• Home
  • News
  • Crisi d’impresa: come gestire i rapporti di lavoro nella liquidazione giudiziale

Crisi d’impresa: come gestire i rapporti di lavoro nella liquidazione giudiziale

Nel Codice della crisi d’impresa trova una disciplina organica anche la gestione del personale nell’ambito della procedura di liquidazione giudiziale. Il Codice definisce tutte le fasi procedurali, nonché i suoi attori principali: Ispettorato territoriale del lavoro, giudice delegato e curatore. Si prevede che i rapporti di lavoro in essere alla data della sentenza dichiarativa di liquidazione restino sospesi fino a quando il curatore, con l’autorizzazione del giudice delegato, sentito il comitato dei creditori, comunica ai lavoratori l’intenzione di subentrare nel rapporto o di recedere. In quali casi, invece, sarà attivata la procedura di licenziamento collettivo?

L’art. 189 del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (D.Lgs. n. 14/2019) chiarisce definitivamente la gestione dei rapporti di lavoro subordinato nella liquidazione giudiziale regolando, per la prima volta, in maniera unitaria e precisa l’iter del rapporto di lavoro a seguito dell’apertura della procedura di liquidazione giudiziale.

Nel primo comma dell’articolo 189 si stabilisce che i rapporti di lavoro subordinato in essere alla data della sentenza dichiarativa di liquidazione restano sospesi fino a quando il curatore, con l’autorizzazione del giudice delegato, sentito il comitato dei creditori, comunica ai lavoratori di subentrarvi o di recedere. Tale primo comma ricalca quanto fino ad oggi è espresso nell’art. 72 l.F. intitolato “rapporti pendenti” che, secondo l’interpretazione della dottrina e della giurisprudenza maggioritaria, opererebbe anche con riferimento alle obbligazioni di lavoro.

Il curatore, entro 30 giorni dalla nomina, o entro 60 giorni nel caso di azienda con più di 50 dipendenti, previa apposita istanza, deve trasmettere all’Ispettorato territoriale del lavoro l’elenco dei dipendenti in forza alla data di apertura della procedura.

Nel caso in cui il curatore, ai sensi del 1° comma, decidesse di recedere dal rapporto di lavoro sospeso, l’effetto di tale recesso avrà efficacia dall’apertura della liquidazione giudiziale; nel caso in cui, invece, decidesse di subentrare nel rapporto di lavoro, l’efficacia decorrerà dalla comunicazione che lo stesso curatore dovrà fare al singolo lavoratore.

I soggetti attivi per la proroga della sospensione del rapporto di lavoro sono il curatore ed il direttore dell’Ispettorato territoriale del lavoro che, anche in via disgiunta, qualora ritengano sussistere la possibilità di ripresa, tramite esercizio provvisorio o trasferimento a terzi dell’azienda, potranno richiedere al giudice delegato una proroga di non oltre 4 mesi ai sensi del 3° comma.

Del tutto peculiare rispetto alle norme precedenti è il ruolo attribuito al direttore dell’Ispettorato del lavoro, come pure singolare e particolare è che l’istanza possa essere presentata anche dal singolo dipendente, nel qual caso la proroga dovrà essere richiesta solo da chi ha presentato l’istanza.

Il giudice delegato, nel caso in cui il curatore non abbia proceduto al subentro o al recesso nel termine indicato al comma 3, può entro 30 giorni dal deposito dell’ultima istanza assegnare allo stesso curatore un ulteriore termine per decidere se subentrare o recedere nei rapporti di lavoro. Il termine fissato dal giudice delegato è commisurato alle prospettive di ripresa dell’attività o di trasferimento dell’azienda e deve rimanere nel limite di 8 mesi previsti dalla normativa.

Trascorso tale ultimo termine, se il curatore non procede al recesso o al subentro, i rapporti di lavoro ancora in essere si intendono risolti di diritto con decorrenza dalla data di apertura della liquidazione giudiziale, previo esperimento, nel caso di licenziamento collettivo, della procedura prevista dal comma 6 dell’articolo 189.

