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Periodo di prova: come cambia con le nuove regole

Nuove regole per il periodo di prova sono previste dal decreto Trasparenza e in ultimo dal Ministero del lavoro, con la circolare n. 19 del 2022. Le disposizioni intervengono, in particolare, in riferimento alla durata massima, alla proporzionalità e alla non ripetibilità. In merito alle ipotesi di sospensione il Ministero chiarisce, inoltre, che il periodo di prova deve essere prolungato in misura corrispondente alla durata dell’assenza in presenza di eventi quali malattia, infortunio, congedo di maternità o paternità obbligatori. Quali sono invece i casi in cui è possibile interrompere legittimamente il rapporto di lavoro durante la prova? Alcune casistiche possono essere di aiuto.

Prima di rendere definitiva l'assunzione le parti contraenti hanno la facoltà di verificare in concreto le posizioni contrattuali che le stesse andranno stabilmente ad assumere attraverso la previsione di un periodo di prova. Durante tale periodo datore di lavoro e lavoratore, salvo che non sia previsto un periodo minimo per la durata della prova stessa, hanno la possibilità di recedere liberamente in qualunque momento dal contratto senza obbligo di preavviso. Fermo restando che ai sensi delle disposizioni di cui all’art. 2096 del Codice civile “l'assunzione del prestatore di lavoro per un periodo di prova deve risultare da atto scritto e che l'imprenditore e il prestatore di lavoro sono rispettivamente tenuti a consentire e a fare l'esperimento che forma oggetto del predetto periodo di prova”, si ricorda che tale disciplina è stata oggetto di specifico intervento da parte del legislatore tramite le recenti disposizioni di cui al D.Lgs. n. 104/2022. In ragione delle novità introdotte dal decreto Trasparenza, delle recenti indicazioni del Ministero del Lavoro (circolare n. 19 del 20 settembre 2022) ed allo scopo di valutare i casi in cui è possibile interrompere legittimamente il rapporto di lavoro durante il periodo di prova, di seguito, con l’ausilio della consolidata giurisprudenza, si analizzano, anche dal punto di vista pratico, talune casistiche che si ritengono di rilevante importanza. Le previsioni introdotte dal decreto Trasparenza Al fine di comprendere le ulteriori indicazioni previste recentemente in merito a tale fattispecie, giova ricordare che nell’ambito delle prescrizioni minime previste dal D.Lgs. n. 104/2022, all’art. 7 il legislatore è intervento in riferimento alla durata massima, alla proporzionalità, alla non ripetibilità ed alla sospensione del periodo di prova. In particolare, ha disposto che: - il periodo di prova non possa essere superiore a sei mesi, salva la durata inferiore prevista dalle disposizioni dei contratti collettivi; - in cui il rapporto di lavoro sia a tempo determinato, il periodo di prova deve essere stabilito in misura proporzionale alla durata del contratto e alle mansioni da svolgere in relazione alla natura dell’impiego; - in caso di rinnovo di un contratto di lavoro per lo svolgimento delle stesse mansioni, il rapporto di lavoro non può essere soggetto ad un nuovo periodo di prova; - in caso di sopravvenienza di eventi, quali malattia, infortunio, congedo di maternità o paternità obbligatori, il periodo di prova debba essere prolungato in misura corrispondente alla durata dell’assenza. Le indicazioni del Ministero del Lavoro Il Ministero del Lavoro, con la circolare n. 19, ha ricordato che attraverso le disposizioni introdotte dal decreto Trasparenza è stato previsto, al comma 3, che il periodo di prova deve essere prolungato in misura corrispondente alla durata dell’assenza, richiamando - a titolo meramente esemplificativo - la sopravvenienza di eventi quali malattia, infortunio, congedo di maternità/paternità obbligatori. In tale ambito, il Dicastero ha precisato che l’indicazione di tali assenze, coerentemente con quanto previsto nella direttiva e come si evince dal tenore letterale della disposizione, non ha carattere tassativo e dunque rientrano nel campo di applicazione del comma 3 tutti gli altri casi di assenza previsti dalla legge o dalla contrattazione collettiva, fra cui anche i congedi e i permessi di cui alla legge n. 104/1992 (cfr. Cass. n. 4573 del 22 marzo 2012 e Cass. n. 4347 del 4 marzo 2015). Tale valutazione, risponde al principio di effettività