• Home
  • News
  • Mercato del lavoro, aumentano i contratti stabili: tutto merito del decreto Dignità?

Mercato del lavoro, aumentano i contratti stabili: tutto merito del decreto Dignità?

L'ISTAT ha comunicato che nel mese di maggio 2019 l'occupazione è cresciuta di 67 mila unità rispetto al mese precedente e di 92 mila su base annua. Da più parti si è sottolineato che l'incremento dei contratti a tempo indeterminato è merito del decreto Dignità. Una soddisfazione legittima, anche se il dato sembra primariamente influenzato dall'effetto degli incentivi contributivi riconosciuti alle aziende che hanno trasformato i contratti a termine in contratti stabili, esattamente come avvenne nel 2015, nella fase iniziale di attuazione del Job Act. Una valutazione degli esiti del decreto Dignità è ancora prematura: Ma quanto influiscono effettivamente le norme sui flussi reali del mercato del lavoro?

Il nostro istituto di statistica - ISTAT - ci consegna ricorrentemente dati sulle rilevazioni del mercato del lavoro italiano che ci permettono un'analisi sul trend occupazionale comparandolo con i rapporti pubblicati a gennaio 2019 su indagini del 2016, ma che consentono, anche a fronte di quello che la Commissione e il Consiglio UE ci hanno recentemente inviato sotto forma di Raccomandazioni, di fare il punto della situazione occupazionale e del costo del lavoro che rimane sempre alto e incide automaticamente sul mercato e sulle risorse umane.

IL Rapporto ISTAT del gennaio 2019 denuncia che dal 2016 l'Italia risulta sotto la media dell'eurozona per la retribuzione oraria lorda. Nel 2016, il costo del lavoro in senso stretto per ora effettivamente lavorata, riferito ai comparti Industria e Servizi, ad eccezione del settore dell'Amministrazione pubblica e difesa e dell'Assicurazione sociale obbligatoria (sezione O dell'Ateco 2007), è di 26,07 euro nella Ue25 e di 27,99 nell'area dell'euro (AE-19).

Tra i diversi Stati membri i differenziali sono molto ampi: da 7,43 euro della Lituania a 40,22 euro della Danimarca. L'Italia registra un costo del lavoro orario di 27,55 euro, leggermente inferiore rispetto alla media dell'area euro. In termini di composizione del costo del lavoro tra retribuzioni e contributi sociali, l'incidenza di questi ultimi è pari al 21,1% nell'Ue25 e al 23% nell'area euro. Anche in questo caso si riscontrano significative differenze tra gli Stati membri.

L'incidenza degli oneri sociali è più alta in Francia (31,2%) e Svezia (30%), più bassa a Malta (6,9%) e in Danimarca (10,7%). Con una quota di contributi pari al 27,7%, l'Italia si situa a ridosso dei paesi a maggiore contribuzione.

La retribuzione lorda oraria più bassa si registra in Lituania (5,32) e Ungheria (5,85), quella più alta in Danimarca (35,93) e Lussemburgo (33,85) mentre l'Italia (con 19,92 euro) si colloca sotto la retribuzione media relativa ai paesi dell'area euro.

Sempre il Rapporto indica che in Italia i contributi sociali incidono per il 27,3% sul costo del lavoro in senso ampio, in particolare, il peso percentuale delle singole componenti è del 20,9% per i contributi sociali obbligatori per legge, dello 0,4% per quelli volontari e contrattuali e del 3,6% per il trattamento di fine rapporto.

Le spese per la formazione rappresentano soltanto lo 0,2% del costo del lavoro in senso ampio. La retribuzione lorda per ora lavorata è pari a 20,19 euro, con una differenza di oltre sette euro tra le unità economiche con 1.000 e più dipendenti e quelle di piccole dimensioni (10-49 dipendenti).

