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Tariffe Usa-Cina: un conto troppo salato per l’impresa globale

Ammonta a circa 500 miliardi di dollari il costo che sta generando la guerra dei dazi tra USA e Cina. Effetti diretti, naturalmente, per le aziende che lavorano nell’import-export a livello mondiale, e tra queste, in misura maggiore per quelle che operano nel campo dell’agricoltura, dell’interscambio di servizi e di beni ad alto contenuto tecnologico e dell’industria dell’automobile. Ma impatti molto forti si registrano anche per le PMI dell’indotto strategico della rete produttiva e di vendita delle grandi aziende. Il rischio, in generale, è che ci sia una crescente riduzione degli investimenti, della produttività e della crescita. Come fermare questo trend negativo?

Il commercio mondiale è la linfa vitale dell'economia globale. È un barometro della salute economica, un fattore di sviluppo, un facilitatore del trasferimento di tecnologia e un meccanismo per il miglioramento della produttività e la crescita del reddito ed è anche un “velocista” che aiuta a far correre la società nel suo complesso. Al suo sviluppo contribuiscono centinaia di migliaia di aziende, 1,5 milioni le più attive, sparse in ogni angolo del Pianeta, e miliardi di consumatori che pagano in cambio di beni e servizi. Peraltro, da 50 anni, il commercio mondiale cresce più velocemente rispetto all'economia globale. È per questo che l’attuale scontro a livello commerciale tra Washington e Pechino sta producendo inevitabilmente effetti a catena sull’intera rete dell’import-export, sulle società che lo gestiscono e, al termine della filiera, sui consumatori che acquistano beni e servizi a rischio o sui quali già sono in vigore nuovi dazi. Al riguardo, il Fondo Monetario Internazionale è intervenuto di recente scattando l’istantanea delle criticità generate dall’incedere d’un nuovo protezionismo, rischioso e fuori età.

In sostanza, la perdita contabilizzata nei 12 mesi appena trascorsi è stata stimata in una contrazione della produzione da parte delle società di circa 500miliardi di dollari. Una bolletta extra che avrà effetti non soltanto sulle 300mila grandi multinazionali che governano il commercio internazionale, ma anche sulle piccole e medie imprese, PMI, che costituiscono l’indotto strategico della rete produttiva e di vendita delle grandi aziende.

Dunque, secondo l’FMI, ad oggi, la guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina sarebbe costata quasi 500 miliardi di dollari in termini di produzione “bruciata”. Naturalmente, i primi attori a dover fare le spese d’un tale rivolgimento sono state le aziende, in particolare quelle in primis impegnate nei settori dell’export e dell’import, tra cui i più penalizzati sono risultati quello dei prodotti agricoli, quello dell’interscambio di servizi e beni ad alto contenuto tecnologico e, per finire, l’industria dell’automobile, la più sensibile a tali fluttuazioni. Per questa ragione il Fondo Monetario Internazionale ha chiesto un rapido stop alla guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina dopo aver calcolato che le nuove tariffe forfettarie bruceranno un tesoro da 500miliardi in termini di minori flussi di scambio.

Per leggere il dato in modo approfondito è necessario chiarire, come fa l’FMI, che i 500mld in meno equivalgono all’aver cancellato in pochi mesi un intero PIL dalle dimensioni simili a quelle dell'economia del Sud Africa. In un documento preparato per la riunione dei ministri delle finanze del G20 e dei governatori delle banche centrali in Giappone, l’FMI ha calcolato che l'intensificarsi del protezionismo potrebbe ridurre del 0,3% il prodotto interno lordo globale nel 2020. In pratica, insieme alle tariffe annunciate lo scorso anno, l'impatto totale sarebbe dello 0,5% per le attività commerciali per l'anno prossimo. Peraltro, Washington ha annunciato di recente che una tariffa del 5% su tutti i beni messicani sarà imposta già la prossima settimana e salirà al 25% entro ottobre. Ciò implicherà un ennesimo danno con impatto internazionale.

Il rischio, o i rischi, sono che le più recenti tariffe USA-Cina possano ulteriormente ridurre gli investimenti, la produttività e la crescita. Anche le tariffe americane appena proposte sul Messico sono preoccupanti. Si tratta di ferite autoinflitte che devono essere evitate. Come? Rimuovendo le barriere commerciali recentemente implementate ed evitando ulteriori ostacoli in qualsiasi forma. Il fatto è che le misure protezionistiche non solo danneggiano la crescita e l'occupazione, ma stanno anche rendendo meno accessibili i beni di consumo commerciabili e danneggiano in modo sproporzionato le famiglie a basso reddito. Il risultato finale è un crollo degli investimenti globali.

L'effetto sulle imprese produttrici è più misto, con alcuni vincitori e molti perdenti. Alcuni produttori statunitensi e cinesi di beni che competono sui mercati nazionali con importazioni interessate dalle tariffe, così come gli esportatori concorrenti di Paesi terzi, sono potenziali vincitori. Tuttavia, i produttori statunitensi e cinesi dei prodotti interessati dalle tariffe, nonché i produttori che utilizzano tali beni come fattori di produzione intermedi, sono potenziali perdenti. E tra questi, molti sono europei.

Inoltre, l'incapacità di risolvere le differenze commerciali e l'ulteriore escalation in altre aree, come l'industria automobilistica, che coprirà diversi Paesi, potrebbe ulteriormente intaccare il sentimento dei mercati finanziari e delle imprese, influenzare negativamente gli spread e le valute delle obbligazioni dei mercati emergenti e rallentare gli investimenti e gli scambi.E ancora, maggiori barriere commerciali disturberebbero le catene di approvvigionamento globali e rallenterebbero la diffusione delle nuove tecnologie, riducendo in ultima analisi la produttività e il benessere globali. Ulteriori restrizioni all'importazione renderebbero anche meno accessibili i beni di consumo commerciabili, danneggiando le famiglie a basso reddito in modo sproporzionato.

Fonte: http://www.ipsoa.it/documents/impresa/commercio-internazionale/quotidiano/2019/07/09/tariffe-usa-cina-conto-salato-impresa-globale

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