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Licenziamenti: come cambiano le regole dal 28 febbraio

In materia di licenziamenti dal 28 febbraio è abrogato il rito Fornero in favore di un procedimento potenzialmente più snello e veloce, introdotto con la riforma del processo civile. Il nuovo procedimento si applica a tutte le controversie nelle quali con l’impugnazione del provvedimento espulsivo è proposta domanda di reintegrazione, anche quando devono essere risolte questioni relative alla qualificazione del rapporto. In particolare, si prevede una riduzione dei termini del procedimento fino alla metà. Quali sono le fasi e le caratteristiche fondamentali del nuovo rito?

Dal 28 febbraio nuove regole per il ricorso al giudice del lavoro in materia di licenziamenti. La riforma del processo civile abroga espressamente il rito Fornero e la sua doppia fase in primo grado, sostituendolo, per le impugnazioni dei licenziamenti con le quali si richiede la reintegrazione nel posto di lavoro, con un nuovo tipo di procedimento, tendenzialmente più snello e privo delle rigidità del precedente, per soddisfare, almeno nelle intenzioni del legislatore, le esigenze di celerità connesse alle decisioni di questo genere. Il rito Fornero: buoni propositi, traduzione insoddisfacente Il “rito Fornero” era stato introdotto dalla legge n. 92/2012 (art. 1, commi 47 - 69), ennesimo tentativo di rispondere alla necessità di assicurare celerità alla risoluzione delle controversie nelle quali sono in gioco diritti fondamentali come quello alla conservazione del posto di lavoro, questione che evidentemente richiede una rapida soluzione, pena l’inefficienza dei provvedimenti. Se le intenzioni erano condivisibili (lo stesso rito del lavoro “ordinario” nasce proprio come espressione dei principi chiovendiani della concentrazione, immediatezza ed oralità, per garantire la celerità della risposta alla domanda di giustizia nelle controversie di lavoro), sin dalle prime bozze erano apparsi evidenti i vizi genetici di quella traduzione normativa. Infatti, il rito Fornero, applicabile soltanto ai licenziamenti disciplinati dall’art. 18 dello Statuto dei lavoratori, implicava che la domanda potesse riguardare soltanto la legittimità del licenziamento e null’altro. Inoltre, il procedimento prevedeva lo svolgimento di due fasi in primo grado davanti allo stesso giudice del lavoro: una prima, c.d. sommaria, introdotta con sostanziale libertà di forma degli atti e tempi, nelle intenzioni del legislatore, brevi. Una seconda, eventuale, ma di fatto esercitata pressoché nella maggior parte dei casi, a cognizione piena, sempre davanti al giudice del lavoro. Il rito, che nasceva dichiaratamente per garantire la celerità dei procedimenti in materia, e la deflazione del carico del ruolo dei magistrati del lavoro, di fatti lo ha aggravato. Con il rito Fornero, infatti, non potevano essere introdotte altre questioni oltre a quella inerente la legittimità del licenziamento. Per cui per la discussione relativa, ad esempio, a pretese differenze salariali per irregolarità dei pagamenti, inadeguatezza degli stipendi, errori nell’inquadramento, differenze orarie etc. (corollario molto diffuso in caso di controversie per il licenziamento), doveva essere incardinata con un diverso procedimento, sempre davanti al giudice del lavoro. Pertanto, a fronte di un fascicolo ed un procedimento, che prima della riforma del 2012 impegnava il giudice del lavoro, per effetto del rito Fornero, che nasceva proprio per abbattere il carico di lavoro dei Tribunali, il giudice del lavoro veniva a trovarsi verosimilmente a dover trattare fino a tre procedimenti, considerate le due fasi, sommaria e a cognizione piena, oltre al separato giudizio per le domande, diverse dal sindacato sulla legittimità del licenziamento, ma da questo comunque di fatto occasionate. Inoltre, soprattutto nelle sedi più piccole, ad occuparsi dei tre procedimenti era lo stesso