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Contratti a tempo determinato: per i picchi di produzione va verificata la stagionalità

Con l’avvicinarsi delle festività pasquali torna l’esigenza delle aziende (soprattutto turistiche) di far fronte ai picchi di produzione. In particolare, la questione che si pone è se è possibile assumere lavoratori con contratto a tempo determinato per far fronte ai temporanei incrementi di attività anche dopo l’entrata in vigore del decreto Dignità. Le nuove causali non sembrano “venire in soccorso” ai datori di lavoro con queste esigenze ma li espone ad alcuni rischi. L’unica strada da seguire potrebbe essere verificare se le attività da svolgere possano essere definite “ stagionali”: come fare?

Con l’arrivo delle festività pasquali riemerge l’esigenza di gestione dei picchi di lavoro nelle imprese soggette ad incremento di lavoro per via dell’incremento dei flussi turistici. In particolare, la questione che si pone riguarda la possibilità di assumere lavoratori con contratto a tempo determinato per far fronte ai temporanei incrementi di produzione e di attività.

Consulta il dossier Contratto a tempo determinato: come gestirlo?

La gestione dell’incremento di lavoro, tecnicamente un picco produttivo, fino all’entrata in vigore delle modifiche alla disciplina del lavoro a termine ad opera del decreto Dignità (D.L. n. 87/2018) era gestibile con la stipula di accordi a tempo determinato, seppure con i limiti numerici di cui all’articolo 23 del D. Lgs. n. 81 del 2015, cioè quelli previsti contratti collettivi, o, in assenza di quelli legali.

Dal 14 luglio2018, per effetto delle nuove previsioni, per la gestione dei picchi di lavoro non è ammessa la stipula del contratto a tempo determinato sic et simpliciter.

L’art. 19 del D. Lgs. n. 81/2015 non richiama, infatti, ipotesi chiaramente riconducibili a tali situazioni, come invece consentiva in passato il vecchio articolo 1, comma 1, del D. Lgs. n. 368 del 2001.

La stipula di un contratto a tempo determinato è ora consentita per la durata massima di 12 mesi in caso di stipula del primo contratto di lavoro a tempo determinato (periodo raggiungibile anche per effetto di proroga, nei limiti previsti dall’art. 21).

Diversamente, così come in tutti i casi di rinnovo (ovverosia in presenza di un successivo contratto a tempo determinato tra le parti) è richiesta la presenza di una delle seguenti condizioni:

a) esigenze temporanee e oggettive, estranee all'ordinaria attività, ovvero esigenze di sostituzione di altri lavoratori;

b) esigenze connesse a incrementi temporanei, significativi e non programmabili, dell'attività ordinaria.

Appare estremamente rischioso ritenere che la gestione di un picco di lavoro, determinata ad esempio da un maggior flusso turistico in un periodo dell’anno possa ricondursi all’unica ipotesi (rectius: condizione) considerata dal legislatore per la gestione delle “esigenze […] dell'attività ordinaria”.

Ritenere “non programmabile” la gestione di tali flussi è rappresentativo quantomeno di una differente lettura e quindi a potenziale rischio di contenzioso, a seconda dell’angolo di osservazione e dunque dell’interesse delle parti (datore di lavoro o lavoratore).

La soluzione per la gestione dei picchi di lavoro riconducibili ad ipotesi legate ad esempio a festività va dunque trovata altrove e, più esattamente nel caso di specie, nell’articolo 21, comma 2 del decreto legislativo 81/2015, che si occupa delle esigenze stagionali.

Il comma 01 del medesimo articolo 21, infatti, prevede espressamente che “I contratti per attività stagionali, di cui al comma 2 del presente articolo, possono essere rinnovati o prorogati anche in assenza delle condizioni di cui all'articolo 19, comma 1”.

La stagionalità, nel contratto a tempo determinato, infatti, è trattata in maniera specifica e derogatoria rispetto al resto della disciplina del tempo determinato.

Appare evidente che la gestione di tali attività determina una fisiologica necessità di far fronte all’aumento dei volumi di lavoro determinati dalla stagionalità con professionalità diverse rispetto a quelle ordinariamente presenti presso il datore di lavoro e dunque giustifica un differente trattamento normativo, per l’appunto derogatorio.

Ecco dunque giustificate le eccezioni o, meglio, le deroghe:

- alle limitazioni di utilizzo del contratto a termine, trascorsi 12 mesi e in tutti i casi di rinnovo, previste dall’art. 19, comma 1;

- alla presenza di un lasso temporale tra la cessazione di un contratto a tempo determinato e la stipula di uno successivo (il periodo è di 10 o 20 giorni, a seconda della durata del contratto cessato), ai sensi dell’art. 21;

- ai limiti sul numero di contratti a tempo determinato stipulabili ai sensi dell’art. 23.

Le attività stagionali sono, più esattamente, individuate con decreto del Ministero del lavoro e delle politiche sociali nonché nelle ipotesi individuate dai contratti collettivi.

Fino all'adozione del predetto decreto continuano a trovare applicazione le disposizioni del decreto del Presidente della Repubblica 7 ottobre 1963, n. 1525. La gestione dell’incremento dei flussi di lavoro per effetto di attività stagionali va dunque ricercata nell’elenco allegato al citato decreto, ovvero nei contratti collettivi.

Prima di analizzare più ampiamente la questione, è utile subito evidenziare che le suddette attività allegate al D.P.R. n. 1525/1963, al punto 36, consentono la stipula di contratti a tempo determinato per attività di fabbricazione e confezionamento di specialità dolciarie nei periodi precedenti le festività del Natale e della Pasqua.

