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Gig economy: l’Europa disattende l’esigenza di tutele minime per tutti i lavoratori?

Allo scopo di garantire più tutele per tutti i lavoratori, è stata approvata la delibera del Parlamento europeo del 16 aprile 2019 in vista dell'adozione della direttiva relativa alle condizioni di lavoro trasparenti e prevedibili nell'Unione europea. Ma garantire le tutele per tutti i lavoratori è un’affermazione, purtroppo, vera solo in minima parte. Infatti, alla luce delle considerazioni preliminari, risulta chiaro che la direttiva, pur richiamando la Carta dei diritti fondamentali (che sancisce che ogni lavoratore ha diritto a condizioni di lavoro che ne rispettino la salute, la sicurezza e la dignità, a una limitazione della durata massima del lavoro, a periodi di riposo giornalieri e settimanali e a un congedo retribuito), si occuperà solo dei lavoratori subordinati e non si applicherà ai lavoratori autonomi della gig economy, organizzati o meno dal committente.

Il lavoro sta cambiando; il modo di domandarlo e quello di prestarlo, stanno cambiando, anzi sono già cambiati e non da oggi; il fatto è che, forse, non ce ne siamo davvero accorti o, più probabilmente, abbiamo preferito non farlo.

Destrutturandosi e flessibilizzandosi, nel tentativo, spesso vano, di adattarsi affannosamente alle frequenti variazioni, esogene ed endogene, del mercato, il lavoro si è fatto sempre meno stabile e più discontinuo, temporaneo piuttosto che permanente, troppo spesso povero.

La quarta rivoluzione industriale, quella delle macchine intelligenti digitalmente connesse, modificando profondamente il sistema economico-produttivo sotto la spinta tecnologica dell’automazione, della remotizzazione dei processi, della connettività temporale della prestazione e dell’interazione costante e bilaterale tra produttori (sia lavoratori che imprese) e consumatori, figlia di nuovi strumenti di comunicazione e di personalizzazione dei prodotti e dei servizi, intacca addirittura l’archetipo lavoristico della subordinazione proponendo un menù “à la carte” di figure professionali globalizzate apparentemente nuove e nuovissime: informal workers, platforms workers, digital workers, on demand workers, smart workers; tutte di incerta natura giuridica e altrettanto incerta tutela lavoristica.

Agnostica sulla sussunzione tipologica dei lavoratori delle piattaforme digitali (diversamente dal legislatore francese che nel codice del lavoro li definisce “travailleurs indépendants recourant, pour l’exercice de leur activité professionnelle, à une ou plusieurs plateformes de mise en relation par voie électronique”), la recente legislazione nazionale, nell’interpretazione offerta della giurisprudenza (si veda in particolare la sentenza della Corte d’Appello di Torino relativa ai riders di Foodora), manifesta la tendenza italiana ad “aggiustare” il lavoro che cambia, usando la collaborazione organizzata dal committente come “grimaldello”, genetico (si è parlato di tertium genus lavoristico) o precettivo, per aprire le porte alle tutele della “subordinazione attenuata” ai nuovi lavori autonomizzati.

Il sinallagma contrattuale proprio di tali prestazioni lavorative manifesta evidenti peculiarità strutturali difficilmente compatibili con la subordinazione:

- il lavoratore può decidere se e quando lavorare;

- il potere organizzativo e direttivo è spersonalizzato dal momento che esso viene determinato dall’algoritmo del portale, macchina intelligente di attribuzione e supervisione della prestazione oggetto dell’obbligazione contrattuale;

- la titolarità/disponibilità ormai universale di alcuni mezzi produttivi a tecnologia informatica telematicamente connessi, ossia dei nuovi strumenti di lavoro: computer, tablet, smartphone, cellulari, ma anche di strumenti vecchi come i veicoli di locomozione e attrezzi vari, è già in capo al lavoratore;

- l’attività oggetto del contratto è spesso caratterizzata da un turn over di personale accelerato e da volontariamente brevi periodi di impiego.