magistrato, circostanza che sebbene ritenuta non viziata da illegittimità dalla giurisprudenza, non rappresentava evidentemente l’optimum neppure dal punto di vista della oggettiva terzietà dell’organo giudicante in ogni sua fase. La riflessione sulla evidente scarsa efficacia del rito Fornero, quanto alla possibilità di spiegare quella efficacia deflattiva prefissa, aveva condotto già ad una sua abrogazione implicita da parte del D.Lgs. n. 23/2015, che ne aveva escluso l’applicazione per i licenziamenti soggetti al regime delle c.d. “tutele crescenti”, per tutti i rapporti di lavoro instaurati dal 7 marzo 2015. La riforma del processo civile 2023 Il D.Lgs. n. 149/2022 (art. 3, co. 32) cambia nuovamente le regole, introducendo gli artt. 441 bis, ter e quater al codice di procedura civile, che confermano ancora una volta l’attualità della ricerca della celerità della risoluzione delle controversie in materia di licenziamenti. Dal 28 febbraio 2023 è abrogato il rito Fornero, in favore di un procedimento potenzialmente davvero snello e celere, privo come appare della macchinosità bifasica di quello e delle rigidità dell’ambito di competenza per materia individuato. Ciò in favore di un significativo margine di discrezionalità - rectius, razionalità - assegnato al giudice del lavoro. Ambito applicativo Ai sensi del nuovo art. 441 bis cpc, dal 28 febbraio 2023 il nuovo procedimento per le controversie in materia di licenziamento si applica a tutte le controversie nelle quali con l’impugnazione del provvedimento espulsivo è proposta domanda di reintegrazione, anche quando devono essere risolte questioni relative alla qualificazione del rapporto. Alla formale abrogazione dei commi da 47 a 69 dell’art. 1 della legge n. 92/2012, che regolavano il rito Fornero, corrisponde adesso il sostanziale abbandono di quei canoni innanzi tutto con riferimento ai limiti della materia di competenza. Il nuovo rito dedicato si applica alle impugnazioni dei licenziamenti nelle quali è proposta domanda di reintegrazione, quindi, con la possibilità di accompagnarvi le questioni correlate, comprese, come previsto espressamente dall’ultimo periodo del primo comma quelle connesse alla qualificazione del rapporto di lavoro. Caratteristiche fondamentali Secondo quanto previsto dal primo comma del nuovo art. 441 bis cpc, le domande in questione hanno carattere prioritario rispetto alle altre pendenti sul ruolo del giudice. La riforma introduce una sorta di individuazione di ragioni d’urgenza ex lege, sì che la concorrenza dei requisiti previsti legittima la pretesa delle condizioni di celerità previste dalla norma, che implica un giudizio tendenzialmente rapido, caratterizzato dalla concentrazione delle diverse fasi e dalla riduzione dei termini ordinari, in favore del riconoscimento del carattere prioritario dei procedimenti interessati. Con l’eccezione di quanto stabilito dall’art. 441 bis, per il resto, il procedimento è regolato dalle norme ordinarie del rito del lavoro. Svolgimento del processo Come premesso, la caratteristica fondamentale delle novità introdotte per il nuovo rito per i licenziamenti con il quale si chiede la reintegrazione, è rappresentata dal perseguimento della celerità dei tempi del giudizio. Da ciò l’indicazione del carattere prioritario delle controversie e la previsione della possibilità per il giudice di ridurre i termini del procedimento fino alla metà. Si tratta dell’assegnazione di un esercizio di discrezionalità in capo al giudice che può ridurre i termini fino alla metà. Potrà operare in tal senso tenendo conto delle circostanze esposte nel ricorso senza che perciò la riduzione predetta sia obbligatoria, né nella sua applicazione, né nella sua misura, fissata al massimo - ma non necessariamente - nella metà di quella ordinaria prevista dal codice di rito. Esercitata tale facoltà dal giudice, conseguono due momenti di automaticità, rappresentati dal limite del termine tra la data della notificazione