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Sanzioni e procedura disciplinare: come può difendersi il lavoratore

Nella lettera di contestazione disciplinare il datore di lavoro deve garantire il diritto del lavoratore ad essere sentito a difesa entro un termine non inferiore a 5 giorni. Il dipendente è libero di esercitare la propria difesa nella forma che ritiene più opportuna, oralmente o per iscritto. Inoltre, nella fase istruttoria del provvedimento, è ammessa l’assistenza di un rappresentante sindacale. Esclusa invece la possibilità di ricorrere a consulenti ed esperti in materie giuslavoristiche nonché ad avvocati. Un passaggio importante è rappresentato dalla verbalizzazione dell’incontro: cosa è consigliabile fare?

La garanzia del diritto alla difesa all’interno della procedura disciplinare rappresenta un passaggio fondamentale nella procedura prevista dall’art. 7 della legge n. 300/1970.

L'esigenza di garantire il dipendente rispetto ad un uso arbitrario del “potere sanzionatorio” ha fatto sì che il Legislatore, attraverso la procedimentalizzazione dell'iter, giungesse da un lato, a limitare l'esercizio del potere datoriale e, dall'altro, a permettere l'instaurazione di un contraddittorio in cui la posizione del lavoratore potesse godere di particolari garanzie.

Il datore di lavoro deve ricordare nella lettera di contestazione il diritto dell’interessato ad essere sentito a difesa entro il termine fissato dalla legge o dalla contrattazione collettiva di riferimento: il limite non può, in ogni caso, essere inferiore ai 5 giorni che decorrono dal momento in cui il lavoratore ha avuto legale conoscenza della nota di contestazione. Ovviamente, se per una qualsiasi ragione il rapporto di lavoro è sospeso (ad esempio, per malattia od infortunio) anche i termini si sospendono ed iniziano a decorrere dal momento in cui è venuta meno la causa impediente.

Entro i limiti massimi previsti dalla legge o dalla normativa pattizia, il lavoratore può chiedere di essere sentito a difesa: incombe, poi, sul datore di lavoro, una volta richiesto l’incontro, l’onere di fissare il giorno e l’ora del contraddittorio che potrebbe anche “slittare” in presenza di una causa impediente (ad esempio, il rappresentante sindacale deputato all’assistenza potrebbe avere già un impegno inderogabile prefissato).

La Corte di Cassazione è intervenuta più volte sull'argomento, ribadendo che il lavoratore è libero di esercitare la propria difesa nella forma che ritiene più opportuna, potendo anche cambiare atteggiamento e modi di difesa nel corso del procedimento. Da ciò ne consegue non soltanto che le giustificazioni possono esser presentate oralmente o per iscritto, ma anche che le stesse possano non esser propriamente veritiere, senza che per questo il dipendente corra il rischio di un nuovo provvedimento.

Tra le forme di difesa del dipendente rientra anche la "non difesa", ossia la non utilizzazione della facoltà di essere sentito a discolpa (Cass., 30 gennaio 1984 n. 721), senza che ciò possa costituire acquiescenza in ordine ai fatti contestati. La conseguenza di ciò è che, superato il termine dei 5 giorni per la presentazione delle giustificazioni (o termine diverso previsto dalla contrattazione collettiva) e dopo che il datore di lavoro abbia adottato il provvedimento, il lavoratore può liberamente adire sia il giudice di merito che il collegio di conciliazione ed arbitrato.

Le giustificazioni vanno presentate, in linea di massima, nel luogo ove il lavoratore svolge la propria attività o, quantomeno, nel contesto aziendale (ad esempio, presso la direzione) e non, quindi, presso lo studio del legale o del consulente della società: ciò vale per tutti, anche per i lavoratori in trattamento integrativo salariale, così come sottolineato dalla giurisprudenza di merito che ha eccepito, in questi casi, molti anni or sono, la nullità del provvedimento (Trib. Milano, 29 settembre 1990).

L’art. 7 della legge n. 300/1970, dopo aver stabilito che il lavoratore possa chiedere di esser sentito a difesa, afferma che può farsi assistere da un rappresentante sindacale e può presentare, nell'ambito del periodo concesso, come detto pocanzi, le proprie giustificazioni scritte ed orali, le può cambiare od integrare. Di fronte a tale comportamento nulla può il datore di lavoro il quale, al termine del contraddittorio, farà le proprie valutazioni.

La disposizione, contenuta nel comma 3, assicura alle organizzazioni sindacali una posizione di preminenza nella fase di assistenza procedurale da cui possono scaturire alcuni interessanti questioni sulla:

1) natura del mandato conferito al sindacato;

2) impossibilità per il lavoratore di farsi assistere, nella fase del contraddittorio da persona estranea all’associazione sindacale.

C'è, in via preliminare, da risolvere il problema legato alla legittimazione dei soggetti che possono prestare assistenza sindacale.