Appare peraltro evidente che il perimetro applicativo di tale ipotesi è circoscritto alle specialità dolciarie ed alle mansioni di confezionamento.

Diversamente, occorrerà ricerca la riconducibilità a stagionalità nel contratto collettivo.

I contratti collettivi che disciplinano il rinvio sono quelli individuati dall’art. 51 del D. Lgs. n. 81 del 2015.

Il suddetto articolo prevede che, salvo diversa previsione, per contratti collettivi si intendono i contratti collettivi nazionali, territoriali o aziendali stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e i contratti collettivi aziendali stipulati dalle loro rappresentanze sindacali aziendali ovvero dalla rappresentanza sindacale unitaria.

Nel caso di specie, non essendo presente all’art. 21, comma 2, alcuna diversa previsione, la disciplina potrà essere prevista da un accordo di qualsiasi livello.

Sarà dunque sufficiente anche un accordo stipulato in sede aziendale anche con uno solo dei soggetti legittimati affinché la regolamentazione sia utile allo scopo.

Esempio

Un settore ampiamente coinvolto dall’incremento del lavoro determinato dalla stagionalità è certamente quello che coinvolge i pubblici esercizi.

A tal proposito, il contratto collettivo nazionale di lavoro sottoscritto da Fipe, Angem, Legacoop, Confcooperative Lavoro, Agci E Filcams-Cgil, Fisascat-Cisl E Uiltucs-Uil, in due differenti articoli disciplina, rispettivamente, la stagionalità (art. 89) e l’incremento dei flussi di lavoro (art. 90).

Stagionalità (Art. 89) Intensificazioni dell’attività lavorativa in determinati periodi dell’anno (Art. 90)
1) Si considerano aziende di stagione quelle che osservano, nel corso dell’anno, uno o più periodi di chiusura al pubblico, nel rispetto delle vigenti disposizioni in materia. 2) Le parti convengono, nell’ambito della propria autonomia contrattuale, che rientrano nei casi di legittima apposizione di un termine alla durata del contratto di lavoro subordinato per ragioni di stagionalità le attività già previste nell’elenco allegato al decreto del presidente della Repubblica 7/10/1963, n. 1525, come modificato dal decreto del presidente della Repubblica 11/7/1995, n. 378. 1) Le parti convengono, […], che rientrano nei casi di legittima apposizione di un termine alla durata del contratto di lavoro subordinato le intensificazioni dell’attività lavorativa in determinati periodi dell’anno, quali: - periodi connessi a festività, religiose e civili, nazionali ed estere; - periodi connessi allo svolgimento di manifestazioni; - periodi interessati da iniziative promozionali e/o commerciali; - periodi di intensificazione stagionale e/o ciclica dell’attività in seno ad aziende ad apertura annuale.

Al fine di prevenire possibili contenziosi in ordine alla riconducibilità della stagionalità delle ipotesi previste nell’articolo 90, considerando che essa è individuata espressamente nella rubrica e nel testo dell’articolo 89, le parti firmatarie hanno stipulato in data 7 febbraio 2019 un accordo finalizzato a considerare riconducibili alla stagionalità anche quanto previsto dall’articolo 90.

Se i riflessi sugli istituti contrattuali derogati dalla stagionalità sono analoghi a prescindere dalla fonte, legale o contrattuale, che individua le attività stagionali, differente è invece il trattamento contributivo.

Va infatti ricordato che i contratti a tempo determinato sono soggetti ad un contributo addizionale per il finanziamento della NASpI pari all’1, 4% della retribuzione imponibile ai fini previdenziali.

Il decreto Dignità ha peraltro modificato l’articolo 2, comma 28, della legge 28 giugno 2012, n. 92, che disciplina tale trattamento contributivo, prevedendo un aumento dello 0,5% in occasione di ciascun rinnovo del contratto a tempo determinato, anche in regime di somministrazione, salvo per i contratti di lavoro domestico.

Il Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, a tal proposito, con la circolare n. 17 del 31 ottobre 2018 ha chiarito che il contributo addizionale a carico del datore di lavoro è incrementato dello 0,5% in occasione di ciascun rinnovo del contratto a tempo determinato, anche in somministrazione.

Ne consegue che al primo rinnovo la misura ordinaria dell’1,4% andrà incrementata dello 0,5%. In tal modo verrà determinata la nuova misura del contributo addizionale cui aggiungere nuovamente l’incremento dello 0,5% in caso di ulteriore rinnovo. Analogo criterio di calcolo dovrà essere utilizzato per eventuali rinnovi successivi, avuto riguardo all’ultimo valore base che si sarà venuto a determinare per effetto delle maggiorazioni applicate in occasione di precedenti rinnovi.

Il contributo non è dovuto nel caso di stipula di contratti di lavoro a tempo determinato per attività stagionali, ma nella misura in cui esse sono individuate da una fonte legale e non contrattuale (messaggio INPS n. 4441/2015).

Dunque, sul piano operativo, l’esenzione riguarderà esclusivamente i casi in cui l’esigenza stagionale potrà essere individuabile all’interno delle tabelle allegate al D.P.R. n. 1525/1963.

Nel caso di assunzione per attività di confezionamento di specialità dolciarie nei periodi precedenti le festività pasquali, peraltro, come si è avuto modo di ricordare precedentemente, l’ipotesi è prevista al punto 5 del citato decreto e dunque potrà consentire l’esonero dal pagamento del contributo.

Fonte: http://www.ipsoa.it/documents/lavoro-e-previdenza/amministrazione-del-personale/quotidiano/2019/04/02/contratti-tempo-determinato-picchi-produzione-verificata-stagionalita

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