Tali peculiarità certificano l’inutilità di imporre i vincoli della subordinazione, della collaborazione, organizzata o meno, ma anche dell’autonomia del contratto d’opera, a tutte le modalità di lavoro (come quelle dei riders ma non solo) che la tecnologia telematica intelligente, rende, per loro natura, libere, elastiche e difficilmente comprimibili in schemi contrattuali rigidi e in via di progressivo logoramento fattuale.

Quello che invece si invoca da più parti è la necessità di salvaguardare il lavoro in quanto tale (just work), l’esigenza di tutelare il lavoro “in se”, il lavoro “sans phrase”, senza aggettivi, l’opportunità di realizzare finalmente l’utopia impositiva delle tutele fondamentali, primarie, dei diritti basici, universali del lavoro dignitoso (basic rigths, universal rigths for decent work) così come, da tempo, perentoriamente invoca l’OIL; tutele minime in materia di: salario, contribuzione, salute, assicurazione infortuni sul lavoro e malattie professionali, genitorialità, sicurezza del lavoro, recesso giustificato, per chiunque presti, ovunque, in qualsiasi forma e applicazione, il proprio lavoro intellettuale o manuale, dipendente o indipendente.

Allo scopo di garantire più tutele per tutti i lavoratori, soprattutto quelli non standard, flessibili, temporanei, e, soprattutto, poveri, parrebbe finalizzata la delibera del Parlamento Europeo del 16 aprile 2019 in vista dell'adozione della direttiva relativa alle condizioni di lavoro trasparenti e prevedibili nell'Unione europea.

Tale affermazione, purtroppo, è vera solo in minima parte.

Infatti, alla luce delle considerazioni preliminari, risulta chiaro che la futura direttiva, pur richiamando immediatamente l'art. 31 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea (la quale sancisce che ogni lavoratore ha diritto a condizioni di lavoro che ne rispettino la salute, sicurezza e dignità, a una limitazione della durata massima del lavoro, a periodi di riposo giornalieri e settimanali e a un congedo retribuito), si occuperà solo di:

· informazioni obbligatorie sul rapporto di lavoro;

· durata massima dei periodi di prova;

· impiego parallelo presso altri datori di lavoro consentito al di fuori della programmazione del lavoro stabilita con il primo;

· prevedibilità minima del lavoro;

· misure complementari per i contratti a chiamata;

· transizione ad una forma di lavoro più prevedibile e sicura, se disponibile, rispetto a quella originaria;

· formazione obbligatoria gratuita in orario di lavoro;

· diritto di ricorso avverso violazioni dei diritti dei lavoratori derivanti dalla direttiva;

· protezione contro il trattamento sfavorevole in conseguenza di reclamo proposto dal lavoratore per far valere i diritti derivanti dalla direttiva;

· protezione contro il licenziamento e attribuzione dell’onere della prova in capo al datore.

Come sempre: le eventuali sanzioni sono rimesse alla decisione degli Stati membri e viene ribadita la tradizionale clausola di non regresso nei riguardi delle disposizioni più favorevoli.

Premesso che nulla di quanto contenuto nella futura direttiva risulta interamente nuovo per il nostro ordinamento giuslavoristico, pare, innanzitutto, necessario soffermarsi su due considerando particolarmente significativi.

Il primo contiene un’affermazione sistematico-metodologica rilevante: l'obiettivo di migliorare le condizioni di lavoro promuovendo un'occupazione più trasparente e prevedibile e garantendo nel contempo l'adattabilità del mercato del lavoro, non può essere conseguito in misura sufficiente dagli Stati membri, sicché, tenuto conto della necessità di stabilire prescrizioni minime comuni, tale obiettivo può essere conseguito meglio dall’unione mediante direttiva.

