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Archivio newsI riders secondo la Corte d’Appello di Torino: una sentenza che lascia perplessi
La sentenza della Corte d'Appello di Torino n. 26 del 2019 sul rapporto di lavoro dei ciclofattorini Foodora ha suscitato grande interesse, in parte motivato dal fatto che i giudici focalizzano l'attenzione sulla qualificazione delle tradizionali categorie di rapporto lavorativo e, soprattutto, sulla loro attuale validità. La soluzione offerta dalla Corte, che nega la configurabilità del lavoro subordinato, seppur profondamente aderente ad una lettura sistematica ed esegetica delle norme, lascia, tuttavia, perplessi. Se ne parlerà durante il prossimo Festival del Lavoro, organizzato dalla Fondazione Studi del Consiglio Nazionale dei Consulenti del Lavoro, che si svolgerà a Milano dal 20 al 22 giugno 2019.
L'interesse suscitato dalla sentenza n. 26 del 4 febbraio 2019 della Corte d'Appello di Torino relativamente al rapporto di lavoro dei ciclofattorini Foodora è motivato dal fatto che, per quanto trattasi di caso minore, focalizza l'attenzione sulla qualificazione delle tradizionali categorie di rapporto lavorativo e soprattutto sulla validità e funzionalità delle stesse nell'attuale panorama della giurisdizione che disciplina il mondo del lavoro.
Nello specifico, la Corte, confermando peraltro quanto già espresso dal Tribunale, nega l'ipotesi che si possa configurare una condizione di lavoro subordinato ex art. 2094 c.c. sulla base del fatto che i riders possono autonomamente fornire o meno la propria disponibilità rispetto ai turni di lavoro e hanno facoltà di revocare la stessa anche successivamente, escludendo pertanto le condizioni di obbligatorietà che caratterizzano il lavoro subordinato.
Ciò che però si domanda nello specifico la Corte è se davvero tale figura ha una propria autonomia concettuale e giuridica rispetto al lavoro subordinato di cui all’art 2094 c.c. e rispetto alle collaborazioni continuative e coordinate di cui all’art. 409 c.p.c.
A tale quesito la Corte di Appello di Torino, non concordando con quanto affermato dal Tribunale in relazione alla invocata applicazione della norma di cui art 2 del D. Lgs. n. 81/2015 (ai sensi dell’art. 2 del D.Lgs. 81/2015 “a far data dal 1° gennaio 2016, si applica la disciplina del rapporto di lavoro subordinato anche ai rapporti di collaborazione che si concretano in prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro”), risponde introducendo, de facto, una nuova categoria lavorativa che si pone tra la collaborazione coordinata e continuativa come prevista dall’art. 409 c.p.c. e il lavoro subordinato.
I rapporti di lavoro, in linea generale, vengono pertanto distinti in:
• lavoro autonomo in senso stretto di cui all’art. 2222 c.c.;
• collaborazione coordinata e continuativa, in cui le modalità del coordinamento sono stabilite d’accordo tra le parti;
• collaborazione coordinata e continuativa etero-organizzata, delineata dall’art 2 del D. Lgs. n.81/2015;
• il lavoro subordinato ex art. 2094 c.c.
La Corte, interpretando l'introduzione della norma di cui all’art 2 del D. Lgs. n. 81/2015 come evidentemente orientata a “garantire una maggiore tutela alle nuove fattispecie di lavoro”, attribuisce alla collaborazione coordinata e continuativa etero organizzata le tutele del lavoro subordinato.
Nel caso specifico, la condizione lavorativa dei soggetti coinvolti rientra in questa nuova categorizzazione in quanto:
- “pur senza sconfinare nell’esercizio del potere gerarchico-disciplinare (che è alla base della eterodirezione), la collaborazione è qualificabile come etero organizzata”; infatti, la prestazione lavorativa del collaboratore è strutturalmente legata all'organizzazione ed è il committente che determina le modalità dell'attività lavorativa;
- il collaboratore organizza autonomamente la propria attività lavorativa (“in questo caso le modalità di coordinamento sono definite consensualmente e quelle di esecuzione della prestazione autonomamente”);
- si tratta di rapporto continuativo poiché non occasionale e che si realizza nello “svolgimento di attività che vengono (anche se intervallate) reiterate nel tempo”.
Difformemente dal Tribunale, la Corte non chiarisce se al fine di tale inquadramento sia necessario che concorrano due requisiti, la etero-organizzazione e la possibilità per il committente di stabilire i tempi e il luogo di lavoro o se invece l'etero-organizzazione stessa si esplichi e si concretizzi nel potere datoriale di stabilire le modalità temporali e “geografiche” della prestazione.
Ciò non determina comunque uno scostamento dall'indirizzo logico-giuridico proposto tra le quattro fattispecie e nello specifico tra la subordinazione in senso stretto e la collaborazione autonoma eterorganizzata: la prima comportante un potere di impartire capillari direttive; la seconda estrinsecantesi nel coordinamento organizzativo ed esecutivo della prestazione, anche sotto il profilo logistico e temporale.
La soluzione offerta dalla Corte, seppur profondamente aderente ad una lettura sistematica ed esegetica della norma in esame, lascia tuttavia perplessi.
In assenza di una chiara e ben definita descrizione normativa di prestazioni lavorative che si pongono, solo interpretativamente, a cavallo delle categorie ormai ben collaudate e dai confini ben precisi, appare pericoloso ipotizzare giurisprudenzialmente altre fattispecie dal distinguo impalpabile.
Ormai possiamo tranquillamente affermare che già accanto alla tradizionale bipartizione, rappresentate normativamente dall'art. 2222 e dall'art. 2094, è emersa una ampia e variegata gamma di rapporti di lavoro che, per motivi diversi, si pongono nell'estesa zona grigia che è sempre esistita fra l'autonomia e la subordinazione stricto jure.
Modulando e riconoscendo in ogni singola fattispecie la differente interdipendenza e la più o meno marcata integrazione funzionale con l’organizzazione predisposta dal committente, si possono svolgere una pluralità di prestazioni lavorative che risultano non riconducibili, se non con evidente forzatura, al paradigma della subordinazione in quanto non presentano un assoggettamento personale a vincolanti e continue direttive, senza dover necessariamente individuare un tertium genus in quanto non “pienamente” aderenti alla pura autonomia.
Nel caso di specie si auspica, al contrario, un intervento legislativo e sindacale, in quanto, proprio per l’assenza del requisito della obbligatorietà della prestazione e di una capillare eterodirezione, i contratti in essere andrebbero agevolmente inquadrati nell’ambito delle collaborazioni coordinate e continuative, ma, vista la peculiare forma di organizzazione del lavoro, si dovrebbe provvedere al riconoscimento di una serie di protezioni lavoristiche di natura contrattuale.