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Pensioni e rapporti di lavoro. La legge di Bilancio poteva fare di più

Sono poche le novità relative alle pensioni e alla disciplina del rapporto di lavoro contenute nella legge di Bilancio, che, salvo eccezioni, si limita alla proroga e al rifinanziamento, spesso per il solo 2023, di misure già adottate negli anni passati. La novità più importante è il ritorno per i settori del turismo e dell’agricoltura del lavoro a chiamata tramite voucher, con una serie di modifiche che sembrano promettere un rilancio di questa forma particolare di lavoro. Qualcosa di positivo c’è: si prevede, almeno per il lavoro agricolo, che il datore di lavoro debba provvedere prima dell’inizio della prestazione a trasmettere al competente centro per l’impiego la comunicazione obbligatoria prevista per l’insaturazione del rapporto di lavoro. Ma sarebbe auspicabile che si precisino i termini di quest’obbligo (che la norma non chiarisce sino in fondo), per dissipare ogni dubbio sul fatto che la riforma è finalizzata a far emergere il lavoro nero.

La legge di Bilancio 2023 contiene, nel complesso, poche misure relative alle pensioni e alla disciplina del rapporto di lavoro, dedicandosi, salvo le eccezioni di cui si dirà, soprattutto alla proroga e al rifinanziamento, spesso per il solo anno 2023, di misure già adottate nei due anni precedenti. È così, innanzitutto, per la decontribuzione della retribuzione per la quota a carico del lavoratore, per la quale il comma 281 dell’art. 1 fa registrare una proroga di un anno della precedente legge n. 234 del 2021, con l’applicazione di un’aliquota differenziata in relazione al reddito complessivo del prestatore (di modo che quanti abbiano una retribuzione mensile non superiore ad euro 1923,00 vengono a godere di una riduzione del 3%, in luogo di quella pari al 2% altrimenti riconosciuta sulla scorta delle previsioni in vigore sino allo scorso anno). E lo stesso può dirsi per il finanziamento per la revisione del sistema degli ammortizzatori sociali per i lavoratori dello spettacolo (comma 282), che si viene a concentrare di fatto solo nell’anno appena iniziato (prevedendo cifre assai più modeste per il 2024 e per il 2025). Anche tutti gli interventi in materia di pensioni prendono la forma di una riproposizione ed aggiornamento di soluzioni sperimentate nel recente passato. Così la pensione anticipata flessibile (Quota 103), che trova regolazione ai commi da 283 a 293, altro non è se non una conferma (a requisiti rafforzati) del sistema già inaugurato nel 2018 dal Governo giallo-verde, e confermato da ultimo dal Governo Draghi (Quota 100 e quota 102). Ed, infatti, la legge di Bilancio per il 2023, introducendo al D.L. n. 4/2019 un nuovo art. 14 bis, consente un’uscita anticipata rispetto alle condizioni previste della legge Fornero, oramai fissate, al termine del breve periodo transitorio previsto dall’art. 24 D.L. n. 201/2011, in 67 anni di età e 20 anni di contribuzione per la pensione di vecchiaia, e in 42 anni e 10 mesi di contributi, per la pensione anticipata (e si ricordi che alle donne basta un anno in meno). In forza delle previsioni ora introdotte, per ottenere il pensionamento anticipato sono richieste un’anzianità contributiva pari a 41 anni di accrediti, da raggiungersi entro il 31 dicembre 2023, unitamente al compimento di 62 anni di età anagrafica. Il beneficio, invero, non è modesto poiché, rispetto al passato, viene ad essere ridotta la soglia anagrafica, prima pari ad un’età minima di 64 anni, da compiersi entro il 31 dicembre 2022. A questa misura si accompagna poi la riproposta del bonus, già previsto dalla legge n. 234 del 2004 e diretto ad eliminare l’imposizione previdenziale sui redditi di quanti abbiano già maturato il diritto a pensione, a mente dei requisiti di cui ora si è detto. Tale opzione, tuttavia, ha avuto un successo molto limitato in passato e oggi, a fronte della generalizzazione del sistema contributivo, sembra presentare davvero pochi vantaggi per il lavoratore, se non quello di un incremento immediato della retribuzione quanto alla quota (di poco inferiore al 9%, per la generalità dei lavoratori) che verrebbe altrimenti a gravare in via normale sui singoli; ed infatti, poiché anche il datore di lavoro viene esonerato dal versamento della parte a suo carico (pari a più del doppio), il lavoratore viene a registrare una perdita totale, per quanto attiene alla contribuzione INPS per il periodo di opzione, vedendo quindi ridotto l’importo della sua futura pensione. Qualche novità si rintraccia anche (pur a fronte delle tante conferme) nella riproposizione di opzione donna disposta dal comma 292. Come si ricorderà, si tratta di un beneficio introdotto nel 2004 per quante avessero maturato un’anzianità contributiva pari a 35 anni, che bilanciava però il pensionamento anticipato con la perdita in termini assoluti dell’importo dell’assegno mensile, in conseguenza dell’applicazione