Il secondo pare essere una vera e propria resa anche nei confronti della riserva di legge di cui sopra e riguarda il campo di applicazione effettivo delle tutele sancite dalla direttiva; si afferma, infatti che tutto il novero dei lavoratori deboli o poveri: domestici, a chiamata, intermittenti, a voucher, tramite piattaforma digitale, tirocinanti e apprendisti potrebbero rientrare nell’ambito di applicazione della direttiva ma solo a patto che soddisfino i criteri per stabilire la condizione, ovvero la natura giuridica di lavoratore subordinato, siccome individuata dalla Corte di giustizia in relazione alla (abroganda) direttiva 91/533/CEE (merita di essere ricordato che tra gli Stati membri tali condizioni variano significativamente in funzione delle rispettive nozioni di “lavoratore subordinato”, “rapporto di lavoro” e “contratto di lavoro”).

E’ dunque ben possibile, anche alla luce della previsione secondo la quale i lavoratori effettivamente autonomi non dovrebbero rientrare nell'ambito di applicazione della presente direttiva, in quanto non soddisfano i criteri di cui alla condizione di lavoratore subordinato, che per lavoratori a voucher (prestazioni occasionali), stagisti e, soprattutto, per i lavoratori tramite piattaforma digitale, le tutele minime di cui alla nuova direttiva EU non si applichino, visto che, nel nostro ordinamento, come abbiamo osservato, tutt’al più tali contratti sono inquadrabili come collaborazioni organizzate dal committente e non come contratti di lavoro subordinato.

Poco soccorre, in quest’ottica, a temperare il problema, l’affermazione secondo la quale i lavoratori per i quali si è abusato della qualifica di lavoratore autonomo, siccome definita dal diritto interno, che, tanto a livello nazionale quanto nelle situazioni transfrontaliere, costituisce una forma di lavoro falsamente dichiarato (o non dichiarato), ossia di lavoro che, pur soddisfacendo tutti i criteri che caratterizzano un rapporto di lavoro subordinato, è formalmente dichiarato autonomo al solo fine di evitare taluni obblighi giuridici o fiscali, “dovrebbero rientrare nell'ambito di applicazione della presente direttiva”. Il problema, infatti, resta sempre quello di dichiarare la natura giuridica del rapporto, determinandola in conseguenza dell’effettivo atteggiarsi della prestazione di lavoro e non basarsi, come ricorda il testo della direttiva, sul modo in cui le parti descrivono il rapporto.

Come ben si può comprendere dall’analisi appena svolta, la direttiva, con tutta probabilità, non riguarderà i platforms workers, siano essi riders o altro poco importa, e ciò in quanto, nel nostro ordinamento tali lavoratori, slogan a parte, devono essere considerati autonomi e non subordinati; ovviamente fintanto che il legislatore, auspicabilmente o meno, non deciderà diversamente. Ancora una volta tanto rumore per nulla e, purtroppo, nessuna tutela minima, nessun diritto di base o universale per garantire un lavoro dignitoso.

A questo punto, volendo entrare nel merito della direttiva, merita di essere segnalato che lo scopo della direttiva è migliorare le condizioni di lavoro promuovendo un’occupazione più trasparente e prevedibile, garantendo, comunque, nel contempo l’adattabilità del mercato del lavoro.

A tal proposito gli Stati membri possono decidere di non applicare gli obblighi stabiliti nella direttiva ai quei prestatori che svolgono rapporti di lavoro caratterizzati dalla predeterminazione di una durata effettiva del tempo di lavoro pari o inferiore a una media di 3 ore a settimana in un periodo di riferimento di 4 settimane consecutive (è considerato nella media delle tre ore il tempo di lavoro prestato a tutti i datori di lavoro che costituiscono una stessa impresa, uno stesso gruppo o una stessa entità o che vi appartengono).

