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Lavoro nelle festività infrasettimanali. E se il lavoratore si rifiuta?

Ci si può rifiutare di lavorare nei giorni festivi infrasettimanali? Sì, secondo la Corte di Cassazione. Il diritto all’astensione lavorativa nelle festività infrasettimanali è, infatti, un diritto soggettivo pieno a carattere generale. Se le cose stanno in questi termini, ci si interroga sui possibili effetti destabilizzanti sulla organizzazione del lavoro, soprattutto in quelle realtà (si pensi, ad esempio, agli esercizi aeroportuali ma anche, ai trasporti urbani o extra urbani, o alla grande distribuzione) ove va assicurato il servizio. Per risolvere preventivamente il problema, può il datore di lavoro, inserendo una specifica clausola nella lettera di assunzione, acquisire un consenso generalizzato del lavoratore su tutte le festività infrasettimanali?

Nelle festività infrasettimanali individuate dalla legge n. 260/1949, il lavoratore può, benissimo, astenersi dalla prestazione, pur in presenza di un ordine datoriale o di un accordo collettivo, anche aziendale, stipulato senza un suo esplicito mandato. E’ quanto ha statuito la Cassazione con la sentenza n. 18887 depositata il 15 luglio 2019, ponendosi in linea con un orientamento consolidato sia della Magistratura di merito che di quella di legittimità.

Di conseguenza, sono da ritenersi, assolutamente, illegittimi sia provvedimenti di natura espulsiva (licenziamenti), come nel caso di specie, che conservativa (richiami, multe o sospensioni).

Un esame della questione non può prescindere dall’individuazione delle giornate festive richiamate nella legge del 1949 ricordando che l’elencazione dell’epoca comprende anche festività abolite o spostate alla domenica antecedente o successiva e che quindi non sono da prendere in considerazione, come il 19 marzo (San Giuseppe), l’Ascensione, il Corpus Domini, i Santi Pietro e Paolo (29 giugno) ed il 4 novembre.

Alla luce di quanto appena detto, ci si riferisce al:

a) 1° gennaio;

b) 6 gennaio;

c) 25 aprile;

d) 1° maggio;

e) 15 agosto;

f) 1° novembre;

g) 8 dicembre;

h) 25 dicembre;

i) 26 dicembre.

Per completezza di informazione, si ricorda che nel corso degli anni, anche per effetto dell’accordo concordatario con la Santa Sede, le festività sono state oggetto di varie disposizioni che si sono succedute nel tempo come le leggi n. 90/1954, n.54/1977, n.336/2000 ed il DPR n. 792/1985 e che i contratti collettivi hanno riconosciuto, quali festività aggiuntive, quelle del Santo Patrono, quelle “speciali” per determinati comparti (ad esempio, Santa Barbara per gli addetti al settore minerario) o i giorni “semi festivi” nel settore del credito (vigilia di Natale e di Capodanno).

I lavoratori di religione ebraica, a richiesta, possono fruire delle festività previste dalla loro religione e, ogni anno, il Ministero dell’Interno le individua nell’ambito del calendario di riferimento per effetto degli articoli 4 e 5 della legge n. 101/1989, mente per gli induisti è possibile osservare la festività del “Dipavali” (art. 25 della legge n. 246/2012).

Entrando nel merito della sentenza della Suprema Corte, va sottolineato come la legge n. 260/1949 sia stata definita come completa ed autosufficiente e, richiamando un indirizzo già espresso nel 2016 con la sentenza n. 22482, la Cassazione esclude la possibilità di eventuali integrazioni analogiche o di commistioni con altre discipline. La legge n. 260 non ha esteso, come ricordava nel 2015 la sentenza n. 16592, alle festività infrasettimanali le eccezioni alla inderogabilità pur previste, in alcune situazioni, dalla legge n. 370/1934. L’unica eccezione possibile riguarda soltanto il comparto sanitario “per il personale, di qualsiasi categoria, alle dipendenze di istituzioni sanitarie pubbliche e private, nel caso che esigenze del servizio non permettano tale riposo”.

Il diritto all’astensione lavorativa nelle festività infrasettimanali indicate nella legge del 1949 è un diritto soggettivo ed è pieno con carattere generale, come già ricordato nel 2016 con la sentenza n. 21209. Da tale assunto discendono alcuni principi che influiscono direttamente sulla organizzazione del lavoro.

