• Home
  • News
  • Settimana lavorativa corta: a che punto siamo in Italia?

Settimana lavorativa corta: a che punto siamo in Italia?

Anche in Italia, come già del resto sta già succedendo in altri paesi europei, si comincia a parlare di settimana lavorativa corta. Alcuni contratti aziendali si stanno, infatti, spingendo in avanti, prevedendo di articolare la prestazione lavorativa su soli quattro giorni: una prassi ancora limitata, ma che si rispecchia nella tendenza in atto. Siamo quindi di fronte ad una svolta culturale che deve soprattutto coinvolgere e impegnare organizzazioni sindacali e aziende verso la sperimentazione di nuove regole, tenendo conto però della realtà industriale italiana, ben diversa per certi aspetti dal resto d’Europa. Quali sono i vantaggi, ma anche le possibili criticità della settimana corta?

A febbraio è stato pubblicato il rapporto ufficiale contenente i risultati dell’esperimento di riduzione della settimana lavorativa da cinque a quattro giorni condotto nel Regno Unito e contemporaneamente il Governo belga ha approvato una legge sulle nuove forme organizzative del lavoro. Lavorare tutti lavorare meno? Ovverossia lavorare meglio? La rimodulazione dell’orario di lavoro si sta diffondendo in Francia, Germania, Paesi Bassi, Danimarca, Norvegia e Svizzera. In Italia, tranne solo due gruppi aziendali come Lavazza e Intesa, non si progetta la settimana lavorativa su 4 giorni anziché 5 ma forse torna ad essere una possibilità, posto che proprio in questi giorni dopo una relativa sperimentazione in Spagna, Nuova Zelanda Giappone alcune grosse aziende hanno adottato questa tipologia flessibilizzando soprattutto l’orario di lavoro. La situazione italiana e i prossimi sviluppi Dalla fine degli anni’60, la contrattazione collettiva italiana ha ridotto la durata della settimana lavorativa su cinque giorni (almeno nell’industria e in molti servizi). La scansione tradizionale e legislativa degli orari nostrana si attesta su 8 ore al giorno, 40 ore settimanali su 5 giorni, ovvero 1760 ore annuali. Ma il dato italiano è inferiore alla media UE e tra i principali paesi, la media italiana è più alta solo di quella francese. Nel 2021 ogni dipendente italiano a tempo pieno nel manifatturiero ha lavorato in media 37,8 ore alla settimana,39 in Germania,38,4 nella media UE. Dunque, vero è che in Italia le 40 ore massime fissate dalla legge, con una punta massima consentita per particolari esigenze fino a 48 ore, non sono mai raggiunte. Diciamocelo è sempre meno compatibile con le novità organizzative, tecnologiche delle nuove forme del lavoro. Alcuni contratti aziendali, però, si stanno spingendo più avanti, prevedendo di articolare la prestazione lavorativa su soli quattro giorni: si tratta di una prassi ancora limitata, ma che si rispecchia nella tendenza, a lasciare più tempo per sé, nel rispetto della conciliazione lavoro/famiglia e soprattutto nella consapevolezza della condivisione di progetti e valorizzazione dei risultati per il benessere delle persone per cui avanzano soprattutto nella nuova tornata contrattuale elementi importanti come nel tempo del lavoro la responsabilità, la fiducia, la libertà sono riconosciute al pari della paga oraria, come valori economici e professionali della prestazione lavorativa. Peraltro, lo smart working, ha mostrato come la sincronicità e la compresenza siano elementi spesso secondari, almeno in tutti quei casi in cui la prestazione professionale si estrinsechi in un’attività di valutazione, o di condivisione e come in piena pandemia ha risolto parecchi problemi, sia alle lavoratrici che ai lavoratori e alle aziende che hanno risparmiato indubbiamente sui costi di riscaldamento, mensa, trasporti. I nuovi sistemi organizzativi e tecnologici consentono guadagni di produttività e riduzione della fatica del lavoro e la indubbia possibilità di rimodulare gli orari dei dipendenti ma non in automatico ovviamente. Per arrivare all’orario di