Gli Stati membri possono, inoltre, prevedere, sulla base di motivi oggettivi, che le disposizioni minime relative alle condizioni di lavoro (durata massima dei periodi di prova; impiego parallelo presso altri datori di lavoro consentito al di fuori della programmazione del lavoro stabilita con il primo; prevedibilità minima del lavoro; misure complementari per i contratti a chiamata; transizione ad una forma di lavoro più prevedibile e sicura, se disponibile, rispetto a quella originaria; formazione obbligatoria gratuita in orario di lavoro) non si applichino a funzionari pubblici, servizi pubblici di emergenza, forze armate, autorità di polizia, magistrati, pubblici ministeri, investigatori o altri servizi preposti all'applicazione della legge.

Per quanto riguarda l’informazione contrattuale, il datore di lavoro deve fornirla e trasmetterla su carta oppure, purché i dati siano accessibili al lavoratore, possano essere conservati e stampati e possa essere conservata la prova della trasmissione o della ricezione, per via elettronica

Le comunicande informazioni da parte dei datori di lavoro, costituiscono il quadro giuridico applicabile e devono essere rese disponibili a tutti gratuitamente, in modo chiaro, trasparente, completo e facilmente accessibile a distanza e per via elettronica, anche tramite portali online esistenti.

Le informazioni, che, per la maggior parte, devono essere presentate al più tardi entro una settimana dal primo giorno di lavoro, comprendono:

- le identità delle parti del rapporto di lavoro;

- il luogo di lavoro; in mancanza di un luogo di lavoro fisso o prevalente, il principio che il lavoratore è impiegato in luoghi diversi o è libero di determinare il proprio luogo di lavoro, nonché la sede o, se del caso, il domicilio del datore di lavoro;

- uno tra: il titolo, il livello, la natura o la categoria dell'impiego attribuito al lavoratore; oppure una breve specificazione o descrizione del lavoro;

- la data di inizio del rapporto di lavoro;

- se si tratta di un rapporto di lavoro a tempo determinato, la data di fine o la durata prevista dello stesso;

- nel caso di lavoratori tramite agenzia interinale, l'identità delle imprese utilizzatrici, quando e non appena è nota;

- la durata e le condizioni del periodo di prova, se previsto;

- il diritto alla formazione erogata dal datore di lavoro, se previsto;

- la durata del congedo retribuito cui ha diritto il lavoratore o, se ciò non può essere indicato all'atto dell'informazione, le modalità di attribuzione e di determinazione di tale congedo;

- la procedura, compresi i requisiti di forma e la durata dei periodi di preavviso, che deve essere seguita dal datore di lavoro e dal lavoratore in caso di cessazione del rapporto di lavoro o, nell'impossibilità di indicare la durata dei periodi di preavviso all'atto dell'informazione, le modalità di determinazione di detti periodi;

- la retribuzione, compresi l'importo di base iniziale, ogni altro elemento costitutivo, se del caso, indicati separatamente, e la periodicità e le modalità di pagamento della retribuzione cui ha diritto il lavoratore;

- se l'organizzazione del lavoro è interamente o in gran parte prevedibile, la durata normale della giornata o della settimana di lavoro del lavoratore nonché eventuali condizioni relative al lavoro straordinario e alla sua retribuzione e, se del caso, eventuali condizioni relative ai cambi di turno;

- se l'organizzazione del lavoro è interamente o in gran parte imprevedibile, il datore di lavoro informa il lavoratore riguardo: al principio che la programmazione del lavoro è variabile, all'ammontare delle ore retribuite garantite e alla retribuzione per il lavoro prestato in aggiunta a dette ore garantite; alle ore e ai giorni di riferimento nei quali può essere imposto al lavoratore di lavorare; al periodo minimo di preavviso a cui il lavoratore ha diritto prima dell'inizio di un incarico e se del caso, il termine per l'annullamento;

- i contratti collettivi che disciplinano le condizioni di lavoro del lavoratore o, se si tratta di contratti collettivi stipulati al di fuori dell'impresa da particolari istituzioni od organi paritetici, la denominazione di tali istituzioni o organi nel cui ambito sono stati stipulati;

- ove la responsabilità incomba al datore di lavoro, l'identità delle istituzioni di sicurezza sociale che ricevono i contributi sociali collegati al rapporto di lavoro e qualunque forma di protezione in materia di sicurezza sociale fornita dal datore di lavoro.