La Corte afferma che un normale accordo collettivo (aziendale, territoriale o nazionale) non può modificare il diritto e che ciò può avvenire soltanto con un accordo individuale tra datore di lavoro e lavoratore o con un accordo collettivo ove risulti il mandato a stipulare al sindacato da parte del lavoratore o dei lavoratori finalizzato, esplicitamente, alla stipula di deroga.

Se le cose stanno in questi termini, gli effetti potrebbero essere effettivamente destabilizzanti e di difficile soluzione in quelle realtà (si pensi, ad esempio, agli esercizi aeroportuali ma anche, ai trasporti urbani o extra urbani, o alla grande distribuzione) ove va assicurato il servizio, soprattutto, in giorni “critici” per l’utenza.

I giudici ritengono che la deroga debba risultare da accordi individuali (addirittura, in passato, il giudice di Treviso sostenne che tale accordo andava sottoscritto, di volta in volta, con i singoli interessati, cosa che, oggettivamente, avrebbe creato problemi e questioni insuperabili).

Si pone, a questo punto, una domanda specifica: può il datore di lavoro, inserendo una specifica clausola, nella lettera di assunzione, acquisire un consenso generalizzato, per tutte le festività infrasettimanali?

Una risposta positiva al quesito, urta, però, con un vincolo che, fissato “a priori” prima dell’inizio della prestazione lavorativa, “legherebbe” il dipendente per anni e, in ogni caso, per tutto il periodo di attività: se è un diritto di valenza generale si ritiene, però, che qualora sia stato oggetto di rinuncia al momento dell’assunzione (il dipendente potrebbe essersi trovato in una situazione di subalternità “psicologica”), si possa ripristinarlo, recedendo dal consenso prestato e dando un congruo avviso, per consentire al datore di organizzare diversamente il lavoro.

La forma preferibile per il consenso preventivo è, ovviamente, quella scritta che, potrebbe avvenire non soltanto con la redazione di uno specifico atto come si è detto pocanzi, ma anche attraverso la sottoscrizione del dipendente, apposta ad una “scheda di adesione” alla prestazione lavorativa in una giornata festiva infrasettimanale, portata a conoscenza degli interessati con un congruo anticipo.

Con gli indirizzi giurisprudenziali più volte citati, i giudici di legittimità hanno, altresì, riconosciuto che il riposo per le festività, come il riposo domenicale (che, però, può essere oggetto di flessibilizzazione alla luce dell’art. 9, comma 1, del decreto legislativo n. 66/2003) non ha soltanto la funzione di ristoro delle energie psico fisiche perdute per effetto delle prestazioni svolte, ma anche quello della fruizione di un tempo libero qualificato cosa che ha fatto sostenere al difensore di una parte nel corso di uno dei tanti giudizi che i tempi di conciliazione tra casa, lavoro e famiglia "hanno un valore assoluto che deve essere necessariamente sottratto a quella logica di consumo che permea la nostra attuale società".

Due considerazioni finali, si rendono necessarie.

La prima riguarda la contrattazione collettiva. La Corte non ha ritenuto che eventuali accordi collettivi potessero essere “di natura gestionale” e, come tali, vincolare, indistintamente, tutti i lavoratori, come nel caso, di quelli raggiunti nelle procedure collettive di riduzione di personale o per l’attivazione dei contratti di solidarietà difensiva.

La ragione è evidente: nelle ipotesi appena citate le RSU, le RSA, le organizzazioni territoriali di categoria sono individuate, direttamente, dal Legislatore come espressione di esigenze collettive che vincolano anche i non iscritti alle organizzazioni.

La seconda riguarda il contratto di prossimità: si potrebbe intervenire con tale strumento, previsto dall’art. 8 del D.L. n. 138/2011 convertito, con modificazioni, nella legge n. 148, sottoscritto ed approvato secondo le determinazioni previste dalla norma?

Il contratto di prossimità ha una valenza di deroga (eccezionale ed entro certi limiti) sia alla legge che al contratto collettivo in presenza di obiettivi di scopo ben individuati e misurabili, ma non ritengo che ciò sia possibile in quanto tra le materie, pur ampie, sulle quali si può intervenire, previste al comma 2, non ci sono le festività infrasettimanali individuate dalla legge n. 260/1949.

Fonte: http://www.ipsoa.it/documents/lavoro-e-previdenza/amministrazione-del-personale/quotidiano/2019/07/23/lavoro-festivita-infrasettimanali-lavoratore-rifiuta

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