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Riforma fiscale equa solo con la famiglia come unica unità impositiva

Considerare la famiglia come unica unità impositiva e, dunque, destinataria di una giusta misurazione del prelievo fiscale in base alla capacità contributiva. Dovrebbe essere questo l’obiettivo della riforma fiscale che deve fondarsi su principi di maggiore equità ed efficienza dei meccanismi di tassazione, che non disincentivi il lavoro femminile, sia dipendente o autonomo, e che riconosca il lavoro di cura domestico inteso come assistenza concreta ai figli, agli anziani e ai disabili. Ma anche una riforma che preveda agevolazioni fiscali per l’ampliamento dei fondi bilaterali per sostenere periodi di congedo ai fini contributivi e retributivi. Quindi, il regime di tassazione deve completamente cambiare. Se ne parlerà nel corso dell’11° Forum One LAVORO, organizzato da Wolters Kluwer in collaborazione con Dottrina Per il Lavoro, a Modena il 28 settembre 2022.

Affrontare oggi la questione della riforma fiscale è un esercizio arduo in quanto buona parte dello spazio fiscale è già occupato dalla legge Finanziaria e dalle varie misure di sostegno in scadenza: più che di riforma fiscale, chi governerà dovrà spiegare quale legge di Bilancio, di che entità, composizione e saldi, intenda approvare. Quanto alla riforma fiscale sappiamo bene che nel lungo periodo, la temporanea centralizzazione della politica fiscale indotta da “Next generation-EU” potrebbe diventare il primo e cruciale tassello per un accentramento permanente della politica fiscale a livello europeo e per il connesso compimento dell’integrazione europea, ma abbiamo ben presente che la riforma fiscale, in Italia, fino a poco tempo fa aveva uno spazio fiscale su cui agire di circa 8 miliardi. Con tutte le simulazioni viste la prima considerazione è che i redditi bassi non avrebbero grandi vantaggi, ecco perché alla fine dei conti, in molti pensano che la soluzione siano sostegni fuori dalla busta paga, come per esempio le agevolazioni sulla mobilità. Sappiamo bene che comunque la copertura dei servizi di cui si usufruisce deve essere pagata e dunque se parliamo di cuneo fiscale e costo del lavoro dobbiamo distinguere bene la parte fiscale, ovvero l’IRPEF, da quella contributiva a carico dei dipendenti o dell’azienda: sono finalità diverse e i contributi pensionistici con un sistema a ripartizione, è chiaro che si mette a rischio le pensioni di domani.