Il legislatore, per responsabilizzare il curatore dell’inerzia nell’assumere la determinazione di cui al 1° comma riconosce un’indennità al lavoratore; tale indennità, non assoggettata a contribuzione previdenziale, è di importo pari a due mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a due e non superiore a otto mensilità. Tale indennità sarà ammessa al passivo in prededuzione.

Da quanto sin qui esposto, risulta che il dipendente può rimanere sospeso per un termine che può arrivare sino a 12 mesi senza alcun mezzo di sostentamento; situazione che in realtà risulta di difficile attuazione, anche in considerazione della circostanza che il periodo di sospensione, con le relative proroghe, non assicura la continuazione di un rapporto di lavoro solido e duraturo. Inoltre, con riguardo all’indennità prevista, in caso di mancata decisione del curatore dopo la proroga concessa dal giudice delegato, la stessa risulterà assai improbabile dal momento che il curatore certamente si attiverà per il recesso o il subentro prima della scadenza del termine prorogato.

In tale situazione interviene a soccorso il comma 5, riconoscendo al dipendente che non è disposto a rimanere sospeso per un periodo superiore a quattro mesi, di dimettersi per giusta causa ai sensi art. 2119 c.c., consentendo così di maturare il diritto all’indennità sostitutiva del preavviso da considerare come credito anteriore all’apertura della liquidazione, e di poter richiedere laNASpI.

Per le aziende che occupano più di 15 dipendenti, compresi i dirigenti, e che intendono effettuare almeno 5 licenziamenti nell’arco di 120 giorni in ciascuna unità produttiva (art. 24 l. n. 223/91), occorre attivare la procedura di licenziamento collettivo che è stata riscritta nel 6° comma dell’art. 189 del D.lgs. n. 14/2019.

Le disposizioni contenute nei punti da a) a g) del 6° comma dell’art. 189, sostituiscono quanto previsto ai commi da 2 a 8 dell’art. 4 della l. n. 223/91.

La differenza sostanziale tra la procedura prevista dall’art. 4 della l. n. 223/91 e quanto disposto dalla normativa in esame è la durata complessiva della stessa procedura. In base al comma 6 dell’art. 189 essa si dovrebbe concludere nei quaranta giorni dal ricevimento della comunicazione fatta dal curatore per l’apertura della procedura di licenziamento collettivo.

La consultazione si intende comunque conclusa decorsi 10 giorni dalla convocazione per l’esame congiunto, anche se non è stato raggiunto l’accordo, salvo una proroga di altri 10 giorni autorizzata dal giudice delegato.

Invece, la durata massima complessiva della procedura prevista dall’art. 4 della l. n. 223/91 è di 75 giorni, comprensiva delle due fasi, quella sindacale e quella amministrativa.

Risulta di difficile interpretazione l’enunciato del punto c del 6° comma che recita: “l’esame congiunto può essere convocato anche dall’Ispettorato territoriale del lavoro nel solo caso in cui l’avvio della procedura non sia stato determinato dalla cessazione dell’attività dell’azienda o di un suo ramo”. Per non ingenerare confusioni, era auspicabile che venisse indicato a cosa si riferisce il solo caso per il quale l’Ispettorato del lavoro può convocare l’esame congiunto.

Con il punto e il legislatore ha voluto specificare che quanto previsto al comma 6 si applica anche ai dirigenti, cosa che poteva non essere specificata dopo l’emanazione della cosiddetta legge Europea 2013-bis che si è resa necessaria per chiudere una procedura di infrazione aperta dall’Europa nei confronti dell’Italia, la quale, nel recepire la direttiva europea sui licenziamenti collettivi, non aveva incluso la categoria dei dirigenti.

Fonte: http://www.ipsoa.it/documents/impresa/fallimento-e-procedure-concorsuali/quotidiano/2019/04/13/crisi-impresa-gestire-rapporti-lavoro-liquidazione-giudiziale

Iscriviti alla Newsletter




È necessario aggiornare il browser

Il tuo browser non è supportato, esegui l'aggiornamento.

Di seguito i link ai browser supportati

Se persistono delle difficoltà, contatta l'Amministratore di questo sito.

digital agency greenbubble