qualcosa il più possibile vicino al mondo fisico ma allo stesso tempo oltre il mondo fisico. Le sfide sono enormi: dalla protezione alla riservatezza dei dati e fino alla costruzione di regole eticamente sostenibili. Le imprese sono pronte per il diritto del lavoro del metaverso?

Qualche anno fa, ben prima della pandemia, avevo iniziato a ragionare sulle implicazioni per l’organizzazione del lavoro del pervasivo e sempre più incalzante sviluppo delle nuove tecnologie: robotica, intelligenza artificiale e Industry 4.0. Da alcuni anni vi è una sentita preoccupazione in merito ai sempre più marcati confini tra mondo analogico e mondo digitale, tra tecnologia e obsolescenza dei vecchi mestieri accompagnata alla nascita di nuovi lavori, per non parlare del divario sempre più ampio tra vecchie e nuove generazioni, tra Baby Boomers e nativi digitali. Siamo ormai oltre la robotica ed i cicli produttivi integrati con la tecnologia per una più proficua, veloce e sicura attività umana. Siamo, infatti, o almeno così pare, su di un piano ulteriore in cui non solo si inizia a mettere in discussione la centralità dell’uomo nello svolgimento di moltissimi compiti, ma emergono ormai sempre più spesso interrogativi etici sul futuro del sistema di regole che sarà deputato a governare un mondo dove intelligenza naturale e intelligenza artificiale dovranno necessariamente convivere facendo dialogare le caratteristiche peculiari di ciascuna. E non solo in ambito lavorativo. In alcuni casi si parla addirittura di forme di contaminazione ossia di intelligenza umana aumentata ovvero “arricchita e rafforzata per mezzo del supporto dell’Intelligenza Artificiale” (Cabitza, 2019). Ma di cosa parliamo veramente? Con il termine di intelligenza artificiale si è iniziato ad abbracciare negli ultimi anni quell’insieme di tecnologie e di macchinari dotati - attraverso specifici algoritmi - della possibilità di analizzare ed elaborare una serie notevole e sempre maggiore di dati e di tradurli in azioni semplici o via via sempre più complesse. Quindi dotati della possibilità di elaborare forme di pensiero analoghe a quelle del cervello umano che si traducono in obiettivi e azioni specifici. Il primo a teorizzare di una possibile intelligenza delle macchine è stato nel 1950 Alan Turing - il noto matematico reso celebre dal film The Imitation Game - al quale si deve la nascita del primo calcolatore elettronico. Da allora di strada ne è stata percorsa moltissima e oggi possiamo affermare che, al di là delle roboanti definizioni scientifiche, gran parte della vita di tutti i giorni è pervasa dagli algoritmi: dall’uso dei social network alle piattaforme di delivery, di e-commerce, di intrattenimento, di videocomunicazione e di collaborazione a distanza, divenute così diffuse e comuni per la maggior parte delle persone proprio negli ultimi due anni di pandemia. Per non parlare dell’uso più semplice, immediato (e inconsapevole) che se ne fa ormai per qualunque tipo di ricerca su Google e sugli altri motori di ricerca in uso. Forse nessuno di noi è sufficientemente consapevole del fatto che ormai la gran parte della nostra vita è analizzata, filtrata e gestita da algoritmi. E questa è sicuramente intelligenza artificiale. Ma è pervasa dall’intelligenza artificiale anche l’evoluzione della sfida tecnologica in atto in molti processi produttivi - Industry 4.0 - e questo passaggio non è né semplice né veloce. Ci vorranno infatti ancora molti anni prima di poter passare ad un uso degli algoritmi per la gestione di attività complesse. Di attività in pratica caratterizzate non dall’esecuzione di semplici funzioni ripetitive oggi già delegate alle macchine in molti settori, ma dall’esecuzione di attività simili a quelle del cervello umano, non catalogabili in termini di semplice calcolabilità e ripetibilità di un determinato numero di operazioni. Si fa riferimento agli studi - e alle connesse applicazioni pratiche - di quei sistemi intelligenti in grado di gestire in modo autonomo attività molto complesse, solitamente appannaggio dell’uomo: si va dai