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La famiglia come unica unità impositiva Tenendo conto poi che la questione del risparmio pensionistico dei lavoratori dipendenti debba essere pagato da tutti i contribuenti, va risolta. Tra tutti i limiti che si trascina, il nostro sistema fiscale evidenzio che il peccato originale di non considerare la famiglia come unica unità impositiva e dunque destinataria di una giusta misurazione di prelievo fiscale in base alla capacità contributiva, è il vero problema che l’assegno unico non ha affatto sistemato, anzi nel decreto Aiuti bis agostiniano abbiamo visto transitare parecchie risorse dal Fondo per l’assegno universale ad altre voci. Nonostante la Consulta abbia più volte sottolineato come l’ordinamento tributario italiano contenga, rispetto a questo fondamentale profilo, regole non solo inefficienti, ma che producono delle vere e proprie sperequazioni specie “in danno delle famiglie monoreddito e numerose” in quanto si fonda su una tassazione di tipo individuale rispetto alla quale l’incidenza della famiglia ai fini contributivi viene considerata solo attraverso un disordinato e mutevole meccanismo di detrazioni e deduzioni che, oltre a creare inefficienze, alimenta anche i problemi di complessità e di scarsa trasparenza dei quali soffre in maniera a oggi irreversibile l’intero sistema fiscale. Andando oltre una rimodulazione dell’IRPEF la delega fiscale della legge di Bilancio 2022 sembrava contenere un coraggio finanziario che prevedesse una revisione dell’imposizione sui redditi, contenente l’intervento su una realtà economica della famiglia. Invece niente. L’assegno unico, in linea con la tradizione dei precedenti interventi, non guarda “alla famiglia” nel suo complesso, bensì a uno suo profilo, relativo alla presenza dei figli e del condizionamento che il loro mantenimento comporta. Il che ha un ruolo rilevante, ma non certamente determinante per il necessario ristabilimento dell’equità fiscale in materia. La famiglia deve e può diventare l’obiettivo del supporto tributario, riferimento privilegiato per l’apprezzamento di una capacità contributiva nella sua corretta determinazione, determinato non solo dal fatto che al suo interno viene assicurato il sostentamento dei componenti che non producono un reddito (i figli), ma anche (e in positivo) dalla considerazione che siamo di fronte a una comunità che assicura la soddisfazione di bisogni individuali ai quali dovrebbe altrimenti sovraintendere lo Stato, impegnando la spesa pubblica come succede per la cura degli anziani e dei disabili. Se si tenesse conto appunto di ciò che la famiglia come braccio destro del welfare sostiene si realizzerebbe una migliore applicazione della progressività dell’imposizione evitando penalizzazioni odierne in presenza di nuclei monoreddito o nei quali l’imponibile non è “uniformemente” distribuito tra i vari componenti che producono la ricchezza della quale tutti poi beneficiano. Una riforma, dunque, che persegua la necessità di sostenere principi di maggiore equità ed efficienza dei meccanismi di tassazione, una riforma che non disincentivi per esempio il lavoro femminile sia dipendente o autonomo che riconosca il lavoro di cura domestico inteso come assistenza concreta ai figli, agli anziani e ai disabili. Una riforma che preveda agevolazioni fiscali per l’ampliamento robusto dei fondi bilaterali per sostenere periodi di congedo ai fini contributivi e retributivi per colei o colui che si avvale del congedo, insomma assumere potrebbe anche significare anche avere più figli, ma ciò implica un regime di tassazione che cambi completamente: oggi nel sistema di imposizione basato sui redditi “la famiglia” non è annoverata tra i soggetti passivi ai quali può essere considerata una propria capacità contributiva ai fini reddituali rispetto a limitate o inadeguate detrazioni o deduzioni operando così sul piano fiscale sulla base del reddito in modo adeguato e non sulla base di un assegno unico cosiddetto universale. Modello dello splitting familiare Se vi è veramente la volontà di innovare il sistema della tassazione della famiglia in senso costituzionale, l’assegno unico e gli altri benefici vanno integrati con un intervento di carattere strutturale, come in particolare l’introduzione dello splitting familiare, accompagnato - per scongiurare eventuali effetti di disincentivo al lavoro femminile - con misure previdenziali e fiscali “compensative” sul fronte sia dell’offerta sia della domanda di lavoro, molte già sperimentate con successo dalla legislazione emergenziale. Il modello dello splitting attualmente in uso in Germania prevede la sommatoria (cumulo) dei redditi dei coniugi, la divisione per due di tale cumulo (due essendo i coniugi) e l’applicazione sul totale del reddito (suddiviso tra i due coniugi ai fini degli obblighi strumentali) dell’aliquota marginale applicabile al risultato della divisione. In questo modello il divisore familiare prende il posto della detrazione per il coniuge a carico, mentre vanno mantenute, per importi effettivi, le detrazioni per figli a carico e le deduzioni o detrazioni (in sede di formazione dell’imponibile o di determinazione dell’imposta) delle somme corrispondenti alle spese di tutti i membri della famiglia (coniugi e figli) la cui valorizzazione ai fini IRPEF è costituzionalmente necessaria. Il modello garantisce perfettamente l’eguaglianza di trattamento tra famiglie e minimizza i rischi dell’utilizzo di scale di equivalenza penalizzanti, sebbene - è opportuno evidenziarlo - non ponga il sistema al riparo da interventi opportunistici del legislatore sull’ammontare delle permanenti detrazioni per figli a carico.
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Fonte: https://www.ipsoa.it/documents/quotidiano/2022/09/14/riforma-fiscale-equa-famiglia-unica-unita-impositiva

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