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Codice disciplinare: è nulla la sanzione se manca l’affissione in azienda

I datori di lavoro devono rendere disponibile la consultazione, da parte dei lavoratori, del codice disciplinare aziendale mediante la sua affissione in luogo accessibile a tutti. In caso di inosservanza di tale regola può essere dischiarata l’illegittimità della sanzione disciplinare irrogata al lavoratore. Il codice disciplinare deve indicare le sanzioni, le relative infrazioni nonchè le procedure di contestazione. Non devono essere necessariament, riportate invece le infrazioni che discendono dalla violazione di norme penali. Quali soluzioni dovrà adottare l’azienda per i telelavoratori e per chi opera in smart working?

La norma, contenuta nel comma 1 dell’art. 7 della l. n. 300/1970 rappresenta, in materia di provvedimenti disciplinari, un onere per il datore di lavoro in quanto, con la predeterminazione sia delle infrazioni che delle sanzioni e delle procedure di contestazione, viene stabilito un principio, mutuato dal concetto penale del " nullum crimen sine lege ", che il lavoratore non può esser soggetto all'arbitrio del datore di lavoro.

La predeterminazione significa che quest'ultimo non può modificare, a proprio piacimento, la normativa aziendale la quale deve fissare, altresì, il limite di condotta che non può oltrepassare.

Il codice disciplinare aziendale deve indicare le sanzioni, le infrazioni in relazioni alle quali le stesse possono essere applicate, nonchè le procedure di contestazione.

L'esame della disposizione normativa propone cinque problemi:

1) rilevanza dell'affissione del codice disciplinare ed eccezioni laddove il licenziamento disciplinare sia conseguente ad un reato o alla violazione del minimo etico;

2) valutazione del riferimento al " luogo accessibile a tutti ";

3) nullità del provvedimento susseguente alla mancata affissione delle norme disciplinari;

4) eventuale riproposizione della procedura per il provvedimento dichiarato nullo per inosservanza dell'art. 7, comma 1, della l. n. 300/1970;

5) attività in smart working e sanzioni disciplinari.

La rilevanza fondamentale che la dottrina e la giurisprudenza (dopo un periodo in cui si ebbero interpretazioni diverse anche a livello di Cassazione) accordano ormai alla preventiva affissione del codice regolamentare aziendale, o della previsione sanzionatoria del CCNL, comporta, come ovvia conseguenza, che è assolutamente nulla non solo la sanzione irrogata in difetto di pubblicità.

La Suprema Corte, a Sezioni Unite, già con la sentenza n. 1208 del 5 febbraio 1988, affermando che l'affissione del codice disciplinare ha carattere prescrittivo ed esclusivo, ha sancito l'inammissibilità di ogni altro sistema di comunicazione.

Ciò può sembrare estremamente rigido e riduttivo, soprattutto se si tiene conto che anche la semplice consegna di copia del contratto collettivo non integra gli estremi dell'equivalenza dell'affissione: ma è questo, ormai, l'indirizzo consolidato cui è opportuno adeguarsi, atteso che anche in data successiva la Suprema Corte ha confermato tale indirizzo (Cass., 27 maggio 2004, n. 10201) ribadendo la piena illegittimità della sanzione irrogata senza affissione del codice disciplinare.

Quest’ultimo deve possedere un duplice contenuto: la qualificazione della normativa " edittale" (provvedimenti sanzionatori ed infrazioni) e l'individuazione delle clausole procedurali.

Lo scopo evidente della prima è correlato alla necessità, già sottolineata, di sottrarre all'arbitrio del datore di lavoro la scelta della sanzione. La previsione disciplinare può non essere analitica ma è sufficiente che la stessa abbia un carattere schematico dal quale discenda direttamente una riconducibilità al comportamento sanzionato.

Nel codice non devono essere, necessariamente, riportate quelle infrazioni che discendono dalla violazione di norme penali (ad esempio, furto) sulla base del principio che " ciò che discende dalla legge, deve esser conosciuto da tutti ".

Da ciò consegue, in questi casi, la piena legittimità di un provvedimento disciplinare, anche se non espressamente sanzionato nel codice: anzi, sul punto, la Cassazione, con sentenza n. 4826 del 24 febbraio 2017, ha affermato che il principio della pubblicità del codice disciplinare non rileva laddove il recesso sia esclusivamente determinato da violazioni di norme penali o che contrastino con il “minimo etico”.

