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Smart working: benessere = successo aziendale. Con dei lati oscuri

Lo smart working è diventato realtà, soprattutto per le grandi imprese italiane. Recenti statistiche del Politecnico di Milano indicano che circa il 90% delle grandi aziende ha adottato, o intende adottare in tempi brevi, forme di smart working per i dipendenti. Indiscussi i vantaggi: il lavoro agile contribuisce ad aumentare la produttività e l’attrattività dell’azienda in ottica employer branding e favorisce la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro per i dipendenti, collocandosi nell’ambito delle misure di welfare. E si sa che dipendenti e datori di lavoro felici creano, mantengono e sviluppano imprese di successo. Ma è sempre vero? Cosa si nasconde dietro le evidenti opportunità?

Quanti lavoratori dipendenti negli ultimi decenni hanno vissuto le ore in ufficio come “una prigionia”? Quanti cittadini di questa terra, specialmente nelle grandi città, hanno pensato ogni giorno che le ore passate in automobile li stavano straniando da ogni forma di vita sociale e professionale, per non parlare dei costi e dello stress correlato? Quanti hanno fatto i salti mortali con permessi, ferie e assenze per far fronte a necessari impegni con i figli o semplicemente per seguire l’idraulico o l’elettricista che intervenivano a casa loro?

E’ per questo che lo smart working è una rivoluzione: libera il tempo, apre i luoghi, promuove la flessibilità e la responsabilità.

La legge n. 81/2017 che lo disciplina lo descrive come “una modalità flessibile di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato, allo scopo di incrementarne la produttività e agevolare la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro e di accompagnare il profondo cambiamento culturale nella concezione del lavoro”.

Rispetto ad altre normative di riferimento, come il suo “predecessore”, il telelavoro, presenta aspetti di assoluta innovatività, che in parte qui di seguito si elencano:

- è una prestazione di lavoro subordinata che prevede lo svolgimento di parte dell'attività lavorativa all'interno dei locali aziendali ed in parte al di fuori degli stessi (entro i limiti di durata dell'orario di lavoro giornaliero e settimanale previsti dalla legge e dal CCNL di riferimento);

- è facilitata dal supporto di strumenti telematici messi a disposizione dall'azienda;

non comporta modifica degli obblighi e dei doveri del lavoratore;

-è necessario l’utilizzo di un luogo «consono» per tutelare la riservatezza delle informazioni aziendali;

- non comporta nessuna modifica della sede di lavoro né ha alcun effetto sull'inquadramento, sul livello retributivo e sulle possibilità di crescita professionale del dipendente.

Infatti, almeno nelle grandi imprese italiane, recenti statistiche del Politecnico di Milano indicano che circa il 90% di loro ha adottato, o intende adottare in tempi brevi, forme di smart working per una parte della “popolazione” lavorativa. Inoltre, ancor prima che l’iter parlamentare di approvazione del testo di legge finale sul lavoro agile giungesse a conclusione, la prestazione lavorativa resa in questa nuova modalità era già in fase di informale sperimentazione in alcune grandi imprese italiane che avevano iniziato ad investire anche nel ripensamento degli spazi, altro elemento strettamente connesso al precedente.

Le imprese coinvolte in questo percorso sono pressoché unanimemente concordi nell’evidenziare una serie di vantaggi sostanziali, che di seguito si elencano:

- lo smart working contribuisce ad aumentare la produttività e a generare eventuali opportunità di efficienza operativa;

- si inserisce coerentemente nell’ambito delle attività di welfare aziendale;

risponde a esigenze segnalate dai dipendenti attraverso i diversi strumenti che le imprese adottano per conoscere le loro aspettative (indagini interne, focus group, altri strumenti);

- contribuisce ad aumentare l’attrattività dell’azienda (in ottica Employer Branding), in un momento della storia dove essere attrattivi è una condizione di partenza, senza la quale è impensabile reclutare figure di talento;

- si inserisce coerentemente nell’ambito delle attività di welfare aziendale, anch’esse in grande sviluppo quasi ovunque.

Anche i dipendenti sono contenti, perché in questa continua trasformazione della loro vita e delle loro abitudini che l’attuale rivoluzione comporta, un modello professionale più fluido e flessibile è estremamente coerente con ciò che ormai la nostra vita esprime quotidianamente.

Ma è sempre vero? Perché dobbiamo parlare di lato oscuro, allora?

