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Lavoratori impatriati: quanto conviene trasferire la residenza fiscale in Italia

I lavoratori che trasferiranno la loro residenza fiscale in Italia, gli impatirati, potranno godere di misure fiscali più favorevoli rispetto al passato. Il decreto Crescita è intervenuto, infatti, sulla percentuale di esenzione per il reddito prodotto in Italia, in precedenza fissata al 50%, che viene portata al 70%, nonché al 90% per chi trasferisce la residenza nelle regioni di Abruzzo, Molise, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sardegna e Sicilia. Rispetto alla durata del benefico, fissata in 5 anni, vengono, inoltre, previsti alcuni casi di estensione con la possibilità, in base a determinate condizioni, di applicare la misura per ulteriori 5 anni. Sono state, invece, introdotte delle limitazioni per gli sportivi professionisti. Quali sono?

Il regime degli impatriati introdotto dall’art. 16 del D.Lgs. n. 147/2015 è stato da ultimo modificato dall’art. 5 del decreto Crescita il quale ha rafforzato e reso più fruibile il beneficio fiscale per i soggetti che trasferiscono la residenza fiscale nel nostro Paese.

La legge di conversione del decreto (l. n. 58/2019) ha, da un lato, confermato l’impianto dell’art. 5 e, dall’altro lato, introdotto importanti limitazioni per gli sportivi.

Il regime in commento si rende applicabile ai contribuenti che trasferiscono la residenza fiscale in Italia e si sostanzia in una parziale esenzione da tassazione per il reddito prodotto nel territorio dello Stato.

L’art. 5, D.L. n. 34/2019 ha ridisegnato le condizioni di accesso all’incentivo che si rende applicabile ai contribuenti che trasferiscono la residenza in Italia ai sensi dell’art 2 del TUIR e che:

- non sono stati residenti in Italia nei due periodi d’imposta precedenti al trasferimento e che si impegnano a risiedere in Italia per almeno due anni, e;

- svolgano attività lavorativa prevalentemente in territorio italiano.

Viene specificato che possono godere della parziale esenzione i lavoratori dipendenti, gli autonomi e i titolari di redditi assimilati al lavoro dipendente (categoria già in precedenza inclusa dalla prassi amministrativa) e la nuova formulazione del comma 1-bis dell’art. 16 estende, a far data dal 1° gennaio 2020, il regime ai soggetti di cui al comma 1 e al comma 2 dell’art. 16 che avviano un’attività d’impresa in Italia.

Il decreto legge è poi intervenuto sulla percentuale di esenzione per il reddito prodotto in Italia (in precedenza fissata al 50%) che viene portata al 70% con un indubbio vantaggio per i contribuenti che potranno aderire al regime di favore. Inoltre, detta percentuale è innalzata al 90% per chi trasferisce la residenza nelle regioni di Abruzzo, Molise, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sardegna e Sicilia.

Rispetto alla durata del benefico (fissata in 5 anni) vengono previsti alcuni casi di estensione dello stesso. Ci si riferisce, in particolare, alla possibilità di applicare l’agevolazione per ulteriori 5 anni:

- se il lavoratore ha un figlio minorenne o a carico anche in affido preadottivo;

- se il lavoratore acquista un immobile residenziale in Italia dopo il trasferimento in Italia o nei 12 mesi precedenti lo stesso (l’abitazione può essere acquistata direttamente dal lavoratore o dal coniuge o dai figli o dal convivente anche in comproprietà).

In queste ipotesi per gli ulteriori 5 anni i redditi concorrono a formare l’imponibile per il 50% del loro ammontare. Se il lavoratore ha almeno tre figli nelle condizioni di cui sopra la percentuale di tassazione è fissata al 10%.

All’indomani delle modifiche normative sopra descritte, da più parti si è rilevato come la nuova formulazione dell’incentivo potesse rendersi applicabile anche agli sportivi (su tutti i calciatori) con un indubbio vantaggio per la competitività della società italiane che avrebbero potuto godere di una riduzione del costo (è noto, difatti, che molto spesso i compensi di cui si discute sono concordati al netto tra le parti).