La disciplina del periodo di prova insiste in particolare sui rapporti di lavoro a tempo determinato, in relazione ai quali la durata deve essere proporzionale alla durata prevista del contratto e alla natura dell'impiego e, comunque, mai superiore ai sei mesi.

Nel caso in cui l’organizzazione del lavoro del prestatore sia interamente o in gran parte imprevedibile, il datore di lavoro non può imporgli di lavorare a meno che non siano soddisfatte entrambe le seguenti condizioni:

§ il lavoro è svolto entro ore e giorni di riferimento predeterminati;

§ il lavoratore è informato dal suo datore di lavoro di un incarico con un preavviso ragionevole stabilito in conformità del diritto, dei contratti collettivi o delle prassi nazionali.

Alcune tutele riguardano anche i contratti a chiamata e, in particolare per prevenire pratiche abusive, gli Stati membri dovranno prevedere:

- limitazioni dell'uso e della durata dei contratti a chiamata o di analoghi contratti di lavoro;

- una presunzione confutabile dell'esistenza di un contratto di lavoro con un ammontare minimo di ore retribuite sulla base della media delle ore lavorate in un determinato periodo;

- altre misure equivalenti che garantiscano un'efficace prevenzione delle pratiche abusive.

Gli Stati membri devono informare la Commissione sulle misure adottate.

Di un certo interesse, soprattutto in relazione all’aggiornamento delle competenze professionali, sono le misure previste per la formazione obbligatoria, in ordine alla quale gli stati membri provvedono affinché il datore di lavoro, obbligato, a norma del diritto dell'Unione o del diritto nazionale o dei contratti collettivi, ad erogare a un lavoratore formazione ai fini dello svolgimento del lavoro per il quale è stato assunto, somministri tale formazione al lavoratore, in modo gratuito, considerandola quale orario di lavoro e, ove possibile, fare in modo che si svolga durante l'orario di lavoro.

Anche della tutela dei diritti si occupa la direttiva, imponendo agli Stati membri (laddove ve ne fosse necessità) di provvedere affinché i lavoratori, compresi quelli il cui rapporto di lavoro è cessato, abbiano accesso a un meccanismo di risoluzione delle controversie efficace e imparziale, beneficiando di un diritto di ricorso in caso di violazioni delle loro prerogative derivanti dalla direttiva. In particolare, nel caso in cui il lavoratore non abbia ricevuto a tempo debito i documenti o parte dei documenti contenenti le informazioni sul contratto di lavoro, deve avere la possibilità di sporgere denuncia a un’autorità o a un organo competente nonché il diritto di ricevere un’adeguata riparazione in modo tempestivo ed efficace.

Da ultimo la direttiva si occupa anche di tutela contro il licenziamento (o suo equivalente), imponendo agli stati membri di adottare ogni misura necessaria per vietarlo quale ritorsione nei confronti dei lavoratori che abbiano esercitato i diritti previsti dalla direttiva.

Tutto qui, niente di più; soprattutto, niente che già non spettasse ai lavoratori subordinati italiani in forza della legge o della contrattazione collettiva e niente che inequivocabilmente spetti a coloro i quali tali diritti non avevano e continueranno a non avere in quanto lavoratori indipendenti.

La direttiva, una volta emanata, dovrà essere recepita entro 3 anni: avremo modo di riparlarne.

Fonte: http://www.ipsoa.it/documents/lavoro-e-previdenza/rapporto-di-lavoro/quotidiano/2019/04/30/gig-economy-europa-disattende-esigenza-tutele-minime-lavoratori

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