Di fronte al proliferare dei sindacati autonomi e partendo dalla constatazione che nel contratto collettivo era rinvenibile una disposizione con la quale il diritto all'assistenza nel contraddittorio era riservato alle organizzazioni firmatarie del contratto collettivo, la Corte di Cassazione (Cass., 29 marzo 1982, n. 1965) sostenne che il mandato "alla difesa" poteva essere attribuito soltanto alle stesse. Era il tempo in cui presso alcuni Enti proliferavano le sigle dei "collettivi politici" legati ad "Autonomia Operaia" e con questa sentenza, peraltro più volte disattesa dai giudici di merito, si ritenne di limitare l'influenza di queste organizzazioni all'interno delle grandi imprese. Nel 1993, con la pronuncia n. 9177 del 30 agosto, l'indirizzo della Cassazione mutò: si stabilì, infatti, che qualsiasi organizzazione sindacale è legittimata ad assistere il lavoratore e non soltanto quelle firmatarie del contratto o che possono costituire gli organismi di rappresentanza interna ex art. 19 della legge n. 300/1970.

Il mandato di assistenza, conferito al sindacato (interno od esterno alla struttura aziendale) è specifico per un determinato atto (rappresentanza del dipendente nella fase del contraddittorio) ed in tale veste il "sindacalista" può compiere atti e produrre prove a discarico. L'opera del mandatario non è impugnabile tranne l'ipotesi, che vengano compiuti, dolosamente, atti contro il lavoratore mandante.

Il mandato può essere revocato ai sensi dell'art. 1723 c.c.; se però si tiene presente che ciò dovrebbe avvenire, in questa fase, entro il termine perentorio di 5 giorni durante i quali può essere svolta la linea difensiva del ricorrente si può, senza ombra di dubbio, sostenere che tale ipotesi è più teorica che pratica.

Il lavoratore può conferire il mandato alla "struttura sindacale" (ad esempio, associazione di categoria, RSU, RSA, ecc.) senza con questo esplicitare la persona delegata all'assistenza: ciò rientra negli specifici compiti dell'organizzazione la quale, al proprio interno, incarica un soggetto.

Nella fase istruttoria del provvedimento il lavoratore non può farsi assistere da persona estranea al sindacato in quanto la norma riserva tale compito soltanto ad organismi sindacali, sia pure esterni all'azienda. Quindi, mentre legittimamente possono svolgere tale compito, ad esempio, membri delle segreterie provinciali, comprensoriali, regionali o nazionali del sindacato, ciò è precluso sia a consulenti ed esperti in materie giuslavoristiche che ad avvocati.

La " ratio " della norma è che l'interlocutore privilegiato del datore di lavoro in azienda, deve essere l'organizzazione sindacale, come chiarito esplicitamente dalla Corte di Cassazione con sentenza n. 26023/2009. Può succedere tuttavia, che la presenza di altro soggetto “a difesa” che non sia un rappresentante sindacale venga, tacitamente, accettato dal datore di lavoro: ciò è possibile che avvenga ma di per sè stesso non è quello che chiede il Legislatore.

Il discorso si pone, diversamente, invece, allorché, esaurito l'iter disciplinare, venga applicata una sanzione: nel chiedere la costituzione, per il tramite dell’Ispettorato territoriale del Lavoro, di un collegio di conciliazione ed arbitrato (attivando, in tal modo, una procedura attraverso una struttura pubblica), viene meno quell'interesse specifico tendente a privilegiare il sindacato, e, quindi, il lavoratore può farsi rappresentare da persona anche al di fuori della struttura associativa.

Due parole, infine, sulla fase del contraddittorio: il datore di lavoro non è, assolutamente, tenuto, in questa fase, a “scoprire” le proprie carte, nel senso che non è obbligato a fornire al lavoratore gli elementi sui quali si basa la contestazione disciplinare. Ciò accadrà qualora, dopo l’adozione del provvedimento, il lavoratore, ritenendo ingiusta la sanzione applicata, ricorra in giudizio o venga costituito, in base alla propria richiesta, il collegio di conciliazione ed arbitrato.

Altra questione riguarda la verbalizzazione dell’incontro: è questo, a mio avviso, un passaggio importante nel senso che, senza alcuna anticipazione circa le decisioni ed i comportamenti futuri, è opportuno che vengano, sia pure in maniera stringata, ma comunque, esaustiva, riportate le posizioni espresse dalle parti (in special modo quelle del lavoratore), magari facendo riferimento, in presenza di posizioni esplicitate per iscritto, a documentazione allegata al verbale stesso.

Fonte: http://www.ipsoa.it/documents/lavoro-e-previdenza/amministrazione-del-personale/quotidiano/2019/05/07/sanzioni-procedura-disciplinare-difendersi-lavoratore

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