del ricorso e quella della udienza di discussione, che non può essere inferiore a venti giorni, e dal termine per la costituzione del convenuto o del terzo chiamato, ridotto alla metà. Si tratta dei soli aspetti di rigidità del procedimento, considerato che poi il quarto comma prevede che all'udienza di discussione il giudice dispone, in relazione alle esigenze di celerità anche prospettate dalle parti, la trattazione congiunta di eventuali domande connesse e riconvenzionali ovvero la loro separazione, assicurando in ogni caso la concentrazione della fase istruttoria e di quella decisoria in relazione alle domande di reintegrazione nel posto di lavoro. Si prospetta, pertanto, un cambio di passo netto rispetto all’abrogato rito Fornero e quella dettagliata scansione delle diverse fasi che lo caratterizzava, in favore di una gestione dei tempi in capo al giudice, chiamato a tenere conto, nel perseguire gli obiettivi della celerità della definizione delle controversie fissati dal legislatore, oltre che dei rilievi del ricorso, anche delle prospettazioni delle medesime esigenze di celerità provenienti dalle parti. A tali fini, inoltre, il giudice è tenuto a riservare particolari giorni, anche ravvicinati, nel calendario delle udienze, per la trattazione di questo tipo di procedimenti. L’ultimo comma dell’art. 441 bis non reca particolari previsioni per i giudizi di appello e di cassazione, limitandosi a richiedere che siano decisi tenendo conto delle medesime esigenze di celerità e concentrazione. La norma appare come una sorta di moral suasion rivolta dal legislatore ai giudici, connotata da una cogenza non irrilevante perché in quanto norma positiva esprime senza dubbi un principio immanente anche agli altri gradi di giudizio, della cui applicazione anche quelle Corti dovranno tenere conto. Tuttavia, non sono previste quelle esplicite riduzioni dei termini prescritte invece per il primo grado di giudizio. Licenziamento del socio della cooperativa L’art. 441 ter, nell’individuare il rito da applicare al licenziamento del socio della cooperativa, rinvia a quello ordinario ex artt. 409 ss. del codice di procedura civile. La norma prevede che in tali casi il giudice decide anche sulle questioni relative al rapporto associativo eventualmente proposte, anche nei casi in cui la cessazione del rapporto di lavoro deriva dalla cessazione del rapporto associativo. La previsione risolve definitivamente i dubbi nel tempo insorti sulla competenza tra giudice civile e del lavoro nella fattispecie, mettendo ordine rispetto agli orientamenti che si andavano affermando nella giurisprudenza di legittimità, i quali già avevano ritenuto una sorta di vis attractiva del giudizio del lavoro in caso di coesistenza del licenziamento e dell’esclusione da socio della cooperativa (Cass.civ., 29 luglio 2016, n. 15798; 6 agosto 2012, n. 14143). Licenziamento discriminatorio Anche il successivo art. 44 quater rappresenta una previsione che sostanzialmente mette ordine circa l’individuazione del rito da applicare, prevedendo che le azioni di nullità dei licenziamenti discriminatori, ove non siano proposte con ricorso ai sensi dell'articolo 414, possono essere introdotte, ricorrendone i presupposti, con i riti speciali. La proposizione della domanda relativa alla nullità del licenziamento discriminatorio e alle sue conseguenze, nell'una o nell’altra forma, preclude la possibilità di agire successivamente in giudizio con rito diverso per quella stessa domanda. La norma conferma l’attualità delle disposizioni speciali per contrastare i licenziamenti dettati da motivi discriminatori e previsti dagli art. 38 del d.lgs. n. 198/2006 e art. 28 del D.Lgs. n. 150/2011, stabilendo ragionevolmente l’immanenza del rito e la sua immodificabilità. Copyright © - Riproduzione riservata

Fonte: https://www.ipsoa.it/documents/quotidiano/2023/02/27/licenziamenti-cambiano-regole-28-febbraio

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