Del resto, la Suprema Corte, seguendo un indirizzo giurisprudenziale prevalente, ha sostenuto, già dalla metà degli anni ’90, che " il principio di tassatività degli illeciti del prestatore di lavoro non può esser inteso nel senso rigoroso imposto nel diritto penale dall'art. 25, comma 2, della Costituzione, dovendosi distinguere tra comportamenti illeciti attinenti all'organizzazione aziendale ed ai modi di produzione, i quali si riferiscono a norme per lo più ignote alla generalità e sono, perciò, conoscibili solo se espressamente previste, e quelli manifestamente contrari ai valori generalmente accettati, e perciò stessi illeciti anche penalmente, oppure palesemente in contrasto con l'interesse dell'impresa, per i quali non è necessaria la specifica inclusione nel codice disciplinare, siccome di per sè idonei a manifestare la " culpa lata ", corrispondente al " non intelligere quod omnes intellegunt ".

Tale concetto è stato, poi, ripreso dalla decisione della Suprema Corte n. 14862 del 15 giugno 2017, laddove ha sostenuto che la mancata affissione del codice disciplinare non riverbera i propri effetti negativi sull’operato dell’imprenditore, allorquando il comportamento del lavoratore abbia violato norme penali o quelle di fedeltà e diligenza di cui parlano gli articoli 2104 e 2105 del codice civile.

In ordine al secondo problema relativo all'affissione del codice disciplinare "in luogo accessibile a tutti", l'esperienza sottolinea come il problema si ponga soprattutto per i lavoratori che operano continuamente al di fuori della struttura aziendale, in quanto per coloro che stabilmente prestano la loro attività nell'impresa, il luogo è facilmente identificabile in un passaggio obbligato o di stazionamento dei dipendenti come l'ingresso con la rilevazione delle presenze attraverso il “badge”, la mensa, lo spogliatoio, il reparto, l'ufficio paga.

Per coloro che (ad esempio, propagandisti, venditori, informatori scientifici ma anche telelavoratori la cui prestazione si svolge completamente presso il domicilio, come i lavoranti ex lege n. 877/1973) non hanno uno specifico posto di lavoro all'interno dell'unità produttiva può, a mio avviso, ritenersi idonea a costituire forma di pubblicità la consegna del contratto collettivo o del codice disciplinare, o l’affissione nella “bacheca web”.

Il problema può essere risolto in maniera diversa per quei dipendenti che operano presso altre imprese (ad esempio, operai delle pulizie impegnati presso un appalto, lavoratori dell'edilizia addetti in attività di subappalto). Costoro difficilmente si recano presso la sede della ditta da cui dipendono (le stesse retribuzioni sono pagate con accredito bancario o postale, nella logica della c.d. “tracciabilità” obbligatoria dal 1° luglio 2018): la mera affissione del codice disciplinare nello spogliatoio integra gli estremi della pubblicità richiesta.

Su questa linea si espresse già in tempi lontani, la Pretura di Milano (Pret., Milano, 20 ottobre 1981) e la Corte di Cassazione (Cass., 8 marzo 1990, n. 1861) giunse ad affermare che non concretizza il soddisfacimento del principio dell’”affissione in luogo accessibile a tutti” l’avviso circa la possibilità di poter consultare il contratto collettivo o il codice di disciplina, custoditi in un determinato ufficio o in un cassetto insieme ad altra documentazione.

Un caso, leggermente diverso, riguarda i lavoratori somministrati: il CCNL, dopo aver sottolineato che il lavoratore temporaneo è tenuto a rispettare le disposizioni previste dai contratti collettivi e dai regolamenti delle imprese utilizzatrici presso cui va a prestare la propria attività, stabilisce, all’art. 52, comma 2, che l'impresa fornitrice è tenuta ad affiggere nei locali della sede e degli uffici periferici, copia del CCNL, in modo da consentire ai lavoratori temporanei di prendere conoscenza delle norme disciplinari specifiche delle aziende fornitrici.

La giurisprudenza ha avuto modo, da tanto tempo, di fissare alcuni principi, relativi a situazioni particolari, che possono così sintetizzarsi:

a) impresa con pluralità di sedi: il regolamento disciplinare va affisso presso tutti i posti di lavoro (Trib. Milano, 12 dicembre 1975);

b) lavoratore " comandato "temporaneamente presso altro datore di lavoro: il " codice " non può essere affisso nel luogo di effettivo lavoro, ma è sufficiente l'affissione nel posto di lavoro da cui il dipendente proviene (Cass., 11 aprile 1978, n. 1717).

