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Contratti collettivi leader: da definire i criteri per misurare la rappresentatività sindacale

Il fenomeno della contrattazione “pirata” consiste non solo nella proliferazione di contratti collettivi “low cost”, ma si realizza anche nelle forme del contratto di prossimità “fasullo”, cioè privo dei requisiti di legge, che abbatte il costo del lavoro attraverso il sotto-inquadramento dei lavoratori. L’INL ha ribadito l’importanza per i datori di lavoro di fare riferimento ai contratti collettivi sottoscritti dalle OO.SS. comparativamente più rappresentative. Come misurare la rappresentatività sindacale? Massimo Brisciani ne parlerà al Festival del lavoro 2019, nel corso del workshop di Wolters Kluwer “Lavoro nero e irregolare: incremento delle sanzioni per i datori di lavoro”, che si terrà venerdì 21 giugno dalle ore 17.00 alle ore 18.00.

Nel solco dell’azione di tutela degli interessi dei lavoratori e di contrasto al lavoro irregolare si colloca l’attività dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro che punta a combattere il fenomeno del “dumping contrattuale”. Questo fenomeno realizza una nuova forma di “elusione” della normativa del lavoro attraverso il ricorso a contratti collettivi meno onerosi o a contrattazione in deroga, allo scopo di ottenere la riduzione del costo del lavoro e delle garanzie riconosciute ai lavoratori.

L’INL ha posto l’attenzione sulla necessità che ai lavoratori siano riconosciute retribuzioni non inferiori a quelle previste dal “contratto leader” della categoria di appartenenza del datore di lavoro, quale condizione di accesso a benefici normativi e contributivi e, in ogni caso, che dette retribuzioni siano assunte a base di calcolo dei contributi previdenziali.

La contrattazione collettiva svolge una funzione complementare e a volte sussidiaria rispetto alla disciplina legale nella regolamentazione dei rapporti di lavoro. Ad esempio, in tema di ricorso ai contratti c.d. flessibili (contratto a termine, contratto a chiamata, ecc.) o di gestione dell’orario di lavoro, il legislatore ha affidato alle organizzazioni di rappresentanza dei lavoratori e dei datori di lavoro poteri integrativi e derogatori, sia in senso espansivo che in senso limitativo, della disciplina legale.

La particolare funzione svolta dalla contrattazione collettiva ha generato un ampio dibattito circa l’individuazione del contratto collettivo “leader”, o di riferimento per la categoria, cui la legge collega alcuni effetti sia sul piano della flessibilità del lavoro, sia con riferimento all’individuazione della retribuzione imponibile ai fini contributivi.

Le difficoltà che negli anni hanno reso concretamente difficile l’individuazione del contratto collettivo “leader” di settore sono state determinate, in particolare, dalla mancata attuazione dell’articolo 39 della Costituzione, che, non solo non consente ai contratti collettivi di avere efficacia erga omnes, ma impedisce anche di definire, con portata generale, gli indici di misurazione quantitativa della rappresentatività delle associazioni sindacali.

Al vuoto normativo, le parti sociali hanno tentato di porre rimedio definendo autonomamente alcuni criteri di misurazione della rappresentatività. In particolare, con gli Accordi Interconfederali del 28 giugno 2011 e del 10 gennaio 2014 (c.d. Testo unico sulla rappresentanza) e con il Protocollo d’intesa del 2013, si è subordinata l’attribuzione della titolarità sindacale alla negoziazione dei contratti collettivi al “parametro soglia” del 5%, inteso come la media tra il numero di deleghe conferite dai lavoratori (dato associativo) e il numero dei voti ottenuti dalle OO.SS in occasione dell’elezione delle RSU (dato elettorale). Tuttavia, considerato che gli Accordi dispiegano effetti unicamente nei confronti delle parti stipulanti, essi hanno una portata limitata e vincolano solo le associazioni che li abbiano sottoscritti o vi abbiano successivamente aderito.

Pertanto, in assenza di un effettivo strumento in grado di identificare con certezza le “organizzazioni comparativamente più rappresentative sul piano nazionale”, risulta certamente difficile selezionare, tra le diverse formazioni sindacali, quelle dotate del requisito e dunque stabilire quali contratti collettivi siano qualificabili come “leader” del settore.

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Un contributo alla vivacità del dibattito è stato offerto dall’Ispettorato Nazionale del Lavoro (e sotto la sua regia, dall’INPS), che ha indirizzato l’azione ispettiva e repressiva al contrasto della contrattazione collettiva che riduce le tutele retributive e contributive dei lavoratori (c.d. contrattazione collettiva “pirata”).

Oggi, rispetto al passato, il fenomeno della contrattazione “pirata” consiste non solo nella proliferazione di contratti collettivi “low cost”, ma si realizza anche nelle forme del contratto di prossimità “fasullo”, cioè privo dei requisiti di legge, che abbatte il costo del lavoro, attraverso il sotto-inquadramento dei lavoratori e consente comunque al datore di lavoro di disporre dei benefici riconosciuti alle aziende che applicano un contratto collettivo.

L’Ispettorato Nazionale del Lavoro, con la circolare n. 3 del 2018, ha quindi ribadito che il contratto collettivo di riferimento, ai fini del trattamento economico spettante al lavoratore, e quindi della contribuzione dovuta all’INPS, è quello sottoscritto dalle OO.SS. comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.

L’agenzia ispettiva, richiamando il principio della retribuzione minima imponibile, espresso dell’art. 1, comma 1, del D.L. n. 338/1989, ha chiarito che il calcolo della contribuzione obbligatoria debba essere effettuato utilizzando a parametro l’importo delle retribuzioni previste dai contratti collettivi sottoscritti dalle organizzazioni comparativamente più rappresentative sul piano nazionale della “categoria” in cui opera l’impresa.

L’obiettivo dell’Ispettorato, volto a garantire la piena tutela dei diritti dei lavoratori e a contenere la destrutturazione dei tradizionali istituti normativi rischia, tuttavia, di essere raggiunto in violazione del diritto costituzionalmente garantito alla libertà sindacale, in quanto si traduce in un’indebita ingerenza dell’ispettore nella libera scelta del contratto collettivo di lavoro operata dal datore di lavoro.

È difficile prevedere quali saranno gli effetti dell’orientamento interpretativo espresso dall’INL e quale sarà la valutazione della magistratura, considerato il carattere “presuntivo” del criterio della maggiore rappresentatività comparata. Resta comunque nell’immediato l’ulteriore problema di stabilire quale sia il CCNL da applicare ai fini retributivi e contributivi, quando in un settore “convivono” più contratti, tutti sottoscritti dalle organizzazioni sindacali che si presumono comparativamente più rappresentative. Come può l’ispettore in sede di accertamento stabilire quale sia tra questi il CCNL leader?

La soluzione del problema, certamente, non può essere affidata all’azione ispettiva, che spesso è ispirata a mere esigenze di raggiungimento di obiettivi di recupero contributivo.

Occorre in primo luogo che il legislatore dia attuazione all’art. 39 della Costituzione, così risolvendo a monte l’annosa questione della misurazione della rappresentatività delle organizzazioni sindacali in ciascun settore economico o categoria produttiva. Solo in questi termini potrà realizzarsi l’auspicata “bonifica” della contrattazione collettiva nazionale, per consentire un corretto confronto concorrenziale tra gli operatori economici e maggiori certezze per le aziende nei rapporti con l’INPS.

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Fonte: http://www.ipsoa.it/documents/lavoro-e-previdenza/contrattazione-collettiva/quotidiano/2019/06/14/contratti-collettivi-leader-definire-criteri-misurare-rappresentativita-sindacale

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