cittadinanza, dunque, bisogna programmarlo in una organizzazione condivisa di un lavoro per obiettivi di crescita e comporta una sfida alla nuova cultura di impresa nel rispetto reciproco. E a proposito di produttività teniamo conto che il nuovo protocollo di Banca Intesa, con parità di salario su 4 giorni su cui si distribuisce un orario effettivo che è solo inferiore di 90 minuti a quello prestato in precedenza è diverso da quello Belga che a parità di salario su 4 giorni ha una prestazione quotidiana esattamente uguale a quella su 5 giorni. Lavorare di più per essere più produttivi: è sempre vero? E non è sempre vero che lavorare di più equivale ad essere più produttivi. Più studi negano questo luogo comune: pensiamo ad esempio a quello promosso dall’OECD (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico), che ha riscontrato come, oltre un certo limite, lavorare molte ore comporti una drastica riduzione della produttività, senza una programmazione e una organizzazione condivisa, una sorta di stanchezza fisiologica, si ripercuote sicuramente sul profitto aziendale. Un’altra considerazione oggettiva e obiettiva è che nei servizi sociali e sanitari, servizi essenziali dunque, dove bisogna assicurare la presenza, potrebbe dare una mano ad irrobustire ovviamente i turni lavorativi, per realizzare le famose case della salute previste dal PNRR che pare ora possa avere un margine di proroga per potenziare gli organici medici, paramedici, assistenziali. Così’ come nei servizi della ristorazione, alberghiera e supermercati adottare la settimana lavorativa corta non sarà possibile se non prevedendo appunto turni con una problematica di maggior difficoltà a conciliare orari del team di lavoro con il singolo dipendente, senza negare l’ipotesi che vi potrebbero essere comunque lavoratori desiderosi di lavorare di più per aver un maggior stipendio - pur con minor tempo libero. Percorsi sperimentali e nuovi investimenti E’ sicuramente una svolta culturale soprattutto che coinvolge le organizzazioni sindacali e le aziende per modificare l’organizzazione sul luogo di lavoro e la contrattazione di prossimità e soprattutto per non rimanere fanalino di coda in ambito internazionale, dunque serve un confronto tra le parti sociali. Bisogna avviare in alcune realtà percorsi sperimentali, lavorando per gradi. Si potrebbe cominciare in pochi stabilimenti per capire la portata dell’intervento e le esigenze dei lavoratori, elaborando una formula su misura che tenga conto anche dei picchi di produzione delle imprese. Bisogna stare con i piedi ben piantati per terra perché non basta la variabile umana motivata senza l’investimento in nuove tecnologie perché portare la sperimentazione in azienda significa creare prima di tutto una cultura cooperativa e l’orientamento di non calare i processi dall’alto perché serve consenso sociale per far crescere questo progetto. È tempo di regolare il lavoro soprattutto nel settore manifatturiero in modo più sostenibile, libero e produttivo. Ma dobbiamo essere concreti prima di tutto. Una accelerazione degli investimenti siamo sicuri che non significhi sostituire occupati con automazione? Siamo soprattutto consapevoli che la realtà italiana della nostra industria è fatta dal 93% di piccole e medie imprese, che non hanno i margini di produttività che hanno le multinazionali e anzi durante la crisi pandemica e ora economica, per crescere il patrimonio e investire, fronteggiano costi e oneri crescenti e la realtà italiana è ben diversa dalla realtà inglese, belga. E da molte altre. Copyright © - Riproduzione riservata

Fonte: https://www.ipsoa.it/documents/quotidiano/2023/03/13/settimana-lavorativa-corta-punto-italia

Iscriviti alla Newsletter




È necessario aggiornare il browser

Il tuo browser non è supportato, esegui l'aggiornamento.

Di seguito i link ai browser supportati

Se persistono delle difficoltà, contatta l'Amministratore di questo sito.

digital agency greenbubble