Altra questione riguarda la durata dell'affissione: essa deve essere continua e, soprattutto, deve essere in atto sia alla data dell'infrazione che durante tutto l'iter disciplinare (contestazione ed adozione del provvedimento) e sul datore di lavoro grava l'onere probatorio della dimostrazione dell'avvenuta affissione (Cass., n. 4285, del 18 febbraio 1985; Cass., n. 1800, del 19 febbraio 1987).

La continuità dell'affissione è un requisito indispensabile, al quale l’imprenditore può sottrarsi unicamente invocando cause di forza maggiore. In linea con tale interpretazione, si è, in passato, ritenuta sufficiente, sotto l'aspetto della legittimità, l'affissione dei codice disciplinare che pur non essendo in atto nel momento in cui si è verificata la contestazione, si era, in precedenza, protratta per lungo tempo. E' stata, infatti, ritenuta quale " causa di forza maggiore " la effettuazione di lavori di ristrutturazione che avevano interessato il locale ove era affissa la bacheca.

La terza e quarta questione (nullità della sanzione per mancata affissione e riproposizione) sono strettamente correlate in quanto il provvedimento adottato con l'inosservanza degli obblighi datoriali scaturenti dal rispetto del comma 1, è affetto da nullità insanabile sulla base del principio generale, mutuato dal diritto penale, del " nullum crìmen sine lege ".

In effetti, (l'iter disciplinare previsto dall'art. 7, si snoda attraverso una serie di atti interni al procedimento, posti in sequenza legale tra di loro (fase edittale, contestazioni, giustificazioni) che si concludono nell'adozione della sanzione. Da ciò discende che un eventuale vizio procedurale che riguardi anche uno soltanto degli atti giuridici preparatori, ha come conseguenza il vizio degli atti successivi con l'ovvio riverbero sul provvedimento finale che risulta colpito da nullità.

Non è, quindi, possibile ripetere il provvedimento nullo per inosservanza del comma 1 dell'art. 7, proprio per il fatto che è mancato il " momento edittale ", che è propedeutico all'esternazione del potere disciplinare.

Incombe, in ogni caso, sul datore di lavoro l’onere di provare l’avvenuta ed ininterrotta affissione del codice disciplinare e che tale forma di pubblicità abbia assolto, in relazione alla particolarità del caso concreto, la propria funzione, non essendo utilizzabili né la richiesta di informazioni alle associazioni sindacali, né il fatto notorio che, di regola, le organizzazioni sindacali curano l’affissione della normativa disciplinare sui luoghi di lavoro, non trattandosi di circostanza sufficiente ai fini della dimostrazione in concreto dell’adempimento di quell’obbligo (Cass., 22 aprile 1995, n. 4572).

Da ultimo due brevi parole sullo smart working (modalità della prestazione lavorativa svolta, in parte, al di fuori del perimetro aziendale) introdotto nel nostro ordinamento dalla legge n. 81/2017. L’articolo 21, comma 2, afferma che con l’accordo tra le parti finalizzato alle modalità di esecuzione del lavoro agile, vanno individuate “le condotte, connesse all’esecuzione della prestazione lavorativa all’esterno dei locali aziendali, che danno luogo all’applicazione di sanzioni disciplinari”.

Tale disposizione appare una eccezione alla regola generale, in quanto nel contratto che le parti stipulano debbono essere indicate le condotte che danno origine (per l’attività svolta al di fuori dell’azienda) a comportamenti sanzionatori.

Ciò significa che, al di là del semplice richiamo alla normativa contrattuale (cosa possibile) le parti potranno indicare specifiche determinazioni sulle quali potrà, se del caso, innestarsi il procedimento disciplinare, non potendosi invocare “la mancata affissione in luogo accessibile a tutti”, atteso che le condotte illecite sono scritte nell’accordo tra i soggetti contraenti (datore di lavoro e lavoratore).

Fonte: http://www.ipsoa.it/documents/lavoro-e-previdenza/amministrazione-del-personale/quotidiano/2019/04/19/codice-disciplinare-sanzione-manca-affissione-azienda

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