del periodo di prova, in forza del quale è stata riconosciuta valenza sospensiva dello stesso alla mancata prestazione lavorativa causata da malattia, infortunio, gravidanza, puerperio, permessi, sciopero, sospensione dell’attività da parte del datore di lavoro. Trattandosi di un principio consolidato nell’ordinamento giuridico nazionale, secondo il Dicastero, appare evidente che se l’elencazione di cui al terzo comma dell’art. 7 fosse considerata esaustiva delle ipotesi di sospensione del periodo di prova, si avrebbe una riduzione generale del livello di protezione riconosciuto ai lavoratori, in contrasto con l’art. 20 della direttiva (UE) 2019/1152. Ciò a ulteriore conferma del fatto che l’elencazione di cui al comma 3 è puramente esemplificativa e non esaustiva delle ipotesi di prolungamento del periodo di prova, nel cui novero si devono intendere ricomprese tutte quelle già riconosciute dall’attuale ordinamento giuridico. Il patto di prova deve sussistere dall’inizio del rapporto di lavoro La forma scritta necessaria, così disposto dall’art. 2096 c.c., per il patto di assunzione in prova è richiesta "ad substantiam" e tale essenziale requisito di forma, la cui mancanza comporta nullità assoluta dell’assunzione in prova e la sua immediata ed automatica conversione in assunzione definitiva, deve sussistere sin dall’inizio del rapporto di lavoro, senza alcuna possibilità di equipollenti o sanatorie, potendosi ammettere soltanto la non contestualità della sottoscrizione di entrambe le parti prima dell’esecuzione del contratto ma non anche la successiva documentazione della clausola orale mediante la sottoscrizione, originariamente mancante, di una delle parti, atteso che ciò si risolverebbe nell’inammissibile convalida di un atto nullo, con sostanziale diminuzione della tutela del lavoratore (Corte di Cassazione sentenze n. 11122/2002, n. 21758/2010). Mansioni affidate al lavoratore Il patto di prova apposto al contratto di lavoro, oltre a dover risultare da atto scritto, deve contenere la specifica indicazione delle mansioni che ne costituiscono l’oggetto, in relazione alle quali il datore di lavoro dovrà esprimere la propria valutazione sull’esito della prova. Tale specificazione può essere operata anche “per relationem” alla qualifica di assunzione, ove questa corrisponda ad una declaratoria del contratto collettivo che definisca le mansioni comprese nella qualifica sempre che il richiamo sia sufficientemente specifico. Ne deriva, dunque, che la conoscenza delle mansioni oggetto della prova acquisita “aliunde”, ad esempio nell’ambito di un colloquio o in un annuncio pubblicato su internet, non può sostituire l’obbligo di specificazione scritta imposto dalla legge (Corte di Cassazione sentenza n. 3852/2015). Accertamento della capacità lavorativa del prestatore durante il periodo di prova Il recesso del datore di lavoro nel corso del periodo di prova ha natura discrezionale e dispensa dall’onere di provarne la giustificazione. In proposito, tuttavia, si ritiene utile evidenziare che l’esercizio del potere di recesso deve però essere coerente con la causa del patto di prova che va individuata nella tutela dell’interesse comune alle due parti del rapporto di lavoro, in quanto volto ad attuare un esperimento mediante il quale sia il datore di lavoro che il lavoratore possono verificare la reciproca convenienza del contratto, accertando il primo le capacità del lavoratore e quest’ultimo, a sua volta, valutando l’entità della prestazione richiestagli e le condizioni di svolgimento del rapporto (Corte di Cassazione sentenze n. 8934/2015, n. 17767/2009). Ne consegue, dunque, che non è configurabile un esito negativo della prova ed un valido recesso qualora le modalità dell’esperimento non risultino adeguate ad accertare la capacità lavorativa del prestatore in prova. In tale ambito, alcune casistiche possono essere ricondotte all’ esiguità del periodo in cui il lavoratore è sottoposto alla prova (Corte di Cassazione sentenze n. 2228/1999, n. 2631/1996) oppure nei casi in cui il lavoratore espleti mansioni diverse da quelle per le quali era pattuita la prova (Corte di Cassazione sentenze n. 31159/2018, n. 10618/2015). Copyright © - Riproduzione riservata

Fonte: https://www.ipsoa.it/documents/quotidiano/2022/09/22/periodo-prova-cambia-nuove-regole

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