sistemi di guida assistita, agli screening diagnostici, alla gestione di interi cicli industriali - quali l’allevamento o l’agricoltura - in alcuni paesi già oggi gestiti integralmente attraverso la robotica. Gli studiosi distinguono in questo caso tra weak Artificial Intelligence e strong Artificial Intelligence, dove il termine “strong” sta a significare che si è in presenza di una forma più evoluta di intelligenza artificiale in grado di operare senza alcun intervento umano. Ecco, quindi, sorgere l’interrogativo etico rilevante per il mondo del lavoro: perché quando l’uso degli algoritmi travalica i confini della sola sfida tecnologica (sfida peraltro in atto dagli albori della rivoluzione industriale - Susskind 2022), vengono in considerazione problemi di natura etica coinvolgenti sia la gestione del capitale umano, sia, in prospettiva, lo stesso futuro del lavoro in un mondo in cui la forza di sostituzione uomo-macchina sarà sempre più ampia e sempre più foriera di diseguaglianze sociali. Il tema travalica i confini del presente contributo ma diviene ancora più rilevante se si riflette sulla prossima sfida all’orizzonte e cioè quella del metaverso. Come è ormai noto, alla fine dello scorso anno il fondatore di Facebook ha annunciato la riconversione della propria azienda in Meta, con l’obiettivo di connettere le persone oltre lo spazio fisico, esplorando e colonizzando un universo che va al di là della realtà conosciuta; quindi, oltre la filosofia dei social network, creando qualcosa il più possibile vicino al mondo fisico ma allo stesso tempo oltre il mondo fisico. Un po’ realtà virtuale e internet del futuro, perché caratterizzato dalla interazione di una rete di mondi virtuali interconnessi come immaginato nel film di Spielberg del 2018 Ready Player One. Ma al di là delle dichiarazioni di intenti e della fantasia creativa di scrittori e registi, il metaverso è già oggi presente in alcune sperimentazioni aziendali. Nel veronese, ad esempio, un’azienda ha annunciato di voler concretamente ridurre l’impatto sull’ambiente del lavoro, azzerando gli spostamenti per i meeting aziendali e sostituendo la presenza fisica con degli avatar, ossia un alias 3D dei dipendenti, che potrà non solo entrare nello spazio virtuale del meeting ma anche muoversi e interagire in vario modo alla riunione. Di recente si è avuta notizia anche della prima tesi discussa dal laureando direttamente nel metaverso. A sostenerla uno studente dell'Università di Torino, che ha utilizzato un suo avatar per illustrare ai professori il suo progetto. Se durante la pandemia la maggior parte di noi ha sperimentato le potenzialità della comunicazione, delle riunioni e delle udienze a distanza, oggi stiamo già andando oltre il ristretto confine che la tecnologia intesa in senso “tradizionale” ci ha già posto di fronte. Le sfide sono enormi: la capacità di formare, far crescere e far lavorare le persone e le organizzazioni in un contesto sempre più pervaso dagli algoritmi, in cui la vera sfida sarà anche la protezione e la riservatezza dei dati, così come la costruzione di regole eticamente sostenibili che siano in grado di preservare e proficuamente orientare le unicità e le caratteristiche umane, sarà l’obiettivo più grande richiesto ad ogni ordinamento giuridico. Per non parlare della necessità di garantire investimenti corretti: gli studiosi stimano che in Europa se si vorrà tenere il passo con gli investimenti che si stanno già facendo in formazione e ricerca, collegate all’intelligenza artificiale e in paesi ad esempio come la Cina, bisognerà prevedere di stanziare dieci volte di più rispetto ai 5/6 miliardi oggi stimati. Solo così saremo in grado di governare le sfide tecnologiche che ci riserva il futuro e dare forma e contenuto a nuovi lavori e nuovi mestieri. Ci prepariamo allora per il diritto del lavoro del metaverso? Copyright © - Riproduzione riservata

Fonte: https://www.ipsoa.it/documents/quotidiano/2022/09/10/intelligenza-artificiale-nuove-frontiere-metaverso-lavoro-pronto

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