Nonostante i riscontri positivi ed entusiasti, restano alcuni dubbi e criticità in diversi ambiti. Ci sono difficoltà reali, falsi miti e conseguenze negative che possono rendere il percorso lungo e complesso. Bisogna combattere, da parte delle imprese, il rischio di farsi trascinare dall’effetto moda a tal punto da introdurre un cambiamento solo superficiale, senza cogliere l’opportunità di ripensare la cultura e i modelli organizzativi.

Innanzitutto, la pervasività del lavoro nella vita aumenta, grazie agli strumenti tecnologici ed al loro uso continuo. Questo comporta evidentemente maggiori rischi per la salute fisica e mentale dei lavoratori smart, con possibili conseguenti patologie come techno-stress e dipendenza tecnologica; inoltre i dipendenti possono essere spinti a confondere i confini tra vita professionale e personale, in contraddizione con la finalità stessa del lavoro agile.

E’ in agguato, per i praticanti dello smart working, il rischio forte della reciproca interferenza e sovrapposizione tra tempo di lavoro e vita privata, che può generare conflitti personali e familiari. E’ vero che la legge italiana prevede di individuare i tempi di riposo del lavoratore, nonché le misure tecniche e organizzative necessarie per assicurare la disconnessione dalle strumentazioni tecnologiche, ma come assicurarne la concreta applicazione, visto che il dettato normativo non prevede strumenti specifici per la sua attuazione? Va peraltro ricordato che spesso “ci facciamo male da soli”: anche se non per lavoro, il nostro occhio corre febbrilmente e continuamente allo smartphone, chissà cosa succederà nella mia vita se perdo il contatto per qualche minuto?

Tra l’altro, è difficile sostenere che lontane dall’ambiente fisico del lavoro e dal suo controllo sociale tutte le persone siano ugualmente abili e produttive nel lavorare a distanza. In questo contesto entrano in gioco una serie di fattori personali come la capacità di strutturare in maniera dettagliata il lavoro o la tendenza a procrastinare, che possono influenzare la quantità e la qualità del lavoro a distanza. Parliamo quindi di responsabilità personale, di capacità di auto organizzarsi, di intelligenza nel cercare ed applicare la giusta concentrazione: tutto questo non si impara da soli, a parte pochi fortunati che ne sono dotati dalla nascita o quasi, e pertanto occorre fare un percorso di educazione e di formazione che non tutte le imprese sanno o vogliono affrontare.

Può inoltre nascere un senso di isolamento che induce il dipendente a viversi come escluso dalle logiche e dagli equilibri aziendali. L’utilizzazione poco attenta delle tecnologie può pregiudicare la qualità dei rapporti interpersonali provocando effetti negativi su creatività, condivisione e produttività per le quali l’interazione è molto importante.

Occorre quindi individuare quella specifica soglia oltre la quale non solo la soddisfazione non aumenta ma la tecnologia non riesce a compensare la sensazione di isolamento sociale e la mancanza di interazione in presenza con i propri colleghi.

Torniamo infine ad un punto delicato e vitale per le organizzazioni: il processo di valutazione. Sappiamo da decenni che i manager si sentono inadeguati, e questo senso di inadeguatezza aumenta con la distanza fisica, perché osservare la prestazione rimane una delle modalità chiave per valutare. Occorre allora fare un percorso per imparare a definire con ogni singola persona la prestazione attesa, ciò che verrà concretamente valutato e ciò che ci si aspetta in termini di risultato e di processo di lavoro. Ogni persona sarà così portata e convinta ad accettare di essere misurata sul raggiungimento degli obiettivi e si muoverà proattivamente per perseguirli.

Allora cosa facciamo? Aspettiamo che la moda passi? Rimaniamo ancorati ai vecchi paradigmi del “comando e controllo”, rigorosamente in presenza? Evitiamo di affrontare la sfida di un mondo che cambia anche nelle modalità di lavoro? Cediamo alla sindrome del controllo ad oltranza, perché la richiesta di responsabilità è troppo impegnativa?

Proseguiamo, proseguiamo senz’altro. Impegniamoci in questo percorso di cambiamento, accettiamo la sfida di questo mondo liquido dove la tecnologia offre a costo contenuto opportunità impensabili fino a pochi anni fa, trasformiamo il nostro rapporto con i dipendenti per farlo diventare più maturo, flessibile e consapevole. Dipendenti e datori di lavoro felici creano, mantengono e sviluppano imprese di successo.

Fonte: http://www.ipsoa.it/documents/lavoro-e-previdenza/amministrazione-del-personale/quotidiano/2019/06/08/smart-working-benessere-successo-aziendale-lati-oscuri

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