del meno vantaggioso sistema di calcolo contributivo della pensione. Il decorrere degli anni ha reso questo svantaggio, però, sempre meno rilevante, di modo che si discuteva dell’utilità di continuare a mantenere in vita un meccanismo siffatto. La legge di Bilancio, alla fine, ha scelto di prolungare questa possibilità, che tanto successo aveva riscosso, ma modifica abbastanza in profondità la disciplina, perché l’opzione viene ora concessa solo a fronte di tre situazioni che si vengono ad aggiungere a quanto già previsto in passato. Ed infatti, per poter accedere anticipatamente alla pensione, la lavoratrice o deve essere onerata dell’assistenza ad uno stretto congiunto convivente, o deve aver conosciuto una riduzione della sua capacità lavorativa superiore al 74%, o infine deve rientrare nel personale in esubero all’esito di una procedura di riduzione del personale. Merita, tuttavia, di essere segnalato che l’età anagrafica di uscita può anche essere anticipata a 58 anni, in caso di figli (a 59, se il figlio è uno solo) o, comunque, in tutte le ipotesi di procedura collettiva di licenziamento. Si continua, per il resto, a non comprendere per quale ragione mai previsioni oramai così caratterizzate non possano estendersi anche agli uomini: tuttavia, il fatto che mai nessun Giudice abbia sollevato questione di legittimità costituzionale, per violazione del principio dell’eguaglianza fra i sessi, lascia intendere che le riduzioni in termini di valore assoluto dell’importo delle pensioni siano tali da sconsigliare dall’esercizio dell’opzione quanti non possano confidare su un altro reddito certo per il periodo della vecchiaia. In questo panorama la sola (modesta) novità che si riscontra è quella che, al comma 342, vede il ritorno per i settori del turismo e dell’agricoltura del lavoro a chiamata tramite voucher, conseguente all’eliminazione dei vincoli introdotti dal governo Gentiloni (all’art 24 bis del D.L. n. 50 del 2017), al fine di evitare il referendum popolare per la sua abrogazione. La legge di Bilancio 2023 prevede ora una serie di modifiche che sembrano promettere un rilancio di questa forma particolare di lavoro. Innanzitutto, il limite massimo complessivo di compensi erogabili in un anno da ciascun datore di lavoro, alla totalità dei propri dipendenti, viene innalzato da 5 a 10 mila euro, mentre resta fermo il limite di 5 mila euro per ciascun lavoratore. Inoltre, ne diventa possibile l’utilizzo anche per le aziende fino a 10 dipendenti. Infine, per l’agricoltura si prevede un regime sperimentale per il biennio 2023-24, secondo modalità che saranno meglio definite con un futuro decreto ministeriale e per un massimo di 45 giornate lavorative per ciascun lavoratore. Il ricorso al lavoro a chiamata sarà, quindi, possibile per pensionati, disoccupati, percettori di ammortizzatori sociali o del reddito di cittadinanza, studenti fino a 25 anni, detenuti ammessi al lavoro all’esterno, che non abbiano avuto rapporti di lavoro subordinato in agricoltura nei tre anni precedenti. Si tratta di un compenso esente da qualsiasi imposizione fiscale, che non fa venir meno lo stato di disoccupazione e che è cumulabile con qualsiasi tipologia di trattamento pensionistico. Non ci si può nascondere che questo intervento ha già costituito oggetto di forte contrasto con le organizzazioni sindacali confederali, forse anche a ragione del fatto che i settori interessati sono solo i due di cui si è detto, mentre ne rimangono fuori ambiti dove, dopo il Jobs Act del 2015, pure se ne era registrata grande diffusione. Si deve dire, tuttavia, che l’originaria proposta del Governo è stata riscritta all’esito di un confronto con le parti sociali e che il comma 346, almeno per il lavoro agricolo, con estrema chiarezza, impone al datore di lavoro di provvedere “prima dell’inizio della prestazione” a trasmettere al competente centro per l’impiego la comunicazione obbligatoria prevista per l’insaturazione del rapporto di lavoro. L’opinione di chi scrive è che, a differenza del passato, sarebbe bene, tenuto conto anche della difficoltà di assumere operai agricoli, che si precisassero bene i termini di quest’obbligo (che la norma non chiarisce sino in fondo), atteso che è oramai possibile attraverso la posta elettronica certificata o anche a mezzo SMS rendere quasi inesistente il carico burocratico prima lamentato dalle imprese, così da dissipare ogni dubbio sulla circostanza che la riforma è finalizzata a far emergere, grazie alla previsione di una comunicazione tempestiva ed immodificabile, almeno una certa quota di attività che, altrimenti, verrà ancora una volta ad essere di fatto condannata a rimanere nascosta nel vasto mondo del lavoro nero, alimentando sfruttamento e situazioni di grave irregolarità. Copyright © - Riproduzione riservata

Fonte: https://www.ipsoa.it/documents/quotidiano/2023/01/14/pensioni-rapporti-lavoro-legge-bilancio-poteva

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