Il legislatore è intervenuto proprio su tale aspetto. In sede di conversione, difatti, è stato introdotto il comma 5-quater all’art. 5 secondo il quale “per i rapporti di cui alla legge 23 marzo 1981, n. 91, ferme restando le condizioni di cui al presente articolo, i redditi di cui al comma 1 concorrono alla formazione del reddito complessivo limitatamente al 50 per cento del loro ammontare”.

Viene, pertanto, fissata una percentuale di non concorrenza alla formazione del reddito complessivo minore rispetto a quella di cui possono beneficiari gli altri contribuenti che hanno i requisiti per accedere al regime. Ai rapporti di cui sopra, inoltre, non si applica la riduzione dell’imponibile in caso di trasferimento in regioni del sud Italia e l’incremento della quota di esenzione per chi ha almeno tre figli.

Inoltre, il comma 5-quinquies dispone che “per i rapporti di cui al comma 5-quater, l'esercizio dell'opzione per il regime agevolato ivi previsto comporta il versamento di un contributo pari allo 0,5 per cento della base imponibile. Le entrate derivanti dal contributo di cui al primo periodo sono versate a un apposito capitolo dell'entrata del bilancio dello Stato per essere riassegnate a un apposito capitolo, da istituire nello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per il successivo trasferimento al bilancio autonomo della Presidenza del Consiglio dei ministri, per il potenziamento dei settori giovanili. Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta dell'autorità di Governo delegata per lo sport e di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, sono definiti i criteri e le modalità di attuazione del presente comma, definiti con il decreto del Ministro dell'economia e delle finanze di cui al comma 3”

Concludendo l’analisi delle modifiche al regime degli impatriati e prescindendo da valutazioni sulle specifiche dettate per gli sportivi, ci si aspettava che il provvedimento di conversione intervenisse almeno su altri due aspetti.

In primo luogo, la decorrenza: le previsioni del decreto Crescita in commento si rendono, infatti, applicabili ai soggetti che trasferiscono la residenza in Italia a partire dal 1° gennaio 2020. Sarebbe stato preferibile prevedere un regime più articolato che potesse includere nel nuovo beneficio anche i soggetti rientrati in precedenza (quantomeno nelle differenti ipotesi di proroga dell’incentivo per ulteriori cinque periodi di imposta).

In secondo luogo, il tema della valenza dell’iscrizione all’AIRE durante il periodo di permanenza all’estero: il decreto Crescita specifica che i lavoratori rientrati dopo il 1° gennaio 2020 possono accedere al regime di favore anche in caso di mancata iscrizione all’AIRE a condizione che siano fiscalmente residenti in un Paese estero ai sensi della relativa convenzione contro le doppie imposizioni per il periodo di cui al comma 1, lettera a).

Inoltre, per i periodi di imposta per i quali siano stati notificati atti impositivi ancora impugnabili ovvero oggetto di controversie pendenti in ogni stato e grado del giudizio, nonché per i periodi d’imposta per i quali non sono ancora decorsi i termini di cui all’art. 43 del D.P.R. n. 600/73, ai lavoratori impatriati non iscritti AIRE rientrati in Italia entro il 31 dicembre 2019 spettano i benefici fiscali del testo dell’art. 16 alla data del 31 dicembre 2018 a condizione che abbiano avuto la residenza in un altro Stato ai sensi di una convenzione contro le doppie imposizioni sui redditi, sempre per il periodo di cui al comma 1, lettera a). Non si fa luogo, in ogni caso, al rimborso delle imposte versate in adempimento spontaneo.

Proprio su tale ultimo aspetto un intervento chiarificatore sarebbe auspicabile al fine di definire se e in che termini i soggetti rientrati in Italia senza pregressa iscrizione AIRE possano oggi recuperare il beneficio non goduto.

Fonte: http://www.ipsoa.it/documents/lavoro-e-previdenza/amministrazione-del-personale/quotidiano/2019/07/12/lavoratori-impatriati-conviene-trasferire-residenza-fiscale-italia

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