La retribuzione per ora lavorata è superiore alla media nazionale nel Nord-ovest e nel Centro (rispettivamente +4,5% e +2,1%) mentre nel Nord-est, nel Sud e nelle Isole i valori sono inferiori (-3,3%, -6,1% e -2,8%). Le ore annue lavorate per dipendente sono in media 1.498 e rappresentano l'84% di quelle retribuite (1.784). Le ore lavorate per dipendente a tempo parziale, pari in media a 1.003, rappresentano il 62,5% di quelle per dipendente a tempo pieno (pari a 1.604).

Il 5 giugno 2019 la Commissione Europea ha pubblicato una relazione a norma dell'articolo 126, paragrafo 3, del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE), per esaminare la conformità dell'Italia nel 2018 al criterio del debito stabilito dal Trattato, tenendo conto del contesto economico e di altri fattori significativi. Contestualmente, la Commissione europea ha anche pubblicato le raccomandazioni specifiche per Paese, le quali, nell'ambito del ciclo annuale di coordinamento delle politiche economiche e di bilancio dell'UE, il cosiddetto Semestre europeo, forniscono un'analisi della situazione economica di ciascuno Stato membro e raccomandano misure che ogni Paese dovrebbe adottare nei successivi dodici mesi. Si ricorda che le raccomandazioni sono redatte dalla Commissione europea una volta terminata la valutazione dei Programmi di riforma e dei Programmi di stabilità o di convergenza degli Stati membri; in seguito sono approvate dal Consiglio europeo di giugno e adottate, infine, dal Consiglio dell'UE in luglio.

Riportiamo alcuni passaggi che il documento rivolge all'Italia … Omissis " La Commissione rileva che la crescita dell'occupazione è stata favorita dalle riforme del mercato del lavoro e dagli incentivi all'assunzione, ma è stata in gran parte determinata da contratti a tempo determinato, mentre persistono elevati livelli di disoccupazione di lunga durata e giovanile che gravano sulle future prospettive di crescita economica. Il contesto in cui operano le imprese continua a frenare l'imprenditorialità, anche a causa di carenze nella pubblica amministrazione e di procedimenti giudiziari civili e penali molto lunghi. Dopo avere richiamato l'adozione dei due decreti-legge destinati a incentivare gli investimenti (i cosiddetti "Crescita" e "Sblocca cantieri"), la Commissione sottolinea tuttavia come il bilancio 2019 e il decreto-legge che attua il nuovo regime di pensionamento anticipato del gennaio 2019 abbiano «segnato un passo indietro per quanto riguarda alcuni elementi delle passate riforme del sistema pensionistico, peggiorando la sostenibilità delle finanze pubbliche a medio termine, e siano destinati a incrementare ulteriormente la spesa pensionistica nel medio termine».

A fine giugno ISTAT ci comunica che nel mese di maggio l'occupazione è cresciuta di 67 ml unità rispetto al mese precedente e di 92 ml su base annua. Due dati sono significativi: il dato tendenziale su base annua torna a crescere dopo tre trimestri stagnanti se non proprio negativi e il tasso di occupazione, pur rimanendo 10 punti al di sotto della media europea, raggiunge il 59% sulla popolazione in età di lavoro. Dichiarazioni del Governo sottolineano che è merito del decreto Dignità, in particolare l'incremento dei contratti a tempo indeterminato, rispetto a quelli a termine. Legittima soddisfazione, anche se il dato, come già evidenziato dal precedente e recente bollettino ISTAT, ANPAL, INPS è influenzato dall'effetto incentivi per la trasformazione dei contratti a termine in tempo indeterminato. Il decreto Dignità infatti ha introdotto delle limitazioni per l'utilizzo temporale dei contratti a termine, con un limite di 24 mesi, e gli sgravi contributivi triennali per le imprese che li riconvertivano in tempo indeterminato. Questi ultimi introdotti nella fase di riconversione in legge sulla base di un emendamento proposto dalle opposizioni nella commissione parlamentare. Ciò ha prodotto un effetto contraddittorio. Una parte delle imprese ha deciso di stabilizzare i lavoratori a termine sfruttando gli incentivi (227 ml unità secondo l'analisi del bollettino richiamato). Altre imprese hanno deciso di sostituire i lavoratori in scadenza con altri lavoratori, per evitare il vincolo della stabilizzazione, come evidenziato in una ricerca effettuata recentemente dalla Banca d'Italia. Esattamente come avvenne nel 2015, nella fase iniziale di attuazione del Job Act, quando gli sgravi contributivi triennali provocarono un balzo in avanti dei contratti a tempo indeterminato influenzato da oltre 400ml trasformazioni (che a parità di occupati aggiungono numeri ai contratti a tempo indeterminato sottraendoli a quelli a termine).

Con l'esaurirsi degli incentivi, le dinamiche tornarono nella normalità e tutto ciò venne considerato impropriamente da molti commentatori, come il fallimento del Job Act. Una valutazione degli esiti del decreto Dignità è ancora prematura. Come hanno fatto anche studiosi come Natale Forlani ed Emanuele Massagli, desidero sottolineare la sopravvalutazione della efficacia delle norme sui flussi reali del mercato del lavoro. Contrariamente a quanto si pensa, non esiste una relazione diretta tra il tasso di mobilità dei lavoratori e il numero dei contratti a termine, nel senso che tale mobilità, che coinvolge mediamente circa un terzo dei lavoratori occupati, riguarda persone con diverse tipologie di contratti. Tutto questo dovrebbe far rileggere in un'altra ottica il tema della stabilizzazione, soprattutto nei comparti dei servizi, in molti dei quali il tasso di mobilità annuo riguarda il 40% degli occupati. Diversamente sarebbe necessario prestare una attenzione alla evidenza di una crescita dell'occupazione che si mantiene da alcuni anni al di sopra dell'incremento della ricchezza nazionale. Un dato in sé positivo, ma che inevitabilmente comporta un decremento della produttività, e dei salari percepiti, ovvero della media delle ore lavorate procapite. E vero è che i numeri ci dicono che, in termini di occupati, siamo tornati al di sopra dei numeri precedenti la crisi e raggiungendo il record storico del numero dei lavoratori dipendenti. Ma questo non è avvenuto per la ricchezza prodotta che è ancora al di sotto dei livelli raggiunti nel 2008. In estrema sintesi: è aumentato il numero dei commensali, ma la torta è diminuita. Se si analizzano le dinamiche settoriali e territoriali non è difficile comprendere la contraddizione. La precarietà del lavoro, quella vera, e da non assimilare genericamente al numero dei contratti a termine, dipende dalla debolezza dei comparti dei servizi e dalla pesante arretratezza del nostro meridione.Peraltro sempre l’ISTAT nel Rapporto annuale sulla situazione del Paese presentato il 20 giugno 2019 al Cap.4 Mercato del lavoro afferma: "La trasformazione dell'occupazione è il riflesso della ricomposizione avvenuta nei settori e nelle professioni, che vede ridursi il peso dei comparti a maggiore intensità di lavoro a tempo pieno e aumentare quello dei settori e delle professioni a più alta concentrazione di lavoro a orario ridotto. Per quanto riguarda i settori, si tratta di quelli della sanità, dei servizi alle imprese, degli alberghi e ristorazione e dei servizi alle famiglie; per le professioni, quelle addette al commercio e ai servizi e quelle non qualificate".

Fonte: http://www.ipsoa.it/documents/lavoro-e-previdenza/rapporto-di-lavoro/quotidiano/2019/07/27/mercato-lavoro-aumentano-contratti-stabili-merito-decreto-dignita

Iscriviti alla Newsletter




È necessario aggiornare il browser

Il tuo browser non è supportato, esegui l'aggiornamento.

Di seguito i link ai browser supportati

Se persistono delle difficoltà, contatta l'Amministratore di questo sito.

digital agency greenbubble