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Salario minimo orario: la misura minima va riferita solo al compenso lordo

L’INPS, durante le audizioni presso la Commissione Lavoro del Senato, sottolinea come una volta determinata la misura minima del salario orario, ritenuta maggiormente adeguata per il conseguimento delle finalità della norma, è opportuno riferirla esclusivamente al compenso lordo, espungendo ogni riferimento agli oneri sociali. La motivazione risiede nella osservazione per cui in caso contrario ci sarebbe una variabilità in funzione dei settori produttivi. L’Istituto sottolinea ancora che, basandosi sull'esperienza della Germania, ai fini della piena applicazione dei salari minimi, risulta necessario sviluppare efficaci forme di controllo del rispetto dei parametri di legge e introdurre misure sanzionatorie nei confronti dei trasgressori.

Proseguono le audizioni presso la Commissione Lavoro del Senato sui disegni di legge n. 658 e n. 310, relativi all'istituzione del salario minimo orario. Numerose le osservazioni e gli spunti di riflessione. In premessa va riportato il parere del CNEL con riferimento ai timori rappresentati da una parte del mondo datoriale sul possibile spiazzamento derivante dai minimi legali sull'occupazione dei lavoratori a basso salario con il timore che questo possa ulteriormente indebolire la copertura della contrattazione collettiva incentivando le imprese a uscire dalle associazioni firmatarie di CCNL e da parte sindacale che, in presenza di un minimo salariale legale, le imprese possano decidere di pagare semplicemente il minimo legale e contribuire a erodere l'efficacia della contrattazione collettiva.

Il CNEL fa presente come dall’esame di diversi casi di recente introduzione di minimi legali in Paesi che ne erano sprovvisti, come il Regno Unito e la Germania, si evidenzia che i minimi hanno contribuito a ridurre l'aumento delle diseguaglianze senza penalizzare i livelli occupazionali ne alterare i meccanismi di contrattazione collettiva per la determinazione dei livelli retribuivi superiori ai minimi legali.

Secondo le stime presentate dall’INPS il 22% dei lavoratori dipendenti delle aziende private (sono esclusi gli operai agricoli e i domestici) ha una retribuzione oraria inferiore a 9 euro lordi, ovvero alla soglia individuata da uno dei disegni di legge sul salario minimo in discussione al Senato.

Il 9% dei lavoratori è al di sotto degli 8 euro orari lordi mentre il 40% prende meno di 10 euro lordi l'ora. Sotto i 9 euro lordi orari si attesta il 21% dei dipendenti uomini, percentuale che sale al 26% per le donne. Ancora maggiore il divario per fasce di età: sotto i 35 anni il 38% è sotto quella soglia mentre la percentuale scende al 16% sopra i 35 anni.

Per aree regionali la percentuale è del 31% al Sud e nelle Isole, al 26% al Centro e al 19% sia nel Nord Ovest che nel Nord Est. La ripartizione per settori produttivi vede una percentuale del 10% nell'industria, una del 52% nell'artigianato e una del 34% nel terziario.

L’Ente previdenziale sottolinea poi come una volta determinata la misura minima del salario orario ritenuta maggiormente adeguata per il conseguimento delle finalità della norma, risulta opportuno riferirla esclusivamente al compenso lordo, espungendo ogni riferimento agli oneri sociali.

La motivazione risiede nella osservazione per cui in caso contrario ci sarebbe una variabilità in funzione dei settori produttivi sia perchè non risulterebbe coerente con la prassi con la quale le parti sociali formano la parte economica dei contratti.

Basandosi sull'esperienza della Germania, viene ancora sottolineato, ai fini della piena applicazione dei salari minimi, risulta necessario sviluppare efficaci forme di controllo del rispetto dei parametri di legge e introdurre misure sanzionatorie nei confronti dei trasgressori.

Dalle ricerche fatte sul caso tedesco e altri, emerge poi che non ci sono "particolari effetti sull'occupazione" mentre qualche effetto sulla riduzione delle ore lavorate è stato rilevato in molti studi. Si focalizza ancora l’attenzione sul lavoro domestico con riferimento al quale si sottolinea come quasi tutti i livelli di inquadramento del lavoro domestico hanno un salario orario inferiore a 9 euro.

Vanno allora tenute in considerazione le oggettive caratteristiche del settore anche allo scopo di evitare il rischio di pericolose involuzioni che possono portare all'espansione del lavoro irregolare.

Sugli effetti del salario minimo si concentra poi l’ISTAT che sottolinea come fissando la soglia del salario minimo a 9 euro lordi ci sarebbero 2,9 milioni di lavoratori che avrebbero un incremento medio annuo di retribuzione di 1.073 euro.

L'ISTAT spiega che sarebbe coinvolto il 21% dei lavoratori dipendenti con un aumento stimato del monte salari complessivo di 3,2 miliardi. Con riferimento alle aziende l’introduzione del salario minimo comporterebbe un aggravio di costo che se non trasferito sui prezzi porterebbe a una compressione di circa l'1,2% del margine operativo lordo ed allo 0,5% del valore aggiunto.

Viene poi sottolineato come la definizione di un salario minimo deve essere opportunamente coordinata con altri istituti presenti nel mercato del lavoro, non ultimo il reddito di cittadinanza. La scelta del livello del salario minimo, prosegue l’ISTAT, deve contemperare due esigenze di segno opposto. Un salario minimo troppo alto potrebbe, infatti, scoraggiare, la domanda di lavoro o costituire un incentivo al lavoro irregolare, determinando quindi un ampliamento della segmentazione tra lavoratori e un'ulteriore marginalizzazione delle categorie più svantaggiate. Un salario minimo troppo basso, per contro, potrebbe non garantire condizioni di vita dignitose.

Fonte: http://www.ipsoa.it/documents/lavoro-e-previdenza/amministrazione-del-personale/quotidiano/2019/03/14/salario-minimo-orario-misura-minima-riferita-compenso-lordo

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