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Pensioni: tutto pronto per il riscatto dei contributi. Ma è tutto chiaro?

La riforma delle pensioni prevede la possibilità di riscattare gli anni di laurea a un costo molto contenuto e, comunque, rateizzabile. Tale facoltà, dapprima riservata ai lavoratori con meno di 45 anni, al momento della conversione in legge del decretone, è stata estesa a tutti. Continua, però, a non essere chiara la portata della modifica. La formulazione della norma lascia intendere che gli anni riscattabili siano solo quelli dal 1996 in poi (e, quindi, per i soggetti laureatisi dopo il 2000). Ma se così fosse, il venir meno del requisito anagrafico sarebbe quasi del tutto irrilevante. Una soluzione diversa, tuttavia, è possibile…

La riforma del sistema delle pensioni (“quota 100”) è stata definitivamente approvata con la legge 28 marzo 2019, n. 26. Si prevede così un’uscita notevolmente anticipata rispetto all’età della pensione di vecchiaia, che resta quindi fissata al compimento di 67 anni, secondo le previsioni della legge Fornero.

La pensione di vecchiaia, tuttavia, rappresenta una previsione più teorica che reale, perché i limiti previsti per accedere alla pensione anticipata (già dalla legge Fornero, poi con “opzione donna” ed ora con “quota 100”) sono senz’altro proibitivi, ma non sono poi così irraggiungibili.

Poiché infatti dal 1° gennaio 2019 per il conseguimento della prestazione anticipata (o di anzianità, come si sarebbe detto una volta) si richiedono 42 anni e 10 mesi di anzianità contributiva per gli uomini e a 41 anni e 10 mesi per le donne, nulla impedisce ancor oggi ai lavoratori assunti dopo il diploma di poter accedere alla pensione a poco più di 61 anni.

Più facile ancora è la strada per i lavoratori che beneficino di “quota 100”, poiché bastano 38 anni di contribuzione (a qualunque titolo versata o accreditata) e 62 anni di età, mentre per “Opzione donna” i requisiti sono ancora più modesti (anche se la liquidazione avviene integralmente con il sistema contributivo e quindi con notevoli penalizzazioni rispetto alle altre due forme di pensione anticipata). Alle lavoratrici, infatti, bastano 35 anni di contribuzione e aver raggiunto l’età di 58 anni (se subordinate) e di 59 anni (se autonome).

Si tratta di soglie non troppo distanti per chi abbia avuto accesso in giovane età al lavoro e non abbia conosciuto la disoccupazione. Il traguardo sembra invece decisamente più lontano quando si tratti di lavoratori che operino nell’ambito di attività per il cui esercizio è necessariamente richiesta una laurea o che abbiano dovuto affrontare un periodo (più o meno lungo) di “gavetta”, prima di vedersi accreditati i primi contributi come lavoratori subordinati.

In questi casi sarà indispensabile il riscatto degli anni di laurea per poter maturare l’anzianità necessaria ad una uscita anticipata.

Dal 1996, però, si tratta di una misura costosa e non sempre utile, perché non mancano ipotesi nelle quali, ai fini dell’anticipo, si richiede una contribuzione effettiva (mentre non è infrequente che lunghi periodi iniziali di lavoro precario abbiano determinato una totale assenza di contribuzione utile).

Non è per caso, quindi, che molti abbiano rinunziato negli ultimi due decenni a procedere al riscatto degli anni di laurea al momento dell’assunzione, valutando evidentemente come i costi richiesti (calcolati sulla scorta della retribuzione percepita al momento della domanda) siano sproporzionati rispetto all’anticipo in concreto suscettibile di essere guadagnato.

Per venire incontro alle esigenze dei tanti che avevano trovato stabile occupazione come lavoratori subordinati (privati o pubblici) solo in età avanzata, la legge finanziaria per il 2017 (n. 232/2016) ha così permesso di sommare i periodi contributivi maturati presso enti previdenziali differenti, così da raggiungere anticipatamente il diritto alla pensione. In questo modo, senza trasferire onerosamente i contributi da una gestione previdenziale all’altra, il “cumulo” contributivo permette di sommare gli anni (non coincidenti) accreditati presso gestioni differenti, così da raggiungere più agevolmente i requisiti che danno diritto alla pensione (che verrà tuttavia liquidata con il principio pro quota, per cui ogni ente provvederà a sostenere gli oneri conseguenti al periodo accreditato, regolando poi i conti con l’INPS, cui spetta di procedere al pagamento anche per conto degli altri enti previdenziali).

Si viene così ad offrire a molti una alternativa più diretta e per nulla onerosa, rispetto al ricongiungimento, che oramai da una decina di anni avviene solamente a titolo oneroso, con la possibilità che ci vengano a pagare somme davvero robuste, anche per periodi di pochi anni.

Inutile dire però che, con il “cumulo”, le regole di calcolo dell’assegno sono (almeno tendenzialmente) meno favorevoli di quelle che si avrebbero avendo ricongiunto i contributi in un’unica gestione, mentre le eventuali scoperture rimanevano sino allo scorso anno completamente al di fuori del calcolo dell’anzianità di servizio.

Per venire dunque incontro alle richieste dei più giovani il D.L. n. 4 del gennaio 2019 n. 4 ha previsto il diritto ad operare un nuovo tipo di “riscatto”, prevedendo a riguardo un costo forfettario molto contenuto (perché rapportato ai minimali delle gestioni INPS dei lavoratori autonomi) e comunque rateizzabile. Tale facoltà era però riservata solo a beneficio dei lavoratori con meno di 45 anni: al momento della conversione in legge, invece, il Parlamento ha fatto venire meno il limite di età anagrafica, estendendo a tutti la possibilità di un riscatto a costi agevolati.

Non è chiara però la portata di questa modifica.

La limitazione anagrafica iniziale sembrerebbe giustificata non solo dall’esigenza di circoscrivere i costi a carico dell’erario nel primo decennio di applicazione della riforma (in termini di prestazioni di maggiore valore e corrisposte anticipatamente), ma anche da un’esigenza di coerenza interna, poiché il riscatto previsto dall’art. 20 del decreto-legge n. 4 avviene senz’altro in conformità al sistema contributivo, che trova applicazione per coloro che hanno provveduto ad effettuare il primo versamento all’INPS in data successiva al 31 dicembre 1995. In questo modo, si lascia intendere che gli anni riscattabili sono solo quelli che vanno dal 1996 in poi e, quindi, secondo quanto generalmente avviene, quelli che interessano i soggetti laureatisi dopo il 2000 (e quindi nati dopo il 1978).

Se la norma dovesse interpretarsi in questo modo, dunque, il venir meno deciso dal Parlamento del requisito anagrafico sarebbe quasi del tutto irrilevante e verrebbe a giovare solo a quanti abbiano iniziato in età avanzata gli studi universitari.

Una soluzione diversa tuttavia è pure possibile, senza nessun reale aggravio per il sistema previdenziale (che, a dire il vero, in caso di riscatto dei lavoratori più avanti con gli anni, verrebbe a beneficiare nell’immediato di un robusto flusso di finanziamenti).

Ed infatti nulla impedirebbe ai lavoratori che vogliano riscattare anche gli anni universitari antecedenti al 1996 di optare in via irrevocabile, già al momento della presentazione della domanda di riscatto, per la liquidazione della pensione integralmente secondo il metodo contributivo, secondo una regola generale prevista già dalla riforma Dini e sempre ribadita dalla legislazione successiva.

In questo modo, nulla impedirebbe anche ai lavoratori di età maggiore ai 45 anni di incrementare gli anni di contribuzione, con l’effetto di consentire un’uscita eventualmente anticipata.

A riguardo, dunque, bisognerà aspettare le istruzioni dell’INPS (che già ha provveduto con la circolare n. 36 del 2019), ma non si deve escludere la possibilità di un ricorso alla magistratura, posto che il rispetto dei principi di eguaglianza e razionalità sembrano escludere che il Parlamento possa dettare una disciplina restringendola ad una parte soltanto dei lavoratori sulla base della loro più elevata anzianità anagrafica.

Fonte: http://www.ipsoa.it/documents/lavoro-e-previdenza/pensioni/quotidiano/2019/04/13/pensioni-pronto-